L’ EUROPA DEL POST COVID di Antonio Laurenzano
di
Antonio Laurenzano
La quiete
dopo la tempesta. Al termine di un burrascoso negoziato sul “Piano
per la ripresa” post Covid-19, l’Europa ha voltato pagina. Fra
luci e ombre, raggiunto a Bruxelles un faticoso compromesso,
l’ennesimo nella tormentata storia dell’Ue, racchiuso in 67
pagine firmate dai 27 Capi di Stato e di Governo del Consiglio
europeo, dense di speranze per il futuro, ma con incognite giuridiche
e politiche che certamente segneranno il dibattito comunitario sul
piano istituzionale nei prossimi anni. Due i nodi più controversi
del negoziato: da una parte l’ammontare delle risorse finanziarie a
carico di un debito comune, articolato fra sussidi e prestiti, e
dall’altra le condizioni per il controllo della spesa e quindi
dell’utilizzo delle risorse.
Confermata
la dotazione originaria di 750 mld di euro del Fondo proposta dalla
Commissione ma con una nuova ripartizione: 390 mld di sussidi a fondo
perduto (non più 500) e 360 di prestiti (non più 250). In
particolare l’Italia, la maggiore beneficiaria del Recovery Fund, e
per questo “osservata speciale” a livello comunitario, porterà a
casa in totale 208,8 miliardi di euro, di cui 127,4 come prestiti
(rispetto ai 90,9 proposti dalla Commissione) e 81,4 miliardi di euro
come sussidi a fondo perduto (poco meno rispetto ai 90 iniziali).
Per tacitare ogni protesta, ai Paesi “frugali” del Nord sono
stati concessi ulteriori sconti (“rebates”) alla contribuzione
del bilancio europeo. Per la governance della spesa collegata ai
“Piani nazionali di ripresa” degli Stati membri, respinta la
richiesta olandese del “diritto di veto” all’interno di un
complesso meccanismo di controllo.
“Una
intesa storica all’insegna della solidarietà e non
dell’austerità”, ha dichiarato il Presidente del Consiglio
europeo, il belga Charles Michel. C’è la nascita di un “debito
europeo comune” e di nuovi strumenti di politica economica per
fronteggiare la profonda crisi economica provocata dalla pandemia.
L’Unione europea si avvia a diventare un’entità “statuale”
che si indebita, distribuisce fra i suoi cittadini le risorse che
raccoglie sul mercato e ha potere di prelievo fiscale nella
previsione di una inderogabile autonoma fiscalità per liberarsi da
una governance intergovernativa inefficiente, non trasparente e
divisiva blindata dal Consiglio europeo.
Restano sul
tappeto le incertezze legate alla tempistica degli interventi reali.
L’accordo dovrà superare tre importanti step: la ratifica
nazionale da parte degli Stati membri dell’Unione, il negoziato
comunitario dei Piani nazionali in linea con le “raccomandazioni”
Ue, il voto di approvazione del bilancio da parte del Parlamento di
Strasburgo. Un percorso tutto in salita. Il Fondo per la ripresa
distribuirà risorse tra il secondo semestre 2021 e il 2023, e
rimarrà in vita fino al 2026. Il rimborso dei prestiti deve iniziare
l’anno successivo. I Ventisette dovranno mettersi d’accordo per
garantire al bilancio comunitario nuove risorse proprie (imposta
sugli imballaggi in plastica non riciclati, digital tax europea,
imposta sulle transazioni finanziarie). Per l’Unione europea un
passaggio delicato in attesa di prendere il largo verso un orizzonte
politico nuovo che faccia finalmente pulizia del dumping fiscale in
qualche Paese “frugale” (Olanda) e delle infrazioni allo Stato di
diritto in qualche Paese di Visegrad (Ungheria).
E sarà il
D-Day della nuova Europa. Sarà la risposta a un sovranismo che
“continua a non comprendere il funzionamento di un sistema ad alta
interdipendenza come l’Unione europea per raggiungere obiettivi
convergenti”, ha commentato il politologo Sergio Fabbrini sulle
colonne del Sole24Ore. “Ogni leader sovranista guarda all’Ue dal
buco della sua serratura nazionale. Per i sovranisti al governo nei
Paesi dell’Europa dell’Est, si tratta di preservare la quota di
aiuti europei che ricevono, per gestirli in piena autonomia, per i
sovranisti all’opposizione nel resto dell’Europa, si tratta di
denunciare ogni accordo come tradimento degli interessi nazionali.”
Sotto accusa l’inquietante semplicismo analitico per catturare
consensi elettorali e l’incapacità di capire le logiche politiche
che sono alla base di ogni costruttiva azione di governo. E’ facile
soffiare sul fuoco della protesta e del disagio sociale, ma molto
difficile trasformare la protesta in seria proposta politica,
coniugando -con senso di responsabilità- l’interesse nazionale con
quello europeo in una illuminata visione storica, aperta a un
contesto politico-economico mondiale in continua evoluzione.
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