14 settembre 2020

REFERENDUM, SFIDA COSTITUZIONALE di Antonio Laurenzano

 


REFERENDUM, SFIDA COSTITUZIONALE

di Antonio Laurenzano

Conto alla rovescia per il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari chiesto da un quinto dei senatori a seguito della mancata approvazione della riforma costituzionale con la maggioranza qualificata dei due terzi. L’ultima parola spetta dunque al popolo italiano che domenica e lunedi prossimo, con il proprio voto, metterà fine a un dibattito incerto e confuso, eccessivamente politicizzato e caratterizzato da toni critici. C’è chi ha definito il referendum una “volgarissima marchetta ideologica” (Massimo Cacciari), “una sforbiciata data in pasto al popolo” (Maurizio Lupi), “un’azione politica cretina e ipocrita” (Vittorio Sgarbi). Si è parlato addirittura di “trionfo dell’antipolitica”. Senza ignorare la sagra del pentimento alimentata dai “convertiti” che in Parlamento hanno votato per la riduzione dei parlamentari per non rischiare l’impopolarità e ora che il voto si avvicina, temendo di non essere più rieletti, diventano improvvisamente paladini dei diritti del Parlamento. Una sospetta folgorazione sulla via di … Montecitorio e di Palazzo Madama a difesa dello status quo (personale). Inquietante testimonianza di trasformismo politico.

La riduzione del numero dei parlamentari è stato tema centrale nei vari tentativi di riforma che si sono susseguiti nella storia della Repubblica. Da ormai quarant’anni ogni commissione parlamentare, bicamerale o mono, ha avanzato una proposta di riforma: la prima risale al 1983 e porta la firma del liberale Aldo Bozzi. A seguire nel tempo i democristiani con Ciriaco De Mita, i comunisti con Nilde Iotti, i post comunisti con Massimo D’Alema. Sia il centrodestra di Berlusconi nel 2006 che il centrosinistra di Renzi nel 2016 hanno puntato sulla riforma della Costituzione inserendo al primo punto la revisione al ribasso dei numeri dei parlamentari. Forse per catturare consensi elettorali sulla più complessa operazione di devolution volta a modificare organicamente l’assetto costituzionale di Camera e Senato in termini di funzioni e attribuzioni. Ma il voto popolare è stato sempre contrario a riscrivere la Costituzione, cambiandone decine di articoli.

Il referendum di domenica riguarda invece soltanto tre articoli (56, 57 e 59) e tutti sullo stesso argomento: il taglio delle poltrone parlamentari da 945 a 600. “Non si rischia di stravolgere la Carta costituzionale”, ha rilevato l’ex Presidente della Consulta Valerio Onida. Un’occasione per adeguare il numero dei nostri rappresentanti a quello delle altre grandi democrazie occidentali e rendere più efficiente il Parlamento divenuto “invisibile”, “oscurato” dall’abuso dei decreti legge e dei decreti governativi emanati spesso per ragioni di tempo a causa della lentezza dei lavori parlamentari. Restituire al Parlamento la sua centralità nella vita democratica del Paese: è organo legislativo, ma solo un quarto delle leggi di questa metà di legislatura sono state di iniziativa parlamentare. Il problema di Camera e Senato sta infatti nell’esercizio pieno delle prerogative costituzionali reso difficoltoso, se non impossibile, da ridondanti regolamenti e inutili commissioni e, sul piano della reale rappresentatività, da 945 “nominati”, espressione del potere di nomina dei partiti e non certamente della volontà popolare. Il taglio del numero dei parlamentari, a prescindere dalla simbolica questione dei risparmi (“una democrazia inefficiente ci costa mille volte di più”), rappresenta un primo passo per accelerare un significativo cambiamento: una nuova legge elettorale, la modifica della base regionale per il Senato, la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica, il voto ai 18enni per il Senato, nuovi regolamenti parlamentari per evitare duplicazione dei compiti e velocizzare il processo legislativo in vista del superamento del bicameralismo perfetto.

Sul tappeto resta la questione di sempre: la selezione politica dei candidati. Oltre al numero degli eletti, conta la loro qualità, la loro competenza, il loro spirito di servizio per rappresentare al meglio interessi e aspettative degli elettori. E’ la strada migliore, e forse l’unica, per recuperare i tanti cittadini che da tempo guardano con diffidenza una classe politica generata dagli apparati di partito, con interferenze di lobbies o corporazioni che ne condizionano l’autonomia decisionale. Nel voto di domenica la speranza di cambiamento.

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