Intervista di Alessia Mocci ad Ilaria Grasso: vi presentiamo la raccolta Epica Quotidiana
Intervista
di Alessia Mocci ad Ilaria Grasso: vi presentiamo la raccolta Epica
Quotidiana
“Ad ora la poesia è una bomba
disinnescata. Chi inviterebbe un poeta in un programma televisivo o
lo inserirebbe in una organizzazione come fece Olivetti con
Sinisgalli? Nella migliore delle ipotesi spesso vi si dà un ruolo
consolatorio che però si rivolge comunque a pochi. Al poeta dunque
non rimane che fare ciò che il giornalista non può o non vuole fare
e cioè sollevare questioni. In altri fare da portavoce, come ho
provato a fare in Epica Quotidiana.” – Ilaria Grasso
Una bomba. Un’arma senza
munizioni. “La poesia è una bomba disinnescata”.
Ilaria Grasso con accento polemico
(πολεμικός) pone davanti agli occhi l’evidenza
dell’assenza del poeta dai programmi televisivi di attualità e
cultura e dalle imprese, e ci ricorda dell’ingegnere e politico
italiano Adriano Olivetti (Ivrea, 11 aprile 1901 – Aigle, 27
febbraio 1960) che nel 1938 assunse il poeta Leonardo Sinisgalli
(Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981) come
responsabile dell’Ufficio tecnico di pubblicità. Olivetti innescò
la bomba (βόμβος). Ed il poeta fece gran rumore con le vetrine
ed i manifesti pubblicitari che anticiparono di vent’anni il
movimento artistico Pop-Art.
Originaria di Lucera in provincia di
Foggia, Ilaria Grasso vive a Roma da anni, città nella quale
lavora come impiegata. Da osservatrice sensibile ai bisogni ed ai
mutamenti della società, compone versi e collabora con
portali online quali “Carteggi Letterari”, “Poetarum Silva” e
“Zest Letteratura Sostenibile”.
“Epica Quotidiana” è stato
pubblicato nel 2020 da Macabor Editore nella collana “I
fiori di Macabor”, con l’elaborazione grafica della copertina
di Giorgio Ferrarini. La prefazione è stata curata dal poeta
Aldo Nove.
“In autobus al mattino la gente
stanca/ sale per andare a guadagnarsi il pane.// Avanziamo isolati
dai vetri di una bottiglia/ traboccante di una moltitudine di
disperati.// […]” – Ilaria Grasso
A.M.: Ilaria, la ringrazio per
il tempo concesso in questa intervista e mi complimento per questa
sua nuova raccolta dal titolo “Epica Quotidiana”. Rivolgendoci
per un attimo al passato: qual è stato il suo primo passo in
editoria?
Ilaria Grasso: Grazie a Lei perché
in queste domande trovo molta cura nella lettura della raccolta da
parte sua e anche la volontà di iniziare un dialogo artistico e
culturale sul tema del lavoro e della contemporaneità. Era uno degli
effetti che auspicavo con la pubblicazione di “Epica Quotidiana”.
Ad oggi riscontro una scarsa capacità di concentrazione e una
mancanza di volontà o di contenuti del e nel dialogo. Siamo come
persi in una logorrea infodemica senza precedenti che ci impedisce
ascolto profondo e capacità di cooperare dialogando. Succede a
tutti, me compresa. Trovo sia intellettualmente onesto fare questa
premessa prima di partire con l’intervista.
Bene, iniziamo!
Il mio lavoro inizia con la
plaquette dal titolo “Le mie verdi miniere di sale”. Era una
riflessione sul dolore e aveva senz’altro una radice più intima e
intimista ma aveva già in nuce alcune tematiche del lavoro e di una
di quelle che considero una delle tante lotte che dobbiamo mandare
avanti e cioè la questione femminile. E in questo quadro considero
donne anche le donne che non sono nate femmine biologicamente. Ma
ritorniamo all’editoria, cosa a volte diversa dalla letteratura. La
letteratura per me si compone di tre parti. Una è fatta da chi
scrive, l’altra da chi legge, la restante parte è tutta evocazione
e mistero e imprevedibile sorpresa. Rappresenta infatti ciò che ti
trovi a scrivere e che nasce scrivendo o ciò che ti trovi a pensare
leggendo. Le mie verdi miniere di sale
ed Epica Quotidiana sono state pubblicate senza
la richiesta di alcun contributo da parte mia. La plaquette è stata
pubblicata da Arduino Sacco Editore, una piccolissima casa editrice
che ha scommesso sui miei versi; lo stesso ha fatto Macabor Editore
per Epica Quotidiana. Ho mandato la mia raccolta
a svariati editori e in molti mi hanno richiesto contributi fino a
mille euro o hanno risposto che la raccolta, pur nella sua validità,
non era nella loro linea editoriale. Ero sul punto di affidarmi a una
buona tipografia e prepararmi a inviare la raccolta alle varie
redazioni affinché raggiungesse i lettori ma ecco che incrocio nel
mio percorso Bonifacio Vincenzi che con entusiasmo e gratuitamente mi
propone di pubblicare Epica Quotidiana con
Macabor Editore. L’ho ringraziato per questo all’interno della
raccolta. Le prime copie mi arrivano a casa nei primi giorni della
quarantena anche grazie al suo impegno. Insomma ringrazio Bonifacio e
la Macabor editore anche per questo!
A.M.: Nella prefazione de “Epica
Quotidiana”, lo scrittore e poeta Aldo Nove scrive: “[…] la
“chiusa” (quasi sempre gnomica) delle poesie di Ilario Grasso è
fulminante e lapidaria. […] ogni componimento […] è più
frammento di puzzle che tessera di mosaico, si dà nel suo lacaniano
uno-tutto-solo che non riesce più a farsi coro o movimento (eppur si
muove, eppure sotterraneo r-esiste).” Ritiene che questa
descrizione rispecchi i suoi componimenti?
Ilaria Grasso: Aldo Nove lo
conoscevo ma come si conosce un poeta e uno scrittore e cioè tramite
i libri. Avendo letto il suo Sono Roberta e guadagno 250
euro al mese, che è stato materiale fondamentale per la
mia raccolta, l’ho contattato tramite FaceBook per sottoporgliela e
lui è stato molto gentile rispondendo con entusiasmo alla lettura
della raccolta. Abbiamo parlato molto e mi ha incoraggiato a
pubblicarla. Con il tempo siamo diventati amici e ci sentiamo spesso
per confrontarci su varie tematiche e ci vogliamo bene. Aldo ha da
subito inquadrato questo aspetto della raccolta pur non conoscendo i
miei gusti musicali. Parlo dei CCCP e di Giovanni Lindo Ferretti e di
Massimo Zamboni che hanno molto contribuito al farsi del mio
pensiero. Ma ritorniamo a “chiuse”, “mosaici” e “frammenti”.
Mi rispecchio totalmente in ciò che Aldo ha scritto nella
prefazione. Rispondo a queste domande il 29.04.20. Il premier Conte
ci dice che il 4 maggio saremo nella fase 2, i cui contorni sono
ancora opachi. Sia nella fase 1 che nella fase 2 non sono stati
trattati i temi di chi abita da solo, di chi è disabile o ha figli
disabili, di chi non ha una casa o ancora dei tossicodipendenti e
delle prostitute. O ancora vedo molto disinteresse a parlare delle
mafie e della corruzione. Pochi d’altronde anche gli articoli su
questi temi. A fronte dei “Fertility Day”, nessuno al governo si
domanda e propone qualcosa per la salute psicofisica nei bambini.
Come sarà uno stato che non si occupa dei bambini e quindi del
futuro del paese? Anche della cultura si parla poco e dunque chiudo
la domanda con il pensiero di Formica all’interno di un articolo
del giornale Il Manifesto: occorre prima pensare
e poi agire. Cosa pensiamo se non leggiamo? Vedo una strana forma di
collaborazione da parte di chi tace o fa finta di niente per il
“quieto vivere”. Ecco, questo per me non è esattamente far parte
di un coro perché anche nel coro il “contro coro” è importante
per fare musica e movimento e ritmo ma al momento, nello scenario
attuale, non c’è.
A.M.: La raccolta apre con “Le
gesta dei padri” che comprende dieci poesie dedicate a grandi
poeti, dal toscano Franco Fortini al russo Vladímir Majakóvskij.
“Qui a Taranto il rosso dispera./ Ricopre il bucato appena steso
e le facciate dei palazzi./ Ottura occhi e narici. […]” si
legge e subito si comprende, grazie alla forte immagine che il verso
riesce a pennellare, l’incriminato. Perché la poesia è necessaria
nella società?
Ilaria Grasso: Erano altri gli
autunni e altre le primavere, ti direi. Questa mia non è una forma
di nostalgismo ma una feroce presa d’atto che dal passato dobbiamo
apprendere riducendo il margine di errore e conservarne memoria ma
abbiamo il dovere di pensare più in là del nostro tempo e del
nostro spazio con criteri altri e impegnarci tutti a fare proposte
inclusive. Mi si domanda sottilmente del ruolo del poeta nella
società. Ad ora la poesia è una bomba disinnescata. Chi inviterebbe
un poeta in un programma televisivo o lo inserirebbe in una
organizzazione come fece Olivetti con Sinisgalli? Nella migliore
delle ipotesi spesso vi si dà un ruolo consolatorio che però si
rivolge comunque a pochi. Al poeta dunque non rimane che fare ciò
che il giornalista non può o non vuole fare e cioè sollevare
questioni. In altri fare da portavoce, come ho provato a fare in
Epica Quotidiana. Christian Tito, farmacista,
poeta e documentarista, non si è mai stancato di fare poesia
denunciando le storture del marketing e della globalizzazione e di
parlare dell’ILVA, svelando gli aspetti più spinosi della
questione della realtà siderurgica più grande d’Italia. Evidenziò
infatti l’inquinamento e la disperazione dei tarantini di fronte ai
loro morti e alla propria terra stuprata dagli interessi che ruotano
attorno a quello stabilimento. Lo ha fatto fino a quando ha potuto.
Ora lui non c’è più perché è morto prematuramente.
Tito era in stretto legame con un
altro poeta che amo molto, Luigi Di Ruscio, che molti definiscono, a
torto o ragione, il “poeta operaio”. Testimonianza della loro
amicizia è Lettere del mondo offeso, un libro
che raccoglie i loro scambi e riflessioni. Il lavoro che ho fatto con
Epica Quotidiana non è stato solo uno studio
monografico e tematico sulla poesia e letteratura aziendale e del
lavoro ma anche scambi con poeti e con registri, di età e
provenienze molto distanti dalle mie. Li ho citati tutti nei
ringraziamenti in calce alla raccolta. Ma torniamo a Tito. In una
delle sue poesie dice “non importa se voi non leggete le
poesie/ perché sarà la poesia a leggervi tutti”. L’ho
messa in esergo alla sezione “In-organico” proprio per
evidenziare tutte le riflessioni che sopra ho fatto.
A.M.: Ed è con la seconda parte
“In itinere” che si raggiunge “Epica Quotidiana”
con il suo “garbuglio/ di monumenti e radiazioni” con i
“tre semafori di una lentezza disarmante”, “la
gazzarra dei motori” e “la metro gonfia”. Versi che
fanno pensare ad una grande città affollata, rumorosa, ed ad un
personaggio che si aggira quotidianamente in quelle strade. Qual è
la fortunata città che ha “tanti i poeti che mandano avanti il
Paese” e che “Lavorano in ufficio o chissà dove/ per il
mutuo o per pagare le spese.”
Ilaria Grasso: La città è quella
dove da più di dieci anni vivo ed è diversa da quella in cui sono
nata e cioè Lucera. Come tanti sono andata via dal Sud per mancanza
di prospettive e Roma non è una città che esattamente ho scelto. Mi
ci sono ritrovata più per lavoro che per altro. Quando ho iniziato a
lavorare per la raccolta abitavo a Talenti e per raggiungere il mio
luogo di lavoro che si trova nel quartiere San Giovanni di Roma
impiegavo un’ora e tre quarti del mio tempo all’andata e lo
stesso facevo al ritorno. Più o meno come alcuni miei colleghi che
vengono in ufficio da Napoli o da Viterbo o da zone limitrofe a Roma.
Ogni giorno che tornavo a casa era un’impresa epica, tra cambi
d’autobus e scioperi bianchi e malfunzionamenti. Per non parlare di
quando dovevo fare il cambio a Piazzale dei Cinquecento e camminare
controcorrente attraversando altri commilitoni che come me andavano a
lavorare. Parlo al passato perché, dopo un lungo periodo di
logoramento che mi ha procurato forti attacchi di panico che mi hanno
costretta a fermarmi per un periodo di sette mesi, ho cambiato casa,
sono molto più vicina al lavoro e ora la mia esistenza è meno
pesante. Sto molto molto meglio. Ecco da dove nasce il titolo Epica
quotidiana e la sezione “In-itinere”. Questa sezione è
un impegno a non dimenticare il mio passato e tenerlo bene presente
nelle discussioni quando parliamo di lavoro e anche di migrazione.
A.M.: In “Ingorgo” si
legge: “La processione avanza sempre nelle stesse direzioni/ tra
canini d’acciaio e il guarire dei motori./ Anche in tangenziale,
sempre in mezzo al niente affollati.” La chiusa, “in mezzo
al niente affollati”, è stata donata dal poeta Giulio Maffii.
Ilaria Grasso: La poesia Ingorgo
ha una storia molto particolare. Quando cambiammo
dirigente perché il precedente andò in pensione arrivò in ufficio
Raffaele Saccà. Nella sua stanza aveva appeso dei quadri molto
particolari. Erano degli ingorghi composti da modellini di macchine,
carri armati e aeroplani tutti compressi in un’unica composizione
“alla maniera di Arman”, come dico nella
poesia. Quei quadri mi affascinavano molto e mi davano modo di fare
riflessioni sulla contemporaneità. Chiedevo costantemente a Saccà
chi fosse l’autore. Lui era sempre sfuggente nelle risposte non
dicendomi mai chi fosse. Un giorno, forse stremato dalla mia
insistente curiosità, mi disse che era lui l’autore di quei
quadri. L’ingorgo era ed è per me metafora ancora valida per
rappresentare cosa siamo noi nella costrizione delle nostre vite
routinarie e bisognose di status symbol che altro non sono che
continuo comprare e continuo desiderio indotto e di cui probabilmente
dovremmo imparare a fare a meno. Da quel giorno di quasi cinque anni
fa abbiamo iniziato un dialogo sulle arti e sul mondo che hanno
portato lui a tenere una mostra personale sui suoi Ingorghi in una
delle gallerie del centro di Roma e me alla pubblicazione di Epica
Quotidiana. Molto importante è stato anche il dialogo con
Giulio Maffii, poeta e collega di redazione. Collaboriamo infatti
entrambi con la rivista on line Carteggi Letterari.
Spesso gli mandavo mie poesie su Messenger o via WhatsApp e mi dava
suggerimenti. Quando lesse la prima volta Ingorghi mi disse: “in
mezzo al niente affollati”. Io risposi: “Esatto Giulio! Proprio
così! Posso mettere queste tue parole nella poesia?”. Lui fu molto
generoso e mi regalò la chiusa di Ingorghi. E così quella chiusa si
trovò sia in uno dei pannelli della mostra di Saccà che in Epica
Quotidiana. Anche Maffii e Saccà sono presenti nei
ringraziamenti, perché la gratitudine per me è anche una forma di
dialogo: in essa c’è il riconoscimento che è alla base di un
discorso autentico.
A.M.: In “Delle umane
risorse” si legge: “Forse un giorno parleremo veramente/ e
capiremo davvero chi siamo/ al di là del ruolo e del mercato.”
Poco prima in “Mobbing” si legge: “La consapevolezza a volte
si paga/ ma a pensarci bene/ è uno sforzo sostenibile, anzi
necessario.” Qual è il ruolo della filosofia?
Ilaria Grasso: Nella seconda
risposta vi anticipavo già l’importanza per me della filosofia
nella produzione poetica e letteraria. Senza una struttura di
pensiero cadono ponti e costruzioni ma anche impianti versificatori e
stratificazioni linguistiche e concettuali. La filosofia e il
pensiero sono dunque per me fondamentali. “Chi sono io?
Chi siamo?” sono domande fondamentali per l’individuo.
Bisogna interrogarsi e avere il coraggio di ascoltare la o le
risposte, prenderne atto, analizzarle ed elaborarle. Già prima del
Covid eravamo di fronte a un mutamento antropologico di cui non tutti
erano perfettamente consapevoli. Dopo il Covid probabilmente avremo,
chissà, anche mutazioni genetiche o biologiche, magari sul
funzionamento delle nostre cellule o dei nostri organi. È tutto
ancora sospeso. Nel frattempo auspico la nascita di una neo ontologia
che consenta di ristabilire i criteri di esistenza di entità come i
cyborg o i robot o le IA e solo in seguito concettualizzare in altro
genere di filosofia le relazioni o i significati dei loro segni nel
mondo e nella poesia.
A.M.: Su “Nello stato in
cui siamo” si legge l’Art.1: “L’Italia è una
Repubblica democratica fondata sullo stipendio. La sovranità
appartiene a chi la esercita, quando presenti, nelle forme e nei
limiti della tipologia contrattuale.” Qual è il suo pensiero
sulla globalizzazione e sul futuro (ma assai vicino, fin troppo
vicino) impianto di microchip negli esseri umani?
Ilaria Grasso: Il primo articolo di
quella stramba e bislacca costituzione me lo ha donato il mio amico
Ubaldo, in una delle tante riflessioni sul parassitismo e sul
familismo amorale, due cancri della realtà italiana che vanno in
crash con la globalizzazione. Il resto degli
articoli li ho declinati io o meglio io e Ubaldo che non ho messo nei
ringraziamenti per sua richiesta specifica che rispetto.
Il nostro atteggiamento di fronte
alle tecnologie e alla modernità è pieno di resistenze al
cambiamento che si manifestano con una enorme rimozione del dolore e
dell’errore nella nostra coscienza collettiva e individuale. Non
concepiamo anche di cambiare perché “si è sempre fatto così” o
per una forma di distonia emotiva collettiva che ci porta a reagire
in maniera poco sana di fronte agli imprevisti o alle novità che
fanno parte della vita. Quanto ho iniziato a comporre Epica
Quotidiana il mio atteggiamento nei confronti della
tecnologia era assolutamente oppositivo. Poi con il tempo e con lo
studio e l’osservazione della realtà ho compreso che sono anni che
siamo sotto controllo. Ho preso consapevolezza che siamo i dati e la
merce che produciamo e che ci inducono a consumare senza soluzione di
continuità. Dobbiamo arrenderci di fronte a questa inquietante
evidenza. Il Covid ha messo in ginocchio bar, ristoranti, pizzerie e
tutto ciò che è svago non solo perché volevamo ancora dare
l’immagine di una società in buono stato ma perché politiche di
vario genere e di varia natura hanno indirizzato il cittadino a fare
delle scelte a favore dell’immagine e del proprio tornaconto
personale e non del contenuto. Non mi spaventa essere controllata.
C’è sempre uno schiavo e un padrone. D’altronde, il BDSM e la
letteratura di De Sade, Masoch, la Trilogia di Roberta
di Klossowski e Alfred de Musset in Gamiani o
ancora Pasolini all’interno delle 120 giornate di Sodoma
ci svelano proprio questa importante verità. Nel sesso come nel
lavoro diamo sempre il consenso, attraverso un contratto scritto o
meno che sia, e dobbiamo rispettare sempre i termini di quel
contratto. Ad ogni diritto corrisponde un dovere e i diritti per
essere goduti vanno manutenuti, sempre. Ma è il confine a fare la
differenza. E su questo dobbiamo tenere gli occhi sempre ben aperti e
agire responsabilmente per il bene nostro e dell’altro. Ne siamo
consapevoli? Lo facciamo?
A.M.: In questo particolare
periodo di isolamento causato dall’epidemia ha avuto modo di
scrivere? È stato per lei fonte di ispirazione?
Ilaria Grasso: Non sto scrivendo
nulla. Mi faccio sismografo e registro tutto ciò che sento del mondo
dalla mia cella claustrale. Ho un taccuino su cui appunto sensazioni
fisiche, notizie, i sogni che fanno gli altri e le intuizioni che
nascono grazie ai confronti con amici, poeti, qualche giornalista e
alle varie chat e gruppi FB che seguo. Mi appunto anche fantasie
erotiche mie e di altri per capire come lavora il senso di imminente
apocalisse sull’eros e sul desiderio. Leggo molto (libri e
giornali) e ogni sera registro un video dove leggo poesia e
saggistica. Rappresenta per me una forma di preghiera laica che mi
aiuta a usare la voce e mettermi in connessione col mondo. Vivo da
sola o meglio in compagnia di me stessa e sono immersa pienamente nel
silenzio interrotto dalle sirene delle continue autoambulanze che
sento solo quando ho le finestre aperte. Il mio tempo non è tutto
mio. Una parte lo dedico per contratto alle attività che svolgo “da
remoto”. Insomma sono una smartworker. Mi domando: mi piacerebbe
essere sempre in smartworking? Penso di no perché il lavoro è anche
spazio che si trasforma in luogo grazie alle relazioni che lo
abitano. I luoghi di lavoro vanno dunque presidiati e custoditi non
solo perché il lavoro è uno degli elementi che assorbono
maggiormente l’esistenza degli uomini ma perché sono uno degli
spazi dove è ancora certo ci siano esseri umani. Un ufficio deserto
credo sia un’immagine inquietante al pari di quello di una fabbrica
dismessa. Quindi per il futuro sono per un uso moderato e
contingentato dello smartworking.
Ma ritorniamo al tema della clausura
e alla sua dimensione predominante e cioè il silenzio. Nel silenzio
si manifestano i nostri mostri interiori ma è anche il contesto che
prepara l’epifania di una intuizione o di una sorpresa. Quando
abitavo in Puglia la mia casa era piena di un silenzio assordante e
inammissibile per la mia inquietudine. Ora il silenzio ha assunto un
valore di veglia, di ascolto profondo ma significa anche tempo lento
all’interno del quale contemplare oggetti astratti. Dove pensare e
ripensare. Dove leggere e rileggere libri e punti di vista. Il
silenzio è quella cosa che dovremmo imparare a custodire per il
“poi”.
C’è solo una cosa che al momento
un poeta che vuole dirsi tale deve fare in tempi di Covid e cioè
tutelare e proteggere la libertà di pensiero in tutti i contesti.
A.M.: “Sul display del PC
leggo: Attività completata con successo” dunque possiamo
salutarci con una citazione…
Ilaria Grasso: Chiunque di noi si
trovi a lavorare al PC per svariate ore è costretto a leggere una
frase del genere per cui mi è sembrato giusto trattare la questione
con ironia, dato che nella vita di tutti i giorni la realtà è
alquanto pesante e alienante. Esiste una intera categoria di
lavoratori che non fanno altro che cliccare tutto il giorno e vengono
definiti “click workers”, che poi è il titolo della poesia da
cui è citato il verso con cui inizia la domanda. Chi sono questi
lavoratori? Vi lascio la definizione di clickwork
secondo me più lucida ed esaustiva che è di Roberto Ciccarelli. La
trovate in “FORZA LAVORO. Il lato oscuro della rivoluzione
digitale” edito da DeriveApprodi. Eccola qui:
“[Il clickwork è una
rappresentazione della forza lavoro composta da una folla di mansioni
depurate dal corpo e dall’intelligenza umana, disponibili per ogni
attività e al servizio di un comando diretto, senza mediazioni,
esercitate dall’infrastruttura digitale. Il lavoratore è un
primate che compone codici su una tastiera senza comprenderli. È il
risultato di un nuovo evoluzionismo: il passaggio dalla forza lavoro
che usa un personal computer alla persona che diventa computer
sarebbe il grado finale dell’autorealizzazione umana]”.
A.M.: Ilaria, le domande
generano risposte e le risposte ulteriori domande. Il fondamento del
dialogo con l’altro e con il sé. Auguro al lettore di inciampare
nella lettura di questa tua “Epica Quotidiana” e di prendere
qualche istante della giornata per ragionare sugli interrogativi che
hai proposto in questa intervista. Domande, a mio avviso, valide in
ogni epoca come farmaco (φαρμακός), propriamente come
espulsione per giungere all’agognata catarsi (ἀγωνιάω,
κάθαρσις). Saluto con le parole del filosofo ed orientalista
francese Constantin-François de Chassebœuf, conte di Volney:
“Il dubbio, rispose,
è forse un crimine? L’uomo è forse padrone di sentire
diversamente da come sente? Se una verità è evidente e concreta,
dovremo solo compatire chi non la riconosce: la pena scaturirà
proprio dalla sua cecità. Se essa è incerta o equivoca, come
trovarle, invece, un carattere che non ha? Credere senza evidenza e
senza dimostrazione è segno d’ignoranza e di stupidità. Il
credulone si perde in un labirinto di incongruenze; l’uomo
assennato esamina e valuta, per rendere concordi le sue opinioni; e
l’uomo in buona fede tollera la contraddizione perché solo da essa
nasce l’evidenza. La violenza è l’argomento della menzogna e
l’imposizione d’autorità di una credenza è l’atto e l’indizio
di un tiranno.”
Written by Alessia Mocci
Info
Sito Macabor Editore
http://www.macaboreditore.it/
Acquista “Epica Quotidiana”
http://www.macaboreditore.it/home/index.php/libri/hikashop-menu-for-categories-listing/product/103-epica-quotidiana
Fonte
https://oubliettemagazine.com/2020/05/14/intervista-di-alessia-mocci-ad-ilaria-grasso-vi-presentiamo-la-raccolta-epica-quotidiana/
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