14 maggio 2020

TALI I PADRI – TALI I FIGLI Un lavoro di psico-counseling sulla figura paterna nell’insieme della personalità - di Vincenzo Capodiferro


TALI I PADRI – TALI I FIGLI
Un lavoro di psico-counseling sulla figura paterna nell’insieme della personalità - di Vincenzo Capodiferro

È uscito per l’editore GDS di Vaprio d’Adda, l’ultimo lavoro di Vincenzo Capodiferro, dal titolo, quanto mai emblematico “Tali i padri – tali i figli. Saggio psicodinamico sulla paternità”. Il titolo riprende il senso di un noto proverbio: il “carattere” si trasmette da padre in figlio, cioè da genitore in genito e diventa così genetico, in senso spirituale, prima che materiale. Agostino parlava ancora di “traducianesimo”: l’anima si trasmette nella specie proprio come accade in una talea, laddove un tralcio viene trapiantato. Questo piccolo saggio intende rivalutare la figura paterna, troppo trascurata dalle scuole psicologiche. La madre è tutto! Tutto la teoria freudiana è incentrata sul complesso di Edipo, cioè su di un complesso incestuoso, che tutto sommato si sofferma sulla figura femminile. Le molteplici e svariate attività dell’uomo divengono trasfigurazioni dell’originaria energia sessuale, che si scarica sempre in una femminilità. Non si considera mai la cosa dal punto di vista femminile: la stessa Anna Freud si sforzò di guardare lo sviluppo dal punto di vista del bambino. Freud medesimo risente della cultura fallocratica, come tutti gli scienziati ed i letterati del Novecento avanzato fino ad oggi, come si evince nel bellissimo testo di Liliana Caruso e di Bibi Tommasi, “I Padri della fallocultura” del 1974. Non è solo la teoria freudiana, quanto anche, ad esempio, la teoria etologica: tutto lo schematismo dell’imprinting di Lorenz si fonda sulla mimesi del comportamento materno; tutta la teoria di Bowlby si fonda sull’attaccamento tra bambino e figura materna. Anche se vogliamo l’evoluzionismo darwiniano e successive modificazioni riprende la centralità della figura femminile-materna. Non si vuol negare che la figura materna non abbia un ruolo determinante nello sviluppo psicofisico del bambino, ma che non sia la sola figura di riferimento. Non è un caso che i mammiferi vengano denominati in tal modo, e non papiferi. Non stiamo qui a scomodare tutti i miti dell’antichità, gli archetipi ancestrali di Jung. Negli studi che abbiamo riportato in questo saggio, abbiamo evidenziato come la Natura di Giacomo Leopardi, madre e matrigna, è la trasposizione della madre Adelaide Antici; la Volontà di Arturo Schopenhauer è la trasposizione della madre: potremmo anche aggiungere la Materia di Marx. D'altronde la parola Materia deriva evidentemente da Mater, la Magna Mater. Questo accade per un fatto puramente naturale: nello stato naturale la separazione del piccolo dalla madre può risultare fatale. C’è in gioco la sopravvivenza della specie e la Natura, la grande madre, guarda alla specie più che al singolo. Kierkegaard sostiene che nell’umanità il singolo prevale sulla specie: ma sono chiacchiere fresche! Ciò accade nello stato sociale, ma provate ad immaginare nello stato naturale: l’uomo è un mammifero come gli altri, né più, né meno! L’uomo si è evoluto, ma la sua base è naturale. Però lo sviluppo avviene tra madre e padre: sono necessari entrambi i termini, proprio come nel sillogismo dialettico hegeliano. Madre-tesi, padre-antitesi, figlio – sintesi. Ma anche un sillogismo aristotelico potrebbe ben rappresentare il quadro del corretto sviluppo psico-fisico del ragazzo: madre-premessa maggiore, padre-premessa minore, figlio-conclusione. La premessa minore è importante: oggi è stata tolta. L’assenza del padre ha provocato quella che gli psicologi americani chiamavano “società senza padre”: una società folle. In effetti l’antica società si concentrava soprattutto sulla figura maschile. L’elemento maschio nel pensiero greco era considerato il perfetto, quello femminile l’imperfetto. Basta ricordare la numerologia pitagorica o la visione aristotelica della donna: un maschio mancato. Se nell’antica psicologia la premessa maggiore era il padre, nella nuova psicologia, dall’800 in poi è stato riconosciuto alla madre questo ruolo. Oggi invece manca il termine padre: si compie un sillogismo ellittico, come un cogito ergo sum. Però Cartesio ha così diviso il mondo in padre-spirito/madre-materia. Leggete: “L’errore di Cartesio” di Antonio Damasio (1994). La personalità è sempre trinitaria ed è immagine – agostinina-mente – della sempiterna Trinità vivente, che è la Vita: Padre-Figlio-Spirito, cioè padre-figlio-madre. Tutto l’insieme si riflette nel singolo, il tutto si rapporta alla parte e la parte al tutto. Solo recuperando il ruolo paterno nella società civile si potrà tornare ad una normatività: si sa che la “normalità”, come riteneva il padre della psicoanalisi, è impossibile, è sempre al limite dell’anormalità. La follia collettiva è dovuta al parricidio morale, spirituale e soprattutto psichico e psico-sociale. Questo modesto e piccolo saggio, pertanto si propone di voler rivalutare la figura del padre e di conseguenza del maschio, senza scadere in maschilismo, o paternalismo, d'altronde il “maternalismo”, o il “femminilismo” sarebbe l’altra faccia della medaglia. Con ciò si vuole intendere che anche nelle famiglie atipiche ci deve sempre essere il membro madre ed il membro madre, altrimenti lo sviluppo non funziona, perché in tutte le cose debbono essere riportare alla naturalità. Le figure-/funzioni debbono essere chiare e distinte, anche nelle famiglie allargate: io sono tuo padre, io sono tua madre! Lo scambio dei ruoli, come spesso avviene a causa del peterpanismo diffuso nella società degli adulti, porta ad un capovolgimento dei termini, per cui il genitore si comporta da figlio ed il figlio da genitore. Trai vari archetipi dovremmo allora considerare non solo il parricidio noto di Edipo, ma il matricidio, l’uxoricidio, il fratricidio e il soricidio, oltre all’infanticidio. L’Edipo si compie oggi, come complesso collettivo: l’uccisione del padre, di tutte le figure di autorità, il parmenicidio dell’essere a livello culturale. Tutto questo abnorme e crono-storico complesso è cominciato nell’età antica e giunge fino ad oggi. Ricordiamo trai fatti dei briganti un caso strano avvenuto nelle nostre terre agli inizi del Novecento. Un brigante efferato, di nome Groppa, promette un tesoro a due ragazzi se gli portano in un sacco le teste dei genitori. Groppa scherza, non pensa che questi giovani possano fare davvero. I ragazzi uccidono i genitori, solo che la sorella assiste all’omicidio e la colpiscono a morte. I giovani portano a Groppa le teste e costui rimane esterrefatto. Intanto la sorella viene tratta in salvo per miracolo dai vicini ed accusa i fratelli, che vengono presi, arrestati e condannati a morte. Purtroppo questo evento, seppure potrebbe essere oggetto di un dramma, purtroppo è un fatto vero che mi fu raccontato da un anziano del paese, Generoso Viola, e fece scalpore a suo tempo. Abbiamo riportato, giusto per curiosità, lo stornello che si ricordava Generoso:

Dite, dunque, Domenico Groppa,
so che pesa sull’anima vostra,
ed ecco la penna e l’inchiostro,
io son pronto a descriverlo qui.
Signor giudice ascoltate un pochino.
Io confesso ben tutto abbastanza.
Di sortire non ho più speranza,
in galera mi tocca finir!
Non avevo compiuto i venti anni,
di Gisella mi fui innamorato,
dai suoi cari mi fui ricacciato,
mi giurai di voler suicidar.
La ragazza mi voltò le spalle,
entrai in casa con torbido ciglio:
tutti e sette ammazzare li volle,
questo Groppa, fino all’ultimo figlio!
Signori miei vi voglio raccontare
di questa storia al mondo mai stata.
Successe a San Chirico Raparo,
un paesetto di Basilicata.
Lasciarono il padre e la madre i poveri figli,
per prendere da Groppa i mal consigli.
La sera insieme ai genitori hanno mangiato.
Nella mezzanotte uno e l’altro si è alzato.
La testa al genitore hannno tagliato!
Gli tagliarono la testa con la goccia,
gliela misero dentro una bisaccia.
L’afflitta madre seduta sopra il letto,
diceva: “figli miei che avete fatto!”.
Il più piccolo figlio maledetto
si alzò e le tirò un piatto.
Non gliel’aveva tirato tanto forte,
adesso pure a te darò la morte!”.
La sorella dal letto s’è alzata,
dicendo: ”Mamma mia non sia toccata!”.
Ma quel crudele figlio si ribella.
Uccise la madre e ancora la sorella.
La sorella rimase con un chiodo al sonno.
Dopo venti giorni si svegliò dal lungo sonno,
rimase con un chiodo ficcato nella testa
quando si svegliò fece una grande festa.

Questa storia era uscita sui giornali dell’epoca. Come si può arrivare a tanto? Oggi siamo giunti a questo stato, in cui le figure genitoriali sono state massacrate, e fratelli e sorelle, in pratica la famiglia, moralmente, spiritualmente è stata sterminata. Purtroppo non possiamo rimuoverla dal fondo della nostra psiche, perché siamo mammiferi per natura. La psicosi della società oggi deriva dall’eccidio della famiglia. Ricordate l’eccidio della famiglia Romanov? Ecco: questo è un altro esempio dell’eccidio della famiglia odierna. Ma questo processo è necessario, perché attraverso questa follia, l’uomo tornerà in se stesso, come è stato sempre, e recupererà i suoi avi ancestrali. Il primo padre è Dio, poi viene Adamo, … poi il Figlio e così fino a noi. Risalendo nella scala infinita della famiglia umana giungeremo così a ricollegarci al fonte della vita ed a recuperare il senno. Così Astolfo deve andare sulla Luna per recuperare il senno di Orlando. Ogni follia deriva dall’amore, non dal sesso, come credeva Freud.

La più capace e piene ampolla, ov’era
Il senno che solea far savio il conte,
Astolfo tolle; e non si è leggiera…

L’uomo deve recuperare il senno provocato dall’amore andando sulla Luna. La luna rappresenta il luogo immaginario simbolico ove si ascondono i ricordi, soprattutto quelli infantili ontogenetici e mitologici filogenetici (ecco perché Jung si rende conto che i malati di mente vivono nel mondo ancestrale dell’umanità, cioè nell’infanzia della specie). L’umanità stessa come specie, oltre che come singolo, vive il dramma dell’edipicità nella rivolta dei padri contro i figli. La Natura fa sì che alcuni individui speciali, i folli, possano richiamare questo ricordo dell’Adamità. Il peccato originale, in fondo, è un peccato di disamore del Padreterno, la figura paterna per eccellenza. La religione esprime questo ricordo ancestrale, non è una nevrosi allucinatoria alla Feuerbach/Marx/Freud. Tornare sulla luna: cioè nel mondo dell’inconscio collettivo, ove sono depositati tutti gli archetipi primordiali di ogni ricordo, per recuperare il senno. Il senno è dato dalla memoria, il ricordo, cioè il riportare al cuore e si riporta al cuore solo ciò che si è amato da sempre: Tardi ti amai, bellezza sempre antica e sempre nuova! Come esclama Agostino. Cioè il ricordo del Padre, che aspetta sempre il figliol prodigo, e guarda dai finestrini nella speranza di veder quel figlio tornare: Torna deh torna o figlio! Torna al tuo padre amante! Ahi quante volte quante, io sospirai per te. Ahi quante – canta il canto – volte quante, io sospirai per te! Ahi quante volte quante, io sospirai per te! Da che mi abbandonasti, pace non ebbe il cuore, torna che ti consolo, non ti scordar di me! Torna che ti consolo, non ti scordar di me!

Vincenzo Capodiferro

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