19 maggio 2020

Idee per il lavoro a cura di Barbara Beatrice Lavitola



Idee per il lavoro

  Da 20 anni in smart working (alternando gli ultimi 10 tra home office e ufficio esterno) e cofondatrice di Swap My Office, una piattaforma di scambio di postazioni di lavoro tra freelance, non posso che essere paladina dello smart working.
 Ma non confondiamo lo smart working con la possibilità di prendere decisioni unilateralmente; non dimentichiamo che è proprio "in remoto" che, ora più che mai, grava sul dipendente l’onere di dimostrare la sua appartenenza all'azienda.
Tra le altre cose, al datore di lavoro esigiamo flessibilità e comprensione, ma noi lavoratori qual è il valore aggiunto che offriamo al nostro datore di lavoro? Questa sfida non è a senso unico. Saper infondere fiducia anche a distanza, far sentire al datore di lavoro che siamo al suo fianco anche se a chilometri e chilometri di distanza è una delle nuove skills in capo al lavoratore. Perché quando non si è “sotto la stessa campana”, la necessità di far sentire la propria presenza diventa indispensabile.
 Funzionerebbe a pennello l’hashtag della campagna di comunicazione del Governo Italiano #DistantiMaUniti. L’azienda è una comunità unita anche nella distanza. Se vogliamo cambiare il mondo frenetico e individualista di molte aziende e organizzazioni che hanno perso il senso di comunità, lo smart working è uno dei modi per prendersi questa rivincita.
Alcuni suggerimenti per il lavoratore dipendente che lavora in smart working potrebbero essere domande al datore di lavoro come “Ho ultimato l’incarico commissionato, posso fare dell’altro?” oppure potrebbe inviare un numero maggiore di comunicazioni di avanzamento lavori rispetto al numero richiesto, in modo da farsi sempre sentire proattivo ed interessato. Non si deve dimenticare che anche il “datore di lavoro” una famiglia, degli affetti, per cui se vogliamo che rispettino i nostri, dobbiamo essere i primi a rispettare i suoi.
 Soprattutto oggi le imprese devono affrontare una crisi senza precedenti. Chiediamo agli imprenditori e, di conseguenza alle “aziende”, che siano un luogo di lavoro sicuro e protetto, che siano sostenibili, che velino sul benessere dei dipendenti e sempre di più si parla di felicità dei lavoratori. Senza dubbio un lavoratore “felice” è più produttivo ed efficiente; motivo per cui sempre più aziende ingaggiano un Chief Happiness Officer o Direttore della Felicità e inseriscono nei loro programmi di formazione aziendale e coaching lezioni volte alla soddisfazione dei dipendenti, la quale si è convertita in una delle chiavi del successo di molte organizzazioni aziendali moderne. E chi fa felice il datore di lavoro? “Il fatturato”? Risposta sbagliata. La risposta esatta sta nell’etica della reciprocità: Tratta gli altri come vorresti essere trattato tu.

 (c)  Barbara Beatrice Lavitola

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