TALI
I PADRI – TALI I FIGLI
Un
lavoro di psico-counseling sulla figura paterna nell’insieme della
personalità - di Vincenzo Capodiferro
È
uscito per l’editore GDS di Vaprio d’Adda, l’ultimo lavoro di
Vincenzo Capodiferro, dal titolo, quanto mai emblematico “Tali i
padri – tali i figli. Saggio psicodinamico sulla paternità”. Il
titolo riprende il senso di un noto proverbio: il “carattere” si
trasmette da padre in figlio, cioè da genitore in genito e diventa
così genetico, in senso spirituale, prima che materiale. Agostino
parlava ancora di “traducianesimo”: l’anima si trasmette nella
specie proprio come accade in una talea, laddove un tralcio viene
trapiantato. Questo piccolo saggio intende rivalutare la figura
paterna, troppo trascurata dalle scuole psicologiche. La madre è
tutto! Tutto la teoria freudiana è incentrata sul complesso di
Edipo, cioè su di un complesso incestuoso, che tutto sommato si
sofferma sulla figura femminile. Le molteplici e svariate attività
dell’uomo divengono trasfigurazioni dell’originaria energia
sessuale, che si scarica sempre in una femminilità. Non si considera
mai la cosa dal punto di vista femminile: la stessa Anna Freud si
sforzò di guardare lo sviluppo dal punto di vista del bambino. Freud
medesimo risente della cultura fallocratica, come tutti gli
scienziati ed i letterati del Novecento avanzato fino ad oggi, come
si evince nel bellissimo testo di Liliana Caruso e di Bibi Tommasi,
“I Padri della fallocultura” del 1974. Non è solo la teoria
freudiana, quanto anche, ad esempio, la teoria etologica: tutto lo
schematismo dell’imprinting di Lorenz si fonda sulla mimesi del
comportamento materno; tutta la teoria di Bowlby si fonda
sull’attaccamento tra bambino e figura materna. Anche se vogliamo
l’evoluzionismo darwiniano e successive modificazioni riprende la
centralità della figura femminile-materna. Non si vuol negare che la
figura materna non abbia un ruolo determinante nello sviluppo
psicofisico del bambino, ma che non sia la sola figura di
riferimento. Non è un caso che i mammiferi vengano denominati in tal
modo, e non papiferi.
Non stiamo qui a scomodare tutti i miti dell’antichità, gli
archetipi ancestrali di Jung. Negli studi che abbiamo riportato in
questo saggio, abbiamo evidenziato come la Natura
di Giacomo Leopardi, madre e matrigna, è la trasposizione della
madre Adelaide Antici; la Volontà
di Arturo Schopenhauer è la trasposizione della madre: potremmo
anche aggiungere la Materia
di Marx. D'altronde la parola Materia
deriva evidentemente da Mater,
la Magna
Mater.
Questo accade per un fatto puramente naturale: nello stato naturale
la separazione del piccolo dalla madre può risultare fatale. C’è
in gioco la sopravvivenza della specie e la Natura, la grande madre,
guarda alla specie più che al singolo. Kierkegaard sostiene che
nell’umanità il singolo prevale sulla specie: ma sono chiacchiere
fresche! Ciò accade nello stato sociale, ma provate ad immaginare
nello stato naturale: l’uomo è un mammifero come gli altri, né
più, né meno! L’uomo si è evoluto, ma la sua base è naturale.
Però lo sviluppo avviene tra madre e padre: sono necessari entrambi
i termini, proprio come nel sillogismo dialettico hegeliano.
Madre-tesi, padre-antitesi, figlio – sintesi. Ma anche un
sillogismo aristotelico potrebbe ben rappresentare il quadro del
corretto sviluppo psico-fisico del ragazzo: madre-premessa maggiore,
padre-premessa minore, figlio-conclusione. La premessa minore è
importante: oggi è stata tolta. L’assenza del padre ha provocato
quella che gli psicologi americani chiamavano “società senza
padre”: una società folle. In effetti l’antica società si
concentrava soprattutto sulla figura maschile. L’elemento maschio
nel pensiero greco era considerato il perfetto, quello femminile
l’imperfetto. Basta ricordare la numerologia pitagorica o la
visione aristotelica della donna: un maschio mancato. Se nell’antica
psicologia la premessa maggiore era il padre, nella nuova psicologia,
dall’800 in poi è stato riconosciuto alla madre questo ruolo. Oggi
invece manca il termine padre: si compie un sillogismo ellittico,
come un cogito
ergo sum.
Però Cartesio ha così diviso il mondo in
padre-spirito/madre-materia. Leggete: “L’errore di Cartesio” di
Antonio Damasio (1994). La personalità è sempre trinitaria ed è
immagine – agostinina-mente – della sempiterna Trinità vivente,
che è la Vita: Padre-Figlio-Spirito, cioè padre-figlio-madre. Tutto
l’insieme si riflette nel singolo, il tutto si rapporta alla parte
e la parte al tutto. Solo recuperando il ruolo paterno nella società
civile si potrà tornare ad una normatività: si sa che la
“normalità”, come riteneva il padre della psicoanalisi, è
impossibile, è sempre al limite dell’anormalità. La follia
collettiva è dovuta al parricidio morale, spirituale e soprattutto
psichico e psico-sociale. Questo modesto e piccolo saggio, pertanto
si propone di voler rivalutare la figura del padre e di conseguenza
del maschio, senza scadere in maschilismo, o paternalismo, d'altronde
il “maternalismo”, o il “femminilismo” sarebbe l’altra
faccia della medaglia. Con ciò si vuole intendere che anche nelle
famiglie atipiche ci deve sempre essere il membro madre ed il membro
madre, altrimenti lo sviluppo non funziona, perché in tutte le cose
debbono essere riportare alla naturalità. Le figure-/funzioni
debbono essere chiare e distinte, anche nelle famiglie allargate: io
sono tuo padre, io sono tua madre! Lo scambio dei ruoli, come spesso
avviene a causa del peterpanismo
diffuso nella società degli adulti, porta ad un capovolgimento dei
termini, per cui il genitore si comporta da figlio ed il figlio da
genitore. Trai vari archetipi dovremmo allora considerare non solo il
parricidio noto di Edipo, ma il matricidio, l’uxoricidio, il
fratricidio e il soricidio,
oltre all’infanticidio. L’Edipo si compie oggi, come complesso
collettivo: l’uccisione del padre, di tutte le figure di autorità,
il parmenicidio dell’essere a livello culturale. Tutto questo
abnorme e crono-storico complesso è cominciato nell’età antica e
giunge fino ad oggi. Ricordiamo trai fatti dei briganti un caso
strano avvenuto nelle nostre terre agli inizi del Novecento. Un
brigante efferato, di nome Groppa, promette un tesoro a due ragazzi
se gli portano in un sacco le teste dei genitori. Groppa scherza, non
pensa che questi giovani possano fare davvero. I ragazzi uccidono i
genitori, solo che la sorella assiste all’omicidio e la colpiscono
a morte. I giovani portano a Groppa le teste e costui rimane
esterrefatto. Intanto la sorella viene tratta in salvo per miracolo
dai vicini ed accusa i fratelli, che vengono presi, arrestati e
condannati a morte. Purtroppo questo evento, seppure potrebbe essere
oggetto di un dramma, purtroppo è un fatto vero che mi fu raccontato
da un anziano del paese, Generoso Viola, e fece scalpore a suo tempo.
Abbiamo riportato, giusto per curiosità, lo stornello che si
ricordava Generoso:
Dite,
dunque, Domenico Groppa,
so
che pesa sull’anima vostra,
ed
ecco la penna e l’inchiostro,
io
son pronto a descriverlo qui.
Signor
giudice ascoltate un pochino.
Io
confesso ben tutto abbastanza.
Di
sortire non ho più speranza,
in
galera mi tocca finir!
Non
avevo compiuto i venti anni,
di
Gisella mi fui innamorato,
dai
suoi cari mi fui ricacciato,
mi
giurai di voler suicidar.
La
ragazza mi voltò le spalle,
entrai
in casa con torbido ciglio:
tutti
e sette ammazzare li volle,
questo
Groppa, fino all’ultimo figlio!
Signori
miei vi voglio raccontare
di
questa storia al mondo mai stata.
Successe
a San Chirico Raparo,
un
paesetto di Basilicata.
Lasciarono
il padre e la madre i poveri figli,
per
prendere da Groppa i mal consigli.
La
sera insieme ai genitori hanno mangiato.
Nella
mezzanotte uno e l’altro si è alzato.
La
testa al genitore hannno tagliato!
Gli
tagliarono la testa con la goccia,
gliela
misero dentro una bisaccia.
L’afflitta
madre seduta sopra il letto,
diceva:
“figli miei che avete fatto!”.
Il
più piccolo figlio maledetto
si
alzò e le tirò un piatto.
Non
gliel’aveva tirato tanto forte,
“adesso
pure a te darò la morte!”.
La
sorella dal letto s’è alzata,
dicendo:
”Mamma mia non sia toccata!”.
Ma
quel crudele figlio si ribella.
Uccise
la madre e ancora la sorella.
La
sorella rimase con un chiodo al sonno.
Dopo
venti giorni si svegliò dal lungo sonno,
rimase
con un chiodo ficcato nella testa
quando
si svegliò fece una grande festa.
Questa
storia era uscita sui giornali dell’epoca. Come si può arrivare a
tanto? Oggi siamo giunti a questo stato, in cui le figure genitoriali
sono state massacrate, e fratelli e sorelle, in pratica la famiglia,
moralmente, spiritualmente è stata sterminata. Purtroppo non
possiamo rimuoverla dal fondo della nostra psiche, perché siamo
mammiferi per natura. La psicosi della società oggi deriva
dall’eccidio della famiglia. Ricordate l’eccidio della famiglia
Romanov? Ecco: questo è un altro esempio dell’eccidio della
famiglia odierna. Ma questo processo è necessario, perché
attraverso questa follia, l’uomo tornerà in se stesso, come è
stato sempre, e recupererà i suoi avi ancestrali. Il primo padre è
Dio, poi viene Adamo, … poi il Figlio e così fino a noi. Risalendo
nella scala infinita della famiglia umana giungeremo così a
ricollegarci al fonte della vita ed a recuperare il senno. Così
Astolfo deve andare sulla Luna per recuperare il senno di Orlando.
Ogni follia deriva dall’amore, non dal sesso, come credeva Freud.
La
più capace e piene ampolla, ov’era
Il
senno che solea far savio il conte,
Astolfo
tolle; e non si è leggiera…
L’uomo
deve recuperare il senno provocato dall’amore andando sulla Luna.
La luna rappresenta il luogo immaginario simbolico ove si ascondono i
ricordi, soprattutto quelli infantili ontogenetici e mitologici
filogenetici (ecco perché Jung si rende conto che i malati di mente
vivono nel mondo ancestrale dell’umanità, cioè nell’infanzia
della specie). L’umanità stessa come specie, oltre che come
singolo, vive il dramma dell’edipicità nella rivolta dei padri
contro i figli. La Natura fa sì che alcuni individui speciali, i
folli, possano richiamare questo ricordo dell’Adamità. Il peccato
originale, in fondo, è un peccato di disamore del Padreterno, la
figura paterna per eccellenza. La religione esprime questo ricordo
ancestrale, non è una nevrosi allucinatoria alla
Feuerbach/Marx/Freud. Tornare sulla luna: cioè nel mondo
dell’inconscio collettivo, ove sono depositati tutti gli archetipi
primordiali di ogni ricordo, per recuperare il senno. Il senno è
dato dalla memoria, il ricordo, cioè il riportare al cuore e si
riporta al cuore solo ciò che si è amato da sempre: Tardi
ti amai, bellezza sempre antica e sempre nuova!
Come esclama Agostino. Cioè il ricordo del Padre, che aspetta sempre
il figliol prodigo, e guarda dai finestrini nella speranza di veder
quel figlio tornare: Torna
deh torna o figlio! Torna al tuo padre amante! Ahi quante volte
quante, io sospirai per te. Ahi quante
– canta il canto – volte
quante, io sospirai per te! Ahi quante volte quante, io sospirai per
te! Da che mi abbandonasti, pace non ebbe il cuore, torna che ti
consolo, non ti scordar di me! Torna che ti consolo, non ti scordar
di me!
Vincenzo
Capodiferro
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