29 aprile 2020

ECONOMIA, QUALE FUTURO? di Antonio Laurenzano

                                                 
 ECONOMIA, QUALE FUTURO?          
 di  Antonio Laurenzano                                                                                                                
Incertezza e precarietà sono i connotati della finanza pubblica che si rilevano dal Def, il Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri, con una forte ipoteca sui conti pubblici dei prossimi dodici anni: un indebitamento aggiuntivo di 411,5 miliardi di euro. La conferma di come il coronavirus e gli interventi mirati a contenerne gli effetti sul sistema economico sono destinati a incidere profondamente sulle dinamiche della spesa. In un tale contesto, reso ancor più drammatico dal FMI con le stime negative di crescita dell’eurozona e in particolare dell’economia italiana con la contrazione del Pil per il 2020 di circa l’8%, il recente Consiglio europeo, accantonata ogni controversa ipotesi legata agli eurobond per il timore della mutualizzazione del debito, ha dato mandato alla Commissione di Ursula von der Leyen di mettere a punto entro il 6 maggio un “Piano per la ripresa”, il Recovery Fund, agganciato al bilancio comunitario 2021-2027, con cui affrontare la crisi economica. Il Fondo, di entità adeguato ai disastrosi effetti del Covid-19, sarà mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpite. Uno strumento “urgente e necessario” per proteggere il tessuto socio-economico dei Paesi più deboli, preservando il mercato unico e quindi la tenuta dell’euro. La dotazione del Recovery Fund dovrebbe essere di 1500 miliardi di euro con trasferimenti a fondo perduto ai Paesi membri, secondo gli auspici dei Paesi del Mediterraneo, essenziali per tutelare i mercati nazionali, parità e condizioni, e per assicurare una risposta simmetrica a uno shock simmetrico.
Una road map comune per il rilancio dell’Ue in nome dei suoi principi fondanti: solidarietà, coesione e convergenza. Incerto l’utilizzo del Fondo: saranno davvero sussidi o invece prestiti? Questo il nodo da sciogliere dal cui esito dipendono le sorti del nostro debito pubblico (con relativo spread) che salirà verso i 2.600 miliardi di euro. Il Fondo, finanziato in parte dagli Stati membri e in parte da titoli di debito emessi dalla stessa Commissione, andrà a integrare le altre misure adottate dall’Eurogruppo a sostegno dell’economia europea: una linea di credito senza condizionalità del Mes, il contestato Fondo salva Stati, croce e delizia della politica italiana, il finanziamento della cassa integrazione nei Paesi membri (Sure), il rafforzamento della Bei (Banca europea d’investimenti) per le imprese. Un pacchetto di aiuti di circa 540 miliardi di euro.
Per l’Italia, inoltre, la sospensione da parte della Commissione europea dei vincoli di bilancio del Patto di stabilità e crescita, nonché l’utilizzo dei fondi non spesi del bilancio pluriennale 2014-2021 e destinati alle politiche strutturali. Una lotta contro il tempo per definire lo spartiacque tra speranze di rilancio e collasso economico e, più in generale, per recuperare un rapporto di fiducia con le istituzioni comunitarie. Ogni mese di blocco delle attività produttive del Paese costa circa 160 miliardi di euro in un quadro economico segnato dalla recessione: contrazione degli investimenti del 12,3%, disoccupazione in salita all’11,6%, piccole medio imprese ed esercizi commerciali a rischio, caduta dei consumi. Cifre che, in linea con le previsioni del FMI, ribadiscono la gravità della situazione con l’aumento del deficit al 10,4% e del debito pubblico che si attesterà al 155,7% del Pil, con una più accentuata dipendenza dai mercati finanziari. Una partita da giocare necessariamente in Europa in termini di fiducia e credibilità.
La stabilità macroeconomica resta legata dunque a un piano di maggiore condivisione a livello europeo degli oneri della crisi sanitaria e dei suoi effetti economici. Una sfida epocale, espressione di lungimiranza d’azione e spirito solidaristico, per avviare l’opera di ricostruzione del tessuto economico-sociale. La sfida è trasformare una comunità chiusa in ecosistema integrato proiettato verso un destino comune. Oggi l’Europa è chiamata a scelte coraggiose e innovative. Per l’Italia, in particolare, il rilancio dell’economia dovrà passare attraverso un solido piano di riforme strutturali accompagnato a una responsabile azione di “moralizzazione” della finanza pubblica per programmare al meglio l’utilizzo delle risorse europee, azzerando i pregiudizi dei rigorosi “falchi del Nord” sulla nostra governance. Un’occasione da non perdere.

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