“Si dovrebbe smettere di chiamare
“bestie” gli animali e “padroni” le loro umane metà. Non si
è mai abbastanza sensibili e parlare è già un modo di agire. C’è
da inorridire sfogliando i vocabolari, notando come certe definizioni
offensive, attribuite a termini concernenti il mondo animale, siano
ancora in circolazione.” – Brina Maurer
Brina Maurer pone al lettore una
riflessione importante sul linguaggio, su come le parole abbiano
assunto un uso dispregiativo (bestie) o di possesso (padroni), su
come l’essere umano lo adoperi per allontanarsi dallo status di
animale disprezzando in realtà ciò che è.
L’interesse dell’autrice si pone
sulle somiglianze tra animale ed animale, tra umano e cane per
l’esattezza, in uno studio profondo di ciò che fa l’uomo e ciò
che fa il cane. “Corrispondenze continue” nel sentire e
nell’agire annotate dettagliatamente in pagine e pagine di diari.
Brina Maurer (pseudonimo di
Claudia Manuela Turco) è nata il 15 dicembre 1970 e vive nella
campagna friulana. Si è laureata in Lettere e Filosofia
(Conservazione dei Beni Culturali) con lode, è stata giornalista
pubblicista ed è poeta, romanziere, diarista, biografa e critico
letterario.
“Vocabolari e altri vocabolari”
è stato pubblicato a giugno 2020 dalla casa editrice Macabor
Editore nella collana “I fiori di Macabor”, con elaborazione
grafica su fotografia di Marco Baiotto. La prefazione è stata
curata da Lucia Gaddo Zanovello.
“[…] Passano gli anni,/ e
l’ipersensibilità/ è sempre più indesiderata./ Nulla da
denunciare,/ nulla da dichiarare./ L’importante è/ non creare
problemi.// […]” – “Isa-bella
addormentata in ospedale”
A.M.:
Brina, la ringrazio per il tempo concesso in questa intervista e mi
complimento per questa sua nuova raccolta dal titolo “Vocabolari e
altri vocabolari”. Dovrebbe essere il ventiseiesimo?
Brina
Maurer: Ringrazio
innanzitutto lei, dott.ssa Alessia Mocci, per l’invito a
partecipare a questa intervista e per aver letto Vocabolari
e altri vocabolari.
Sono
poeta, romanziere, diarista, biografa e critico letterario e sono
stata giornalista pubblicista. All’attivo ho pubblicazioni di vario
genere, per argomento ed estensione. Risulta, pertanto, alquanto
difficile quantificarle. Penso sia ragionevole dire che ho scritto
circa 25 libri, più di 200 articoli e oltre 4.500 pagine
manoscritte. E molto altro, che però ho distrutto.
I
cani sono la mia vita. Il 25 giugno 2007 ho adottato Glenn (Lord
Glenn). A lui ho dedicato un Ciclo di oltre 1600 pagine di narrativa
intrecciata alla diaristica. Il 1° agosto 2011, invece, è avvenuta
l’adozione di Mughetto (Mr. Mughy), un cane altrettanto speciale,
al quale ho dedicato 42 diari, di cui 38 manoscritti. Entrambi mi
hanno salvato la vita, restituendomi la gioia rubatami dagli umani,
moltiplicata all’infinito. Grazie a loro la mia esistenza non è
stata solo orrore ma anche magia.
A
lungo ho scritto combattuta tra due fuochi: Vittorio Alfieri e Lord
Byron. Anche loro nutrivano una forte passione per gli animali e la
loro opera, come la mia, non può venire separata dalla loro vita.
Ora, però, i miei due fuochi sono Lord Glenn e Mr. Mughy. Mi hanno
ispirato atmosfere da romanzo romantico e da fiaba.
Se
potessi ritornare indietro, eviterei di scrivere alcuni testi che ho
pubblicato, anche se è vero che a loro modo sono serviti per
arrivare alla meta. Non si possono mettere sullo stesso piano, per
esempio, i miei contributi di critica e le opere dedicate ai miei
adorati cani. Dei primi si potrebbe tranquillamente fare a meno, le
seconde sono necessarie. Ho saputo di alcuni cani anziani e malati
che sono stati salvati proprio grazie alla lettura delle storie di
Glenn e Mughy. Ciò dà senso a tutto il mio lavoro, a tutte le mie
fatiche, a quel mio disperato farmi male fisicamente e mentalmente
per scrivere.
Sin
da bambina non ho mai desiderato di diventare una scrittrice, ma ho
sempre saputo di esserlo e di non poter fare diversamente. Cosa che
non ho mai vissuto come un dono, bensì come una maledizione.
Con
la scrittura mantengo un rapporto di amore-odio. Cerco la poesia
anche nella prosa, tra “frecce di luce” (il trionfo della
bellezza sul dolore) e “dardi avvelenati” (sono entrambi titoli
di mie sillogi poetiche).
Sin
da bambina sono stati i cani a insegnarmi cosa sia la poesia. La
poesia è qualcosa che è nell’aria, e aspetta di essere colta, di
venire catturata. Non considero la parola come strumento necessario
alla poesia. Se «il
poeta è la più impoetica delle cose che esistono»
(J. Keats), il cane è l’essere più poetico. Fantasioso, sempre
curioso e mai noioso.
A.M.:
Ammetto che il titolo della raccolta mi ha lasciata stranita per la
ripetizione di “vocabolari”. La copertina, però, giunge in aiuto
al lettore con la fotografia di una donna e di Mr. Mughy.
Brina
Maurer: Il
titolo della silloge – Vocabolari
e altri vocabolari
– deve sicuramente qualcosa a Colori
e altri colori di
Fabrizio Dall’Aglio (Passigli, 2014) e in esergo compare la domanda
«chi
v’ha dotato di lingua nelle code?»,
tratta dal Compendio
di retorica
di Daniele Gorret. Nutro un rapporto di amore-odio anche con la
lettura, raramente mi piace qualcosa di quello che leggo (e leggo
tantissimo), ma adoro questo libro edito nel 2008 da Campanotto.
Ci
sono vocabolari consacrati e vocabolari più o meno “clandestini”.
La lingua degli animali è un po’ come i dialetti: piena di
dignità, ma calpestata.
Con
i miei cani non sono mai stata zitta, se non quando dormivano, e loro
hanno sempre interagito con me, cercando di rispondermi non soltanto
nella loro lingua, ma anche sforzandosi di farmi capire in altro
modo, con altre “parole”, quando restavo perplessa. Con loro ho
potuto notare “corrispondenze” continue tra quello che fa l’uomo
e quello che fa il cane. Ognuno ha la sua personalità e il suo
bagaglio di esperienze, e quindi ognuno fa un uso personale della
lingua, e molto dipende dall’interlocutore, da quanto l’essere
umano sia disposto ad ascoltare. Imparare a parlare con il proprio
cane è come imparare una lingua straniera, per certi aspetti.
Personalmente
considero la parola più un limite che un dono. Genera molti
malintesi. Quel che significa “amare” per qualcuno, può avere
significato diametralmente opposto per qualcun altro. Si dovrebbe
smettere di chiamare “bestie” gli animali e “padroni” le loro
umane metà. Non si è mai abbastanza sensibili e parlare è già un
modo di agire. C’è da inorridire sfogliando i vocabolari, notando
come certe definizioni offensive, attribuite a termini concernenti il
mondo animale, siano ancora in circolazione.
L’uomo
crea gerarchie di continuo, e competizione. Così non si coglie il
vero senso della vita, non si apprezza quel poco che veramente conta,
si disprezza quanto ha più valore.
L’intelligenza
pratica degli animali viene strumentalizzata per sfruttare gli
animali stessi. Ma siamo tutti animali. E non tutti possono essere
Einstein, non tutti vogliono andare sulla luna, non tutti sono
curiosi o fantasiosi… Come ho scritto in Neraneve
e i sette cani – Storia di antiche violenze (Italic,
2018, prefazione di Luigi Fontanella), se l’uomo disponesse
dell’olfatto del cane, diremmo che l’intelligenza risiede nel
naso.
Per
la stesura di Vocabolari
e altri vocabolari,
avvenuta tra il 14 e il 23 aprile 2020, sono stati necessari molti
anni di gestazione. Determinante, il lavoro diaristico iniziato nel
2007 e proseguito sino al 2020, condotto con passione e ostinazione
insieme a Glenn e Mughetto.
La
stesura effettiva è stata così rapida, perché all’improvviso ho
realizzato che era questione di vita o di morte. La mia esistenza e
la scrittura sono sempre state inscindibili. La pandemia ha
esacerbato un malessere di fondo, accelerando il processo creativo.
Non potevo saperlo, ma un paio d’ore dopo aver finito il libro,
infatti, è successo qualcosa per cui in seguito non avrei più
potuto concluderlo. Il piano originario era di 20 poesie, poi
ristretto a 12, poi a 10. Il pomeriggio del 23 aprile capii che non
potevo andare oltre. Troppo doloroso. E lo sarebbe stato anche per un
lettore sensibile.
Le
notizie di cronaca che mi hanno più colpito nel corso degli anni si
sono sedimentate nella coscienza, per non abbandonarla più,
continuando a tormentarmi. Mi risultava assolutamente intollerabile
pensare che a Mughetto sarebbe potuto succedere qualcosa di simile.
Dovevo scrivere questo libro per lui, per Glenn e per tutti gli
indifesi come loro.
Per
i “Diari di Mr. Mughy” ho svolto un lunghissimo e faticosissimo
lavoro, insieme a Mughetto. Mentre continuavamo tale stesura (lui
vivendo scriveva),
negli ultimi tempi vi ho sovrapposto anche un lavoro di rilettura e
una riflessione sul tutto a livello formale (finalizzato comunque
solo a una lieve limatura), usando molti vocabolari, grammatiche e
qualche enciclopedia. Questo approfondimento sulla lingua mi ha
consentito di mettere meglio a fuoco l’argomento e il titolo del
libro (Vocabolari
e altri vocabolari).
In origine avevo pensato a Scarpine
da surf,
lavorando sulle fiabe, ma così l’orizzonte sarebbe risultato
alquanto limitato. “Scarpine da surf”, allora, è diventato il
titolo di una poesia.
L’aver
imparato abbastanza bene la lingua canina, mi ha invogliato a cercare
di capire meglio anche la lingua italiana, mi ha invogliato a
riscoprirla, a guardarla con occhi nuovi, a sentirla con orecchi
diversi. Durante le mie ricerche emergevano non poche contraddizioni
e discordanze, talvolta errori evidenti. Mentre osservavo come la
lingua sia cambiata nei suoi vari usi nell’ultimo mezzo secolo e
come tali cambiamenti siano stati registrati nelle varie grammatiche,
mi sono resa conto che spesso quanto veniva considerato “errore”
quando frequentavo il liceo o l’università, nel tempo è stato
riassorbito nel “sistema”. A volte invece mi sono resa conto di
aver avuto, a quei tempi, alcuni professori davvero moderni, perché
certi loro insegnamenti vengono tuttora considerati “scelte
ardite”.
La
fretta del nostro tempo ha lasciato traccia anche nei vocabolari più
apprezzati: alcuni termini liquidati con poche righe, altri
presentano definizioni ed esempi infiniti ma non esaustivi seguendo
un ordine che pare casuale, disomogeneità nello strutturare le voci,
errori di battitura, casi in cui la definizione del termine A rinvia
alla definizione del termine B, la cui definizione rimanda alla
definizione del termine C, che a sua volta fa riferimento alla
definizione di A, così il cerchio si chiude senza, in realtà, aver
definito veramente le singole voci...
Gli
esperti della lingua non di rado si affidano a Google per dare una
risposta alla persona comune, semplicemente facendo un discorso
statistico, matematico. Purtroppo trovo troppi “ragionieri della
lingua” tra le persone comuni, incapaci di vedere che “l’errore”,
o la volontaria eccezione alla regola, può avere una precisa
funzione espressiva.
Tutto
ciò mi ha fatto apprezzare ancor di più la bellezza e limpidezza
del Vocabolario di Mughetto e dei cani in generale!
Inoltre,
per riuscire a scrivere, per me rimangono fondamentali, per creare un
distacco seppur minimo dal dolore, l’arte contemporanea, la storia
dei giardini e l’architettura. Mi aiutano a creare degli argini.
Vocabolari
e altri vocabolari contiene
riferimenti, oltre che al mondo delle fiabe e ad altre mie opere e a
opere altrui, anche a tali ambiti di ricerca.
Perché
possa scrivere un libro devono convergere tantissimi elementi di
diversa origine. Ho una visione d’insieme e sento che, cose che
sembrerebbero non poter stare vicine o sovrapposte, invece devono
incontrarsi. All’improvviso tutto va a posto, ma è una lotta
all’ultimo sangue.
Scrittura
e lettura sono due facce della stessa medaglia, che è la vita: dare
e ricevere, ascoltare e parlare. Tra le tante letture fatte poco
prima di iniziare la stesura effettiva di Vocabolari
e altri vocabolari,
posso ricordare Le
cose del mondo
di Paolo Ruffilli (Mondadori, 2020), opera esemplare per chiarezza di
visione e capacità di sintesi. Non viene mai persa la profondità
del dettaglio. Non è mai possibile sapere che cosa o chi mi aiuterà
a “sbloccarmi”, per poter iniziare a scrivere. Stavolta mi ha
aiutato a trovare la giusta concentrazione, la visita virtuale della
Rothko Chapel, che ho potuto fare grazie al volume di Alessandro
Carrera Il
colore del buio
(Il Mulino, 2019).
In
breve, se sono riuscita a scrivere il libro in soli 10 giorni, lo
devo al lavoro portato avanti ogni giorno per anni e anni insieme a
Mughetto. A essere sincera considero lui il vero autore. Senza di lui
non avrei mai scritto Vocabolari
e altri vocabolari.
È stato lui a ispirarli, a farmi riflettere, a farmi capire. Lui mi
ha insegnato tanto e mi ha anche guidato. Considero i diari di cui ho
curato la stesura tra il 2007 e il 2020, opere scritte vivendo, opere
lasciatemi in eredità da Glenn e Mughy. Non potevo ricevere dono più
grande del tempo trascorso con loro e i diari non sono “miei”,
bensì la loro biografia.
La
fotografia in copertina ritrae me e Mughetto ed è stata scattata da
mio marito Marco Baiotto. Ho la fortuna di poter disporre delle sue
sempre sincere critiche, nelle fasi finali dei miei lavori. Da soli
non si va lontano. Senza di lui non avrei mai potuto adottare Glenn e
Mughy, e senza di loro tre non avrei scritto i miei libri più
importanti.
A.M.:
Nella prefazione, Lucia Gaddo Zanovello scrive: “Gli
umani si comportano in modi diversi con gli animali, ma alcuni di
loro non li rispettano e molti ancora purtroppo non si preoccupano
minimamente di come vengano trattati, nemmeno quando vengono
torturati.”
È in accordo con questa affermazione?
Brina
Maurer: Sì,
sono d’accordo. Molti dicono di amare gli animali ma, se si scava,
si scopre che intendono l’amare gli animali in modi ben diversi,
persino contrastanti. Inoltre, il discorso rientra in quello più
ampio della violenza in generale, sia fisica che psicologica,
soprattutto sugli indifesi. Non scrivo mai di animali per parlare
solo dell’uomo. Ci tengo a precisarlo, perché non di rado ho letto
libri in difesa di tutti gli esseri viventi, poi presentati da alcuni
recensori in un’ottica di puro beneficio per l’uomo. Questo è un
grande problema. Costanti della mia poetica sono: il voler dar Voce a
chi la cui Vita non gli appartiene, l’umanità degli animali,
l’animalità dell’uomo, la dimensione di solitudine e malattia
cui è condannato il diverso tra i diversi.
Quando
ascolto certi discorsi sulla difesa dell’essere umano e dei suoi
diritti, sento quasi sempre un pugno nello stomaco, perché non si
dovrebbe parlare degli “animali umani” comportandosi come se gli
“animali non umani” non esistessero. Si dovrebbe sempre
focalizzare il discorso sugli “esseri viventi”, nella loro
totalità.
In
Vocabolari
e altri vocabolari,
il
personaggio di Isabella è un esempio di come spesso vengono trattati
male gli esseri umani, indipendentemente dall’età e dal sesso,
dagli altri umani.
Non
di rado il peggior nemico del bambino malato è il bambino sano, e la
madre che sbatte il cane fuori di casa per pigrizia, perché le pesa
pulire un po’ di più, in realtà non vuole bene né al cane, né
al bambino. I bambini istintivamente amano gli animali e la loro
armoniosa convivenza consente una crescita equilibrata, senza bisogno
di droghe o alcol per sfuggire a una tetra realtà.
Le
brutte cose che spesso la gente mi diceva in presenza di Glenn
(ferendo entrambi), perché adottato già anziano, zoppo, cieco e con
problemi di cuore, non erano diverse dalle frasi che la gente diceva
a mia madre in mia presenza, quando ero una bambina malata, facendo
come se io non esistessi o non potessi capire. Quasi mai ho
conosciuto qualcuno in grado di amare gli animali e non gli umani.
Invece ho conosciuto tantissime persone capaci di fare del male sia
agli animali che alle persone.
Il
testo della prefazione di Lucia Gaddo Zanovello in origine era il
testo della quarta di copertina. Ho voluto io che diventasse
prefazione perché, a causa della rilevanza del messaggio e della
gravità del contenuto del libro, non avevano importanza eventuali
considerazioni sul mio percorso poetico e sugli aspetti stilistici
dell’opera. Questa introduzione, priva di inutili fronzoli,
focalizza l’attenzione sulla sofferenza degli animali, anche se i
miei libri parlano sempre di violenza e sofferenza in generale. Ma,
mentre per l’uomo abbondano le occasioni di riflessione in difesa
dei suoi diritti, per gli animali il fenomeno è ancora purtroppo
molto ristretto. Quindi, non si possono sprecare le opportunità che
si presentano.
A.M.:
Nel primo componimento che dà il titolo alla raccolta si legge: “[…]
E le inversioni inattese:/ la religione come scienza,/ la scienza
come religione,/ la preghiera che offende come bestemmia,/ la
bestemmia che vuol essere preghiera,/ la folle o profetica
allucinazione.// […]”.
Perché il mutare della società umana è un rovesciamento?
Brina
Maurer: Forse
perché spesso ci si fossilizza tra due possibilità, come se si
fosse a un bivio, e, accertato che una delle due sole scelte ritenute
possibili non era quella giusta, si passa all’altra. Può sembrare
più facile ripartire da zero, piuttosto che salvare il salvabile per
poi proseguire correggendo la direzione. Così, però, ci possono
essere enormi sprechi. Un orientamento rivelatosi fallimentare fa
spesso fuggire nella direzione opposta. Quasi come un gatto che,
salito sulla stufa accesa, non vuole più salire nemmeno sulla stufa
spenta.
Nei
versi citati faccio riferimento a chi cerca di imporre agli altri la
propria fede come se fosse una verità di scienza e a chi, al
contrario, abbraccia la scienza come un credo religioso, senza
lasciare spazio ai sogni, alla speranza e all’immaginazione,
soprattutto degli altri.
Nella
società umana non mi sono mai sentita rappresentata. Ma non me la
sento di puntare il dito contro la classe politica, o meglio, avrei
qualcosa da ridire non soltanto contro di essa. Infatti, mi sorprende
che siano state fatte certe conquiste a livello legislativo, perché,
se fosse dipeso dall’uomo o dalla donna “comune”, tutto ciò
probabilmente non sarebbe stato possibile.
A.M.:
Nel componimento “Ho ucciso” si legge: “[…]
Io,
assassina.// Per giorni sotto shock,/ confidandolo a tutti./ Cercavo
un tribunale cui affidarmi,/ una cella in cui nascondermi.// […]”.
Versi che si contrappongono ai successivi nei quali l’interlocutore
non si affligge per la morte accidentale ma la giustifica con un
semplice: “Capita”. Mettendo l’accento sulla differenza di
sensazione tra gli esseri umani davanti ad una stessa esperienza, se
da un lato troviamo l’Io poetico che si angoscia per lo sciagurato
incidente dall’altro troviamo un “capita” ed una gattara che
propone un improponibile suicidio. Perché l’essere umano è in
conflitto con la morte?
Brina
Maurer: L’episodio
che ha ispirato la poesia è realmente accaduto. La vittima, un gatto
investito accidentalmente da un’automobile. Mentre chi guidava e
chi gli stava accanto, come è giusto che sia, si sentono
responsabili e il passare del tempo non potrà cancellare quel
ricordo, che è trauma, altri minimizzano. Qui il problema non è
tanto la legge che non è abbastanza severa, perché chi ha causato
la morte avrebbe voluto qualcuno cui potersi consegnare e i sensi di
colpa non spariranno, bensì l’incapacità di capire, da parte di
chi vorrebbe consolare rendendo il peso che grava sulla coscienza più
sopportabile, che questa non è la via da seguire.
Né
la religione, né la scienza, per quanto mi riguarda, offrono un
supporto adeguato, per poter affrontare con un minimo di serenità
l’idea della morte e il lutto. Personalmente ho trovato appiglio
nelle sincronicità junghiane, che sono un fatto intimo, che non va
dimostrato a nessuno, né gli altri devono crederci.
Inoltre,
la scrittura consente la creazione di un ponte tra il mondo materiale
e l’aldilà o l’invisibile. E la poesia può essere paraurti, e
non semplicemente “per paraurti” (cfr. Alessandro Carrera, Poesie
per paraurti,
Mobydick, 2012).
Se
si imparasse ad affrontare la morte senza troppa sofferenza, si
imparerebbe anche a vivere meglio.
Ovviamente
ci sono individui che, grazie a un particolare tipo di vissuto,
possono andarle incontro senza troppe ansie. Ogni caso è a sé. Non
bisogna mai appiattire l’esperienza di qualcuno su quella di
qualcun altro.
Poiché
«Il tempo non continua», si deve sperare «Che
tutto avvenga per miracolo/ e quel piede che schiaccia/ diventi
alato»,
come ha scritto Luigi Fontanella ne La
morte rosa
(Stampa 2009, 2015). Anche se ci si chiede «A
chi resterà questo Tutto?/ Per chi questa ripetizione sfuggente?»
(ancora Luigi Fontanella, in Round
Trip,
Campanotto, 1991) e anche se resta solo «il
pensiero pensato della rosa»,
«intanto
è geiser,/ soffione
boracifero, spumante»,
come afferma, ne Le
cose del mondo,
Paolo Ruffilli.
In
realtà, come ho avuto modo di osservare in Vocabolari
e altri vocabolari,
dobbiamo difenderci dalla vita e non dalla morte. Molto più
terribile del morire considero, infatti, il dover sopravvivere a chi
più amiamo e che più ci ha amato. Come ha scritto Bonifacio
Vincenzi ne La
vita della parola
(Macabor, 2020), «Mi
distrugge la consapevolezza/ del tuo involontario commiato»,
«Saperti
in un posto inimmaginabile»…
«resto
fermo/ in attesa di un prodigio»…
«se
ti allontani/ dai miei pensieri/ non c’è giallo di ginestre/ né
battito d’ali/ o azzurro di cielo/ che non mi riporti/ la tua
voce».
Qui colgo l’occasione per ricordare anche una citazione che può
dare un po’ di conforto, inserita nel medesimo volumetto: «La
consuetudine del nome/
mi
rassicura della tua esistenza –/
giustifico
il silenzio/
con
l’incapacità dei sensi»
(Pino Corbo).
A.M.:
Nel componimento “Fiabe in fiamme” si legge: “[…]
Sbagliare non può voler dire/ godere nel far soffrire qualcuno/
davanti ai propri occhi,/ con le proprie mani.// […]”.
Nella strofa precedente un verso risponde in modo esaustivo:
“qualcuno
ha partorito e cresciuto”.
La società dell’urbano ha mutato profondamente i suoi insegnamenti
così da lasciare i figli in mano ai soli genitori, rispetto a
situazioni di più ampio respiro nelle quali gli anziani istruivano
sui costumi del bene e del male. Ritiene che per l’essere umano ci
possa essere redenzione?
Brina
Maurer: Ho
dovuto scrivere “Fiabe in fiamme” dopo aver letto di un povero
cane torturato con il fuoco. Accidentalmente vidi le fotografie in
Internet. Era un pomeriggio in piena pandemia. Provai un dolore
insopportabile e, in ginocchio, piangendo disperata, continuavo a
dire: “Cosa
ti hanno fatto? Cosa ti hanno fatto?”.
Mughetto (era nella stanza accanto), avendo subito capito che
qualcosa mi aveva sconvolto, venne da me preoccupato. Non sono più
riuscita a togliermi dalla testa quelle immagini. In seguito le ho
sovrapposte al ricordo di altri delitti analoghi, avvenuti nel corso
del tempo. Di uno in particolare, verificatosi in Friuli, le immagini
viste al telegiornale dopo tanti anni ancora mi perseguitano.
Alle
parole occorre far corrispondere dei contenuti precisi. Le astrazioni
non aiutano. Ricerca di redenzione, a seguito di cosa? Se un bambino
ha messo e fatto esplodere dei petardi nelle mutandine di una bambina
o nel naso di un cane o di un gatto accecandolo e spappolandogli la
faccia, sinceramente il mio primo pensiero va alla bambina e al cane
o gatto. Pochi si preoccupano per le vittime. Prima di tutto occorre
fare in modo che quel bambino non costituisca mai più un pericolo
per nessuno.
Occorre
distinguere tra errore, cattiveria e malattia mentale.
Per
le possibilità di redenzione e per il ruolo rieducativo delle
carceri, non c’è una regola generale. Occorre considerare caso per
caso. Mi vengono in mente Le
stanze del cielo di
Paolo Ruffilli (Marsilio, 2008), dedicate “a
quanti hanno perduto per colpa propria o altrui la luce della loro
libertà”.
Di
certo i genitori hanno responsabilità per quello che fanno i loro
figli minori. La scuola non può molto, se poi il bambino/ la bambina
o il ragazzino/ la ragazzina rincasando trova un padre violento, una
madre ubriaca, il nonno molestatore, una nonna che picchia il cane o
altra situazione analoga.
Il
carnefice può essere stato vittima a sua volta oppure no. Non tutte
le vittime che hanno subito le stesse atrocità diventano mostri.
Credo che, a fronte di certi delitti commessi, lo stesso “autore”
del crimine, se prendesse veramente coscienza di quello che ha fatto,
per primo chiederebbe l’eutanasia o cercherebbe di togliersi la
vita.
Di
recente ho sentito un’esperta della psiche dire che l’essere
umano stenta persino a cambiare tipo di formaggio quando va al
supermercato, quindi è ben comprensibile quanto sia difficile, se
non impossibile, un effettivo cambiamento a fronte di certe
efferatezze compiute. Ritengo, come viene insegnato in alcuni manuali
di scrittura creativa, che il personaggio, per poter cambiare, debba
possedere il tratto del cambiamento nella propria personalità.
In
“Bambini di serie B” (racconto lungo, contenuto in Glenn
amatissimo – Il cane che mi salvò la vita,
Il Ciliegio, 2013) si può leggere di una bambina che ha maltrattato
una cagnolina (fatto realmente accaduto), a causa di una visione
distorta della realtà, e che poi è riuscita a cambiare
completamente. Fu la stessa cagnolina a darle una grande lezione di
vita, dandole la zampina anziché restituire il male ricevuto.
Come
ha scritto Ivano Mugnaini, introducendo alla lettura di Come
un bruco assetato di cielo
di Marco Baiotto (Macabor, 2018): «Ci
si salva, nel frangente in cui ci si accorge che tutto è “feribile”.
Perché tutto respira, ha una pelle, degli organi, tutto è
organismo, un insieme, regolato da totalità e trasformazione. Tutto
è feribile perché tutto è vivo. Ed ha la stessa sostanza di cui
anche noi siamo fatti. Noi, le formiche, le farfalle che ci sono e
che verranno, e il bruco che, proprio come noi, ha il corpo e la
mente tra il terreno e il cielo, tra carne e pensiero, realtà e
sogno, fatto anch’esso di materia pulsante, e quindi feribile,
anch’esso».
Nel
corso del tempo ho conosciuto alcune persone che hanno rovinato la
propria vita per colpa della droga. Hanno iniziato a fare uso di
stupefacenti, perché non riuscivano ad accettare le ingiustizie del
mondo. Inoltre, non avevano nessuno con cui poter parlare veramente.
Non sono finite dietro le sbarre, ma la loro prigione è un’altra.
Non
è questione di dimenticare o perdonare. Le colpe non si cancellano.
Occorre diffondere libri che aiutino veramente a cambiare la
mentalità della gente, a diventare più sensibili, più attenti alle
esigenze degli altri. Occorre agire alla radice del problema, ma è
un processo lungo.
Soprattutto
è e sarà sempre necessario essere accoglienti e protettivi nei
confronti degli esseri più fragili.
I
genitori dovrebbero fare autocritica e non offendere, per
autoassolversi, chi, per esempio, non ha figli e gli fa giuste
osservazioni. Non è vero che fare il genitore è il mestiere più
difficile in assoluto. Dipende da che genitore e che figlio entrano
in relazione. Quello che è facile o difficile per qualcuno, non è
detto che lo sia anche per qualcun altro. Lo stesso vale per chi ha
cani. Certo, basta un attimo di distrazione e può avvenire la
catastrofe, come con i bambini. Ma se un cane, che è stato
avvelenato nel cortile di casa sua, non fosse stato lasciato da solo
all’esterno per chissà quanto tempo, come un antifurto, magari non
gli sarebbe capitato nulla di male. Non è un obbligo, né mettere al
mondo figli, né adottare cani. Se non ci sono i presupposti per
tenerli bene, è meglio fare altro.
La
più grande fortuna di Mughetto, prima di incontrarci, è stata
quella di rimanere in un canile dove veniva trattato bene. Non vorrei
essere al posto di chi deve decidere se accogliere o meno una
richiesta di adozione. Certa gente sa fingere molto bene.
Tutti
dovremmo esercitare costantemente l’autocritica, per fare sempre
meglio. E se qualcuno ci consiglia bene ma ha agito male, non è una
buona ragione per agire male anche noi.
A.M.:
Durante gli ultimi mesi, a causa della pandemia, tanti scrittori
hanno optato per una presentazione online dei libri con dirette sui
social network. Utilizzerà anche lei questa via oppure, con l’arrivo
della bella stagione estiva, proporrà una presentazione all’aperto?
Brina
Maurer: Purtroppo
la pandemia al momento mi rende ancora impossibile qualsiasi forma di
programmazione. Dipenderà dall’evolversi della situazione, sia per
il discorso delle presentazioni, sia per la partecipazione ai
concorsi. In ogni caso, il sito di Macabor Editore e la relativa
pagina Facebook terranno aggiornati i lettori.
A.M.:
Salutiamoci con una citazione…
Brina
Maurer: Ringraziandola
ancora, saluto cordialmente lei e i lettori, ricordando una battuta
di Yul Brynner in Anastasia:
“Quello
che è difficile per gli altri è semplice per me, ma quello che è
semplice per gli altri per me è impossibile”.
A.M.:
Brina,
chiudendo questa profonda e sincera intervista vorrei sottolineare
una sua affermazione iniziale perché penso possa essere di grande
aiuto: “Entrambi
mi hanno salvato la vita, restituendomi la gioia rubatami dagli
umani, moltiplicata all’infinito.”.
“La
gioia rubatami dagli umani”,
prendere in mano il proprio presente e comprendere con quali esseri
percorrere la propria vita, prendersi cura di sé e dell’altro.
Lord Glenn e Mr. Mughy sono stati fortunati ad aver trovato lei come
compagna di vita, così come lo è lei nella medesima misura. La
saluto con le parole dello stimato Carl Gustav Jung: “Lodare
e predicare la luce non serve a nulla, se non c’è nessuno che
possa vederla. Sarebbe invece necessario insegnare all’uomo l’arte
di vedere”.
Written
by Alessia Mocci
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Sito
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Fonte
https://oubliettemagazine.com/2020/06/06/intervista-di-alessia-mocci-a-brina-maurer-vi-presentiamo-vocabolari-e-altri-vocabolari/
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