18 aprile 2020

“LA LUCE DUPLICE DEL BENE” di Belardinelli a cura di Vincenzo Capodiferro


LA LUCE DUPLICE DEL BENE”
Una mistica silloge di Umberto Belardinelli dedicata a Santa Faustina, discepola della Misericordia

Come annota Gianfranco Galante, «Il libro è uno scrigno prezioso che protegge il bene. La fede esprime armonia, saggezza, longevità; esprime la sapienza del tempo che passa e che vive; nella fede c’è il domani. Nessuno pensa che la fede possa morire. La fede è. Il peso che esercita sul nostro essere è affascinante. La fede è forza consolidata. La fede è appiglio certo. La fede è l’opera di Umberto Belardinelli». “La luce duplice del bene. Silloge per S. Faustina Kowalska”, è una raccolta poetica di Umberto Belardinelli, edita da Tracce per la meta, Borgoricco 2019. Umberto Belardinelli nasce a Messina nel 1956. A tre mesi dalla nascita subito la sua famiglia si trasferisce a Varese. Fin da piccolo avverte l’innata passione poetica. I motivi ispiratori della poetica di Umberto si riallacciano a Quasimodo ed a Neruda. Umberto ha ottenuto lusinghieri riconoscimenti a diversi concorsi letterari. Dopo aver attraversato un’inattesa procella esistenziale, ecco che approdando al porto della “quiete dopo la tempesta”, incontra Santa Faustina e ne nasce un amoroso incontro. «Un libro di altissima spiritualità,» - lo definisce Ilaria Celestini - «che nasce come omaggio a Santa Faustina, la Santa della Divina misericordia, e come meditazione accorata e raccolta sulla sua straordinaria esperienza mistica». E Silvia Spaventa Filippi nella introduzione: «Umberto è attratto dalla vita della Santa appena ne conosce la Sua biografia e legge la Sua Testimonianza. Avverte dentro di sé di continuare la sua missione e di evangelizzarla: infatti le sue poesie interpretano ed incarnano il Verbo che poi è quello di Cristo con rievocazione dantesca, regalando al lettore una perfetta coincidenza colorata di una sensibilità più unica che rara». Ascoltiamo in Pictura Iesu:

Fu sera quando il prodigio apparve
nella piccola cella di Plok;
Faustina si sentì rapita dalla pace
e dalla sua benedizione.
Imprimi in un quadro ciò che vedi
e qui sia scritta la speranza
che in Me confida ogni preghiera”.

La poesia di Umberto nasce dal cuore palpitante d’amore. Diviene in un certo senso propagazione del Verbo Sacro. Non dimentichiamo che il “Poieo” greco indica il creare. I poeti proseguono la divina creazione infinita che accompagna il cosmo. Possiamo quasi osare che Umberto, soprattutto in questa silloge, è un “ispirato” da questa Santa, discepola della Misericordia, ma di più è un “ispirato” dalla Misericordia di Dio. Il frangente in cui Umberto scrive questa silloge è drammatico, fino al punto che con commozione abbiamo ascoltato la sua voce forte: - E se non riuscissi a finire questa preghiera a santa Faustina? Un dubbio esistenziale incandescente, che tocca l’animo! Umberto reca con sé le tracce antiche della sua patria primeva, l’Isola Bella del Mediterraneo lago, la Sicilia. Quel suo patetico “verismo” che si esprime nei suoi versi, qui si consola elevandosi goticamente a incessante invocazione all’Altissimo, raggiungendo punte di misticismo inaudito. Il francescano “Altissimu, onnipotente bon Signore” qui viene capovolto: Buono, Onnipotente, Altissimo. Dio è Dio di misericordia, non è solo l’altissimo irraggiungibile, quasi come l’acqua: altissima purissima levissima. Questa è la bellezza profonda di questa silloge. Ed in questo suo anelito leggiamo la stessa espressione di santa Faustina: «Nonostante la mia grande miseria non ho paura di nulla, ma anzi spero di cantare eternamente il mio canto di lode». Questa frase della Kowalska esprime seriamente tutto l’intento di “La luce duplice del bene”. Le due luci, come esprime Umberto, hanno significati diversi:

La luce bianca era l’acqua dell’anima,
la luce rossa era la vita della stessa.

Ma queste due luci si collegano idealmente a quel costato trafitto da Longino, onde uscirono sangue ed acqua ed all’eucarestia: il pane ed vino sono la manna della Misericordia di Dio che scende sempre sul deserto del mondo sempre più lontano da Dio. E torna il verbo di Quasimodo: «Ognuno sta sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole:/ ed è subito sera». Ecco questa caducità, precarietà esistenziale che Umberto sente sua, si slancia tra le braccia dell’Assoluto che accoglie “il canto di lode”, di cui Suor Faustina. Nessuno può toglierci più il canto, neppure quell’esilio che pur il Quasimodo riprende, rileggendo il salmo: “Alle fronde dei salici”. Le nostre cetre abbiamo appeso ai salici piangenti di questa valle di lacrime. L’esilio è il mondo. Eppure in questa Babilonia troviamo il tempo del canto, canto della speranza e dell’amore. E possiamo superare l’impaccio di quelle fronde solo rivolgendo lo sguardo verso l’alto: - Alzo gli occhi verso i monti. Da dove mi verrà l’aiuto? Recita il salmo. Ed i salmi cosa sono? Poesia d’amore.
In questa silloge, come sottolineava Silvia, c’è una forte impronta dantesca, che Umberto intelligentemente coniuga con una originale rilettura del diario della Santa polacca: le sette pene dell’inferno. Schopenhauer commentando Dante, esclamava: - Da dove ha potuto trarre Dante Alighieri la materia del suo Inferno se non da questo mondo? Ecco: come trovare sollievo dal dolore del mondo? Il mondo è colmo di dolore, è la “valle delle lacrime” del Salve Regina. Di qui il senso della Misericordia: il rifugio dal dolore lo troviamo in quella che Umberto legge come “la Città senza tempo”. Questo tema molto profondo riprende l’eterna città di Agostino che si contrappone alla città del tempo. Dio ci soccorre offrendoci momentaneamente nel tempo e poi senza tempo nell’eternità l’accesso a questa città: questa è la Misericordia di Dio.
La silloge di Umberto si conclude con una preghiera, rivolta all’eterna Madre:

Mi tenderai la mano,
quando dissolverò nella luce del Pianeta
per le parole di Santa Faustina?

Questa bellissima preghiera si conclude con un profondo interrogativo, che in parte è invocatorio, ma in parte ci deve portare ad una riflessione attenta sul senso dell’esistenza umana. Questa “preghiera” mi fa inconsciamente pensare alla madre ungarettiana: … come una volta mi darai la mano… Sarai una statua davanti all’eterno. La grande Madre è Maria, la Mater Misericordiae. E noi siamo, come dice Umberto, “gli apostoli dell’universo”, i “figli della misericordia”. Quel “tendere la mano” è un atto di tenerezza. Papa Francesco oggi parla tanto di “tenerezza”. La tenerezza è legata molto alla misericordia. Il tender la mano di una madre terrena rimanda al tender la mano di una madre eterna. O al tender la mano di quel Padre buono, che attende sempre il figliolo prodigo e spia dalla finestra, ogni giorno, attendendo il suo ritorno. Il canto di chiesa ripeteva: - Torna deh torna figlio! Torna al tuo padre amante. Ahi! Quante volte quante, io sospirai per te. Ahi! Quante volte quante io sospirai per te. Noi attendiamo sempre il ritorno all’Assoluto.

Vincenzo Capodiferro

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