30 luglio 2020

L’ EUROPA DEL POST COVID di Antonio Laurenzano


L’ EUROPA DEL POST COVID

di Antonio Laurenzano

La quiete dopo la tempesta. Al termine di un burrascoso negoziato sul “Piano per la ripresa” post Covid-19, l’Europa ha voltato pagina. Fra luci e ombre, raggiunto a Bruxelles un faticoso compromesso, l’ennesimo nella tormentata storia dell’Ue, racchiuso in 67 pagine firmate dai 27 Capi di Stato e di Governo del Consiglio europeo, dense di speranze per il futuro, ma con incognite giuridiche e politiche che certamente segneranno il dibattito comunitario sul piano istituzionale nei prossimi anni. Due i nodi più controversi del negoziato: da una parte l’ammontare delle risorse finanziarie a carico di un debito comune, articolato fra sussidi e prestiti, e dall’altra le condizioni per il controllo della spesa e quindi dell’utilizzo delle risorse.
Confermata la dotazione originaria di 750 mld di euro del Fondo proposta dalla Commissione ma con una nuova ripartizione: 390 mld di sussidi a fondo perduto (non più 500) e 360 di prestiti (non più 250). In particolare l’Italia, la maggiore beneficiaria del Recovery Fund, e per questo “osservata speciale” a livello comunitario, porterà a casa in totale 208,8 miliardi di euro, di cui 127,4 come prestiti (rispetto ai 90,9 proposti dalla Commissione) e 81,4 miliardi di euro come sussidi a fondo perduto (poco meno rispetto ai 90 iniziali). Per tacitare ogni protesta, ai Paesi “frugali” del Nord sono stati concessi ulteriori sconti (“rebates”) alla contribuzione del bilancio europeo. Per la governance della spesa collegata ai “Piani nazionali di ripresa” degli Stati membri, respinta la richiesta olandese del “diritto di veto” all’interno di un complesso meccanismo di controllo.
Una intesa storica all’insegna della solidarietà e non dell’austerità”, ha dichiarato il Presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel. C’è la nascita di un “debito europeo comune” e di nuovi strumenti di politica economica per fronteggiare la profonda crisi economica provocata dalla pandemia. L’Unione europea si avvia a diventare un’entità “statuale” che si indebita, distribuisce fra i suoi cittadini le risorse che raccoglie sul mercato e ha potere di prelievo fiscale nella previsione di una inderogabile autonoma fiscalità per liberarsi da una governance intergovernativa inefficiente, non trasparente e divisiva blindata dal Consiglio europeo.
Restano sul tappeto le incertezze legate alla tempistica degli interventi reali. L’accordo dovrà superare tre importanti step: la ratifica nazionale da parte degli Stati membri dell’Unione, il negoziato comunitario dei Piani nazionali in linea con le “raccomandazioni” Ue, il voto di approvazione del bilancio da parte del Parlamento di Strasburgo. Un percorso tutto in salita. Il Fondo per la ripresa distribuirà risorse tra il secondo semestre 2021 e il 2023, e rimarrà in vita fino al 2026. Il rimborso dei prestiti deve iniziare l’anno successivo. I Ventisette dovranno mettersi d’accordo per garantire al bilancio comunitario nuove risorse proprie (imposta sugli imballaggi in plastica non riciclati, digital tax europea, imposta sulle transazioni finanziarie). Per l’Unione europea un passaggio delicato in attesa di prendere il largo verso un orizzonte politico nuovo che faccia finalmente pulizia del dumping fiscale in qualche Paese “frugale” (Olanda) e delle infrazioni allo Stato di diritto in qualche Paese di Visegrad (Ungheria).
E sarà il D-Day della nuova Europa. Sarà la risposta a un sovranismo che “continua a non comprendere il funzionamento di un sistema ad alta interdipendenza come l’Unione europea per raggiungere obiettivi convergenti”, ha commentato il politologo Sergio Fabbrini sulle colonne del Sole24Ore. “Ogni leader sovranista guarda all’Ue dal buco della sua serratura nazionale. Per i sovranisti al governo nei Paesi dell’Europa dell’Est, si tratta di preservare la quota di aiuti europei che ricevono, per gestirli in piena autonomia, per i sovranisti all’opposizione nel resto dell’Europa, si tratta di denunciare ogni accordo come tradimento degli interessi nazionali.” Sotto accusa l’inquietante semplicismo analitico per catturare consensi elettorali e l’incapacità di capire le logiche politiche che sono alla base di ogni costruttiva azione di governo. E’ facile soffiare sul fuoco della protesta e del disagio sociale, ma molto difficile trasformare la protesta in seria proposta politica, coniugando -con senso di responsabilità- l’interesse nazionale con quello europeo in una illuminata visione storica, aperta a un contesto politico-economico mondiale in continua evoluzione.  

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