17 settembre 2020

PASQUALE MARIA BENTIVENGA (1782-1866) Benefattore, pedagogista ed educatore esemplare a cura di Vincenzo Capodiferro

 


PASQUALE MARIA BENTIVENGA (1782-1866)

Benefattore, pedagogista ed educatore esemplare


Oggi per chi si recasse a San Chirico vedere il Collegio Bentivenga abbandonato ti piange il cuore. Quante giovani ragazze sono passate di là! Il collegio femminile fu fatto costruire a San Chirico Raparo, in provincia di Potenza, dall’arciprete Pasquale Maria Bentivenga nel 1816, quando ci fu una grave carestia. L’arciprete raccolse tutte le orfanelle presso la sua abitazione che adibì a collegio femminile. Il Ministero degli Affari interni del Regno di Napoli accolse la richiesta e concesse tre grana al giorno per ogni orfana, come risulta dal “Decreto del 9 febbraio 1825 col quale approvansi le regole per la casa di educazione di giovani donzelle stabilita nel Comune di San Chirico Raparo dall’Arciprete Pasquale Maria Bentivenga, amministrandosene le rendite secondo il sistema delle leggi in vigore”, contenuto nella “Collezione delle leggi e dei decreti reali del Regno delle Due Sicilie”. Nel 1832 l’importo fu innalzato a grana 5. Nel 1857 il numero delle orfane salì a 80 membri. Nel 1866 quando venne a mancare l’arciprete Bentivenga anche il collegio da lui voluto seguiva una profonda decadenza, fino a raggiungere l’abbandono odierno. Adiacente all’edificio principale vi è la cappella dell’Addolorata, meta di pellegrinaggi dal 1994, quando si verificò il pianto della Vergine. Nel 1872 ancora il “Conservatorio femminile” Bentivenga era aperto e ne veniva approvato lo statuto organico. «L'arciprete don Pasquale Maria Bentivenga, stando in mezzo ai poveri, pel suo sacerdotale ministero e perché egli intendeva la carità sia come un precetto cristiano sia come il primo dovere degli uomini, nella penuria dell'anno I816 …» - come annota Antonino Tripepi, in “Curiosità storiche della Basilicata” 1915, p. 43 - decise di adibire la sua abitazione personale a luogo di accoglienza delle ragazze orfane. È un atto di grande coraggio, di perfetta carità, di speranza per le genti. Ma chi era don Pasquale Maria Bentivenga? Seguiamo in ciò il discorso funebre “Sul feretro del Rev. Arcip. P. M. Bentivenga – Parole pronunziate dall’Avvocato Giovanni Magaldi il dì 23 settembre 1866 in S. Chirico Raparo”: «Pasquale Maria Bentivenga veniva al mondo nel 1782 da oscuri ma onesti genitori, i quali dal bel principio scorsero nel fanciullo un fervido ingegno, e premurosi del suo bene, lo fecero educare alla scuola della religione e della virtù. Il giovanetto ben corrispose alle paterne sollecitudini, perché non indugiò di dar prova di sapere nel Seminario di Anglona e Tursi, ove apprese le lettere e le scienze; ed ancor quadrilustre venne prescelto a Maestro di Lingua Greca e Latina, e poscia a Professore di Filosofia, di Teologia e di Matematiche sublimi, per le quali, seguendo la sua naturale inclinazione, sposò ogni studio, come ne fan fede svariati manoscritti sulla Trigonometria e sull’Algebra, che per la modestia non pubblicò mai per le stampe. E mentre che lo studio di tali severe discipline gli svolgevano le facoltà intellettuali, e la mente gli rischiaravano alla ricerca del vero, Demostene, e Cicerone gli insegnavano l’arte difficile di muovere gli affetti più arcani del cuore; l’austerità delle severe discipline temperava col culto delle Muse, nelle quali ebbe a maestri i classici latini e greci… Con tanto dovizioso corredo di cognizioni salì al sacerdozio, continuando sempre a insegnare nel Seminario Diocesano… Non trascurando giammai i doveri di Professore, fu sempre instancabile studente nella solitudine della sua cella» - bella questa immagine del docente-discente, cara alla pedagogia. Il Bentivenga passava ore e ore a studiare i testi sacri e i Padri della chiesa. seguono le note sul carattere - «Sempre di un carattere fermo e dignitoso, sempre di una morale purissima ed inattaccabile fu ornato il giovane sacerdote Bentivenga, tanto che il vescovo di quell’epoca fu sollecito affidargli la cura delle anime, nominandolo Arciprete» - sempre seguendo, fu definito l’”Apostolo”, nella Diocesi di Tursi. Il Seminario Diocesano era quello di Chiaromonte - «Consacrò il suo patrimonio, le sue forze, tutto se stesso a sollievo della umanità; e prescegliendo tra le sventure la più comune e la meno avvertita, rivolse tutti i suoi sforzi a fondare case di beneficenza e di istruzione, le quali opere gli fecero meritare dalla Prima autorità della provincia il titolo di redivivo Pestalozzi, quando quel funzionario da Intendente leggeva la sua relazione al Consiglio provinciale del 1857. Sì, o orfane sventurate! Chi vi raccolse in codeste mura? Chi v’involò da tanti pericoli cui stava esposta la vostra innocenza? Chi ti confortò nelle tue sventure, o popolo di San Chirico?». L’epiteto di “redivivo Pestalozzi” è una grande riconoscenza per questo pedagogista, che prese a cuore l’educazione delle giovani fanciulle abbandonate. «Alle tante cure annesse alla missione di parroco volle aggiungere altre ancora più utili alla società con aprire una scuola, alla quale numeroso concorso di giovani intervenne. All’apostolato religioso volle unire l’apostolato civile: - Dirizzare le anime per le vie dell’eterna salvezza, illuminarle con la lampada della fede, riscaldarle col fuoco della carità, sollevale col raggio della speranza, è opera sublime, è opera d’apostolo, e Bentivenga sostenne il suo apostolato con onore suo e con vantaggio dei suoi figli…». Oltre alle scuole, all’orfanotrofio, l’Arciprete intraprese l’opera dell’ampiamento e della ricostruzione del Duomo di san Chirico: «Perciò dapprima rivolse i suoi pensieri alla fondazione di un maestoso tempio che ricorderà attraverso il tarlo dei secoli la memoria di lui…» e alla fondazione di Congregazione di Missionari e alla fondazione di scuole in Lucania e Calabria: «Ma il suo genio qui non si arresta. Nel tempo stesso – io direi – che provvede alla costruzione della Chiesa, acquista di suo particolare danaro dirute case, e le riduce a Congregazione di Missionari; altra ne fonda nella vicina Calabria Cosentina, il cui istituto era la predicazione non solo, ma l’istruzione gratuita ancora ai figli del popolo… Fondò finanche un Conservatorio per le nobili fanciulle ed un Orfanotrofio per ricovero delle sventurate orbe di genitori, dei quali istituti, con decreto reale fu nominato Direttore a vita». Pensava inoltre alla fondazione di una novella congregazione religiosa: «vagheggiava l’idea della fondazione delle Figlie della Carità, modellandola su quelle dei popoli più civili d’Europa – opera sublime e veramente cristiana, degna solo delle anime eminentemente filantropiche…». Fu un uomo attivo, partecipe, anche se non direttamente, dei fermenti rivoluzionari che scossero la penisola, sia nel 1848, che nel 1860: «Anche egli intese la voce misteriosa ma potente che l’Italia intuonava dalle catacombe dei suoi martiri…». Pare che fosse molto vicino alla posizione liberale del primo Pio IX, quando prevaleva la corrente riformatrice. Pare che acclamasse all’”eroe del secolo”, cioè Garibaldi, con tutte le controversie che nacquero dall’Unità d’Italia, ed avrebbe voluto una risoluzione della spinosa Questione Romana: «Deplorava la questione tra il papato e l’Italia, ed avrebbe voluto quello spoglio del dominio terreno, e questa signora e donna di sé dalle Alpi al mare – quindi una conciliazione col sommo Pontefice era l’ultimo ed il più fervido dei suoi voti».

La sua abitazione era molto povera, tanto che si diceva: «Ecco l’uomo che fabbrica templi al Dio vivente, innalza case e palazzi ai poverelli, e riserba a sé una meschina cella». Era un uomo imponente e maestoso: «Alto e robusto della persona – occhi vivi ed attraenti, che rivelavano un non so che di arcano – avvenente nelle forme, ma di quella bellezza che non dirò mai molle, e che invece ispirava un sacro ossequio – la fronte alta – il volto atteggiato ad una dolce malinconia – maestoso nell’aspetto». Abbiamo voluto riportare questa preziosa testimonianza su quest’uomo, che ha dedicato tutta la sua esistenza terrena alla cura dei giovani, innestandosi in quel filone pedagogico della Chiesa, che si ispirava a San Filippo Neri, a San Vincenzo de’ Paoli (Le figlie della carità). Il Nostro vive nello stesso tempo in cui l’astro di San Giovanni Bosco lanciava tutto l’operato del recupero dei giovani. Abbiamo voluto riportare questo ricordo, che non vuole essere esauriente, sulla figura e l’opera di questo grande benefattore e pedagogista.


Vincenzo Capodiferro

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