Luigi
Pirandello
Il
fu Mattia Pascal
– (Edizioni Rizzoli)
Collana: Grandi
classici BUR
Pagine: 126
Formato: Brossura
ISBN
9788817016193
L’incontro
con la morte fu un’esperienza molto precoce per il Pirandello uomo.
Giocando a nascondino con altri ragazzi nel cimitero della campagna
di Caos, finì
dentro una camera mortuaria e trovò un cadavere, coperto da un
lenzuolo bianco, disteso sopra un tavolo d’acciaio. A smuoverlo dal
terrore che lo impietriva fu
il rumore di svolazzo, tenue ma ossessivo, che arrivava dalla stanza
accanto: due
amanti clandestini stavano facendo l’amore e Luigi, dalla porta
aperta, li vide. Forse è per questo imprinting che, nelle opere di
Pirandello, Eros e Thanatos vanno
sempre insieme. In quello che può essere considerato il suo
capolavoro, il
protagonista è addirittura sospeso tra la vita e la morte, schiavo
della propria libertà e
di un’identità che altri hanno costruito per lui. Allora, per
ritornare ad esistere, Mattia Pascal è costretto a morire,
virtualmente, di nuovo.
“Una
delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era
questa: che
mi chiamavo Mattia Pascal”.
“Avevo
già sperimentato come la mia libertà, che a principio m’era parsa
senza limiti, ne avesse purtroppo nella scarsezza del mio denaro; poi
m’ero accorto ch’essa più
propriamente avrebbe potuto chiamarsi solitudine e noia, e che mi
condannava a
una terribile pena: quella della compagnia di me stesso; mi ero
allora accostato agli
altri; ma il proponimento di guardarmi bene dal riallacciare, foss’anche
debolissimamente, le fila recise, a che era valso? Ecco: s’erano
riallacciate da sé, quelle fila; e la vita, per quanto io, già in
guardia, mi fossi opposto, la
vita mi aveva trascinato, con la sua foga irresistibile: la vita che
non era più per me. Ah, ora me n’accorgevo veramente, ora che non
potevo più con vani pretesti, con
infingimenti quasi puerili, con pietose, meschinissime scuse
impedirmi di
assumer coscienza del mio sentimento per Adriana, attenuare il valore delle
mie intenzioni, delle mie parole, de’ miei atti”.
(c) Marcello Sgarbi
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