27 maggio 2020

Lisia – Per l’uccisione di Eratòstene Di Marco Salvario



Lisia – Per l’uccisione di Eratòstene
Di Marco Salvario


Lisia è da sempre ritenuto uno dei più grandi oratori dell’antichità. Nato ad Atene nel 445 a.C., non riuscì mai a ottenere la cittadinanza in quanto figlio di uno straniero, un siracusano apprezzato fabbricante di scudi. Il fatto che, nonostante le sue capacità, la sua reputazione e i suoi meriti verso la città più importante dell’Attica, Lisia non sia mai stato accettato a pieno titolo in quella che, nella nostra fantasia, è la patria della democrazia, ci mostra come la celebrata Atene, sempre contrapposta alla violenta e primitiva Sparta, fosse in realtà una città egoista e gelosa dei propri privilegi; gli immigrati avevano pochi diritti, erano sfruttati e soggetti a tassazioni gravose. Nulla di nuovo sotto il sole.
Di Lisia sono giunte fino a noi una trentina di orazioni delle oltre quattrocento che sembra abbia composto. Il suo stile è elegante, pacato, ben strutturato, molto diverso da quello impetuoso e trascinante di un Demostene; affascina, convince, anticipa e confuta le possibili contestazioni della parte avversa, soprattutto si preoccupa di dimostrare assoluto rispetto per le leggi e per la loro corretta interpretazione, perché allora come adesso, spesso la salvezza dell’imputato non era nella legge scritta, ma nella sua integrazione con le regole di comportamento nella società. Lisia è sempre attento, con raffinata ruffianeria, a fare leva sui valori civici e sui sentimenti dei giurati, portandoli a condividere la propria visione degli eventi.

L’orazione “Per l’uccisione di Eratòstene”, si occupa di un caso apparentemente semplice: Eratòstene seduce la moglie di Eufilèto, viene colto sul fatto dal marito Eufilèto ed è assassinato. I parenti dell’ucciso accusano Eufilèto, difeso da Lisia, di avere premeditato il delitto, facendo cadere la vittima in una trappola.
In caso di condanna per il reo non esiste il carcere ma solo la morte, alla quale l’accusato può di solito sottrarsi con l’esilio e la perdita dei beni.
L’opera di Lisia è un’importante testimonianza, che ci permette di conoscere con ricchezza di dettagli le leggi, i personaggi e la vita in Atene, in un periodo storico turbolento e drammatico.
La vittima, Eratòstene, è un giovane sui vent’anni, donnaiolo, che vive di espedienti e sotterfugi. Adocchia la moglie di Eufilèto ai funerali della suocera e la seduce con lo scopo probabile di farsi mantenere da lei.
Della donna non conosciamo neppure il nome, sappiamo che è giovane anch’essa, è stata fino alla sua caduta una brava moglie e ha dato al marito un figlio. Eufilèto si fida di lei e le lascia il controllo completo sulla casa mentre lui lavora nei campi. Viene da notare che Eufilèto non ha mai per la moglie parole di affetto ricordando il passato, né di odio per il tradimento; ne parla come di un buon sottoposto, ubbidiente e preciso.
Le donne nella tanto civile Atene sono considerate poco, al punto che mentre Eratòstene paga la propria colpa con la propria morte, la donna non è ritenuta responsabile, come se la sua natura fosse troppo fragile e inferiore per opporsi alle lusinghe di un seduttore. La sua condanna è che, essendo stata violata, è diventata guasta e impura, suo marito la ripudierà secondo la legge e le toglierà il figlio; sarà scacciata a bastonate da ogni luogo pubblico o sacro, ma nessuno deve ferirla o ucciderla. Il suo ruolo era quello di una proprietà del marito, un oggetto della casa che una volta che è stato profanato, ha perso ogni pregio e contamina i luoghi sacri con la sua presenza.
Con i nostri occhi disincantati, è facile immaginare come questa ragazza giovane, inesperta, annoiata da una vita chiusa e senza prospettive, con un marito noioso e spesso assente per giorni, fosse destinata a cadere tra le braccia di un avido dongiovanni, ritrovando in quella passione proibita, la vivacità e la gioia che saranno le prime scintille che accenderanno i sospetti di Eufilèto.
Il marito assassino è un borghese piccolo piccolo, proprietario di una casa a due piani che ha condiviso prima con la madre e dopo con moglie e figlio; possiede un piccolo podere e spesso passa la notte sul suo terreno, senza tornare a casa, soprattutto dopo la nascita del figlio.
Eufilèto è presentato come un bravo cittadino ateniese, ligio alla legge scritta e morale. Uccidendo Eratòstene, non ha fatto la vendetta di un proprio torto subito, ma ha compiuto un atto di giustizia verso chi aveva violato la sua casa prima che sua moglie, ha eliminato una pericolosa mela marcia per il bene di tutta la comunità.
Eufilèto è un buon uomo, visto con gli occhi del suo difensore, ma la meticolosa organizzazione della sua vendetta, ci fa ipotizzare che in lui si annidi uno spirito calcolatore e malvagio. Vendetta o, peggio ancora, avido calcolo?
Nel delitto la premeditazione c’è tutta, almeno per i nostri parametri di giudizio. Eufilèto è insospettito dai comportamenti della moglie che arriva a chiuderlo in camera e a uscire la sera con scuse improbabili; in seguito è informato della tresca da un’altra amante che Eratòstene sta trascurando. Il marito tradito fa confessare la propria serva, che ha sempre retto il moccolo alla padrona e, con la sua complicità e quella di quattro selezionati amici/testimoni, coglie gli amanti sul fatto, fa ammettere le proprie colpe al rivale e lo uccide, come da diritto ateniese.
Dalle pagine di Lisia intuiamo le accuse che potrebbero costare la condanna dell’imputato; per brevità ne indico solo due:
1) Eratòstene non sarebbe entrato in casa di Eufilèto per sua decisione ma sarebbe stato attirato nella stessa dalla serva della moglie, in questo modo cadendo nelle mani dei suoi carnefici;
2) Eufilèto avrebbe ucciso il rivale dopo avere cercato di ricattarlo.
Per quanto riguarda la prima accusa, il seduttore poteva essere ucciso giustamente solo se sorpreso nella casa del marito ingannato, per la seconda il movente di Eufilèto non sarebbe stato quello di uccidere un malintenzionato che si è introdotto nella sua casa per approfittare di una sua proprietà (la moglie), ma un avido che, scoprendo che l’amante della moglie si era probabilmente fatto dare denaro o valori, pretendeva di ottenerli in dietro e con gli interessi.

Il processo si svolge nel tribunale permanente allestito nel tempio dell’Apollo di Delfi, poco fuori le mura di Atene. Non conosciamo il verdetto de giudici, ma sembra che Lisia abbia perso solo due cause in vita sua e quindi è ragionevole supporre che Eufilèto sia potuto tornare alla sua vita tranquilla, al lavoro del suo podere e occuparsi dell’educazione del figlio.


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