Elias Canetti La lingua salvata a cura di Marcello Sgarbi
Elias
Canetti
La
lingua salvata
– (Edizioni Adelphi)
Collana:
Biblioteca Adelphi
Pagine:
365
EAN
9788845904172
L’infanzia
è uno dei luoghi più frequentati della letteratura e insieme unico, tanto
quanto sono diversi i modi di guardarlo degli autori classici e
contemporanei. Senza grandi prospettive, se visto dagli occhi di due
perdenti dickensiani come
David Copperfield e Oliver Twist. Ridicolo e grottesco, quando si
osserva dal
basso in alto e con un occhio un po’ strabico sulla realtà, come
succede ad
Oskar Matzerath in Il
tamburo
di latta
di Günter Grass. Surreale e imprevedibile se
la realtà viene addirittura capovolta ad arte, come capita ai
signori
bambini di
Daniel Pennac. Uno degli sguardi retrospettivi più indagatori è
quello di Canetti.
Lucido
e implacabile, mette a fuoco i ricordi e ce li consegna nitidi come
fotografie. Immagini che scaturiscono vivide dalle pagine scritte e
ci catturano, perché ci portano a
guardare alla nostra stessa vita e alle figure famigliari, a rivivere
il rapporto con
i nostri genitori, il tempo della scuola e i momenti legati alle
amicizie.
“Il
nonno mi guardava con un sorriso astuto e domandava a voce bassa: ‘A
chi vuoi più bene, al nonno Arditti o al nonno Canetti?’. La
risposta la sapeva, tutti, grandi e piccini, erano innamorati del
nonno Canetti, mentre lui non era simpatico a
nessuno. Ma volendo costringermi a dire la verità, mi metteva nel
più tremendo imbarazzo, ed evidentemente godeva moltissimo a vedermi
lì sulle
spine, dal momento che ogni sabato si ripeteva immancabilmente la
stessa scena. Io da principio non dicevo niente, lo guardavo
smarrito, ma lui ripeteva la domanda fino a quando io trovavo la
forza di mentirgli e dicevo: ‘A tutti e due!’”.
“Avevo
diciannove anni quando a Vienna mi trovai davanti ai quadri di
Bruegel. Riconobbi immediatamente le molte minuscole figure
dell’incendio della mia infanzia. Quei quadri me li sentivo
familiari come se li avessi avuti sempre davanti agli occhi. Provai
per essi un’attrazione straordinaria e andavo a rivederli ogni
giorno.
La
parte della mia vita cominciata con quell’incendio proseguiva
immediatamente in
quei quadri, come se nel frattempo non fossero passati quindici anni.
Così
Bruegel è diventato per me il pittore più importante di tutti, ma
non l’ho acquisito, come tante altre cose più tardi, con la
contemplazione o
la riflessione. L’ho ritrovato dentro di me, come se mi avesse
aspettato già
da molto tempo, sicuro che un giorno sarei arrivato a lui”.
“Poi
Laurica cominciò ad andare a scuola e restava fuori tutta la
mattina.
Sentii
molto la sua mancanza. Giocavo da solo e l’aspettavo; quando
arrivava a casa, l’andavo a prendere al cancello e la tempestavo di
domande su cosa aveva fatto a
scuola. Lei mi raccontava, io cercavo di immaginare e mi veniva una
gran voglia di
andare a scuola anch’io per stare insieme a lei. Qualche tempo dopo
tornò a casa con un quaderno, stava imparando a leggere e scrivere.
Lo aprì solennemente davanti
ai miei occhi, il quaderno conteneva, in inchiostro blu, quelle
lettere dell’alfabeto che erano per me la cosa più affascinante
che avessi mai visto”.
(c) Marcello Sgarbi
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