“Incanti
Russi”
Opere
pittoriche di tradizione dell’Accademia Glazunov di Mosca
a
cura di Marco Salvario
Pinacoteca
Albertina –
Via
Accademia Albertina 8, Torino
31
gennaio – 22 marzo 2020
L’Italia
vive brutti tempi e il mondo della cultura, già così fragile e
trascurato, è tra le maggiori vittime.
Poco
prima dell’inizio di questo sfortunato periodo sono riuscito a
visitare alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti la
mostra “Incanti Russi”, che presentava ventidue opere pittoriche
dei migliori allievi dell’Accademia Glazunov; questa istituzione,
nata nel 1986, cerca di fare rivivere i fasti dell’Accademia di
Belle Arti di Mosca.
Le
opere sono presentate intercalate ai capolavori permanenti della
Pinacoteca, esposti su pareti rosse o blu mentre le prime sono su
sfondi bianchi; nasceva quindi naturale nel visitatore il confronto
tra le diverse scuole e i diversi soggetti, tra le tele spesso
scurite dal tempo e della storia dei maestri dei secoli scorsi e
quelle vivaci e scalpitanti, pur nei dettami scolastici, dei giovani
moscoviti.
Un
parallelo che, pur senza rivalità, aggiungeva alla mostra dinamicità
e provocazione.
Tra
le opere dell’Accademia Glazunov ho individuato due percorsi
principali, il primo dedicato ai paesaggi e ai monumenti, il secondo
a vicende della storia russa. Oltre ad apprezzare l’aspetto
artistico, il visitatore ha potuto vivere l’esperienza
dell’immersione in un mondo e in un passato, che di solito non sono
nelle conoscenze di noi italiani.
Nel
primo percorso colpiscono “Il monastero dell’Assunzione di San
Cirillo” di Karev, dove a dominare è lo splendido riflesso
sull’acqua, che coglie il dissolversi nei secoli della religiosità
ortodossa; “Il Cremlino” di Šanin, dai colori pastello che
sembrano rubati a un libro di favole e che ben rendono la
stupefacente commistione di stili dell’architettura; “La città
di Jur’even sul Volga” di Kuraksa, opera di eccezionale
precisione artistica eppure poetica e nostalgica; “Primavera” di
Gribanova, che propone uno spaccato della fredda steppa russa, tra
terre povere, aride, indurite dal gelo ma scaldate da un timido sole
primaverile e “Resurrezione” di Pavlova, dove è rappresentato il
monastero di Novodevičij nel centro di Mosca, in un convincente
contrasto di luci e di ombre.
Nel
secondo percorso mi hanno impressionato “Mosca ai tempi dei
boiardi” due opere di Morgun, solenni rappresentazioni di una delle
più nobili e antiche classi sociali russe, arroccate nella
protezione del passato e dei propri privilegi, e dello stesso autore
“Scena con due figure in costume (L’indovina)”, dove il
contrasto tra l’uomo un po’ diffidente dalla bianca barba e lo
sguardo zingaresco della ragazza che gli legge la mano, è davvero
riuscito; “Basilio il Benedetto, taumaturgo moscovita” di Grafov,
opera densa di emozioni e tensione; “Lo zarevič Dmitrij” di
Blinkov, raffigurante la morte tragica e misteriosa del giovane
figlio di Ivan il Terribile e “Antica cerimonia di nozze russa”
di Golubečkova, dove oltre all’abilità tecnica e scenografica
dell’artista bisogna ammirare la ricercatezza nel riprodurre
fedelmente i costumi del tempo.
Prima
di lasciare i lettori, segnalo ancora “Una fiera a Rostov Velikij”
di Šubina, tela che può essere inserita in entrambi i percorsi
precedenti, e ”Natura morta” di Dolgaja, impressionante per i
dettagli e la complessità compositiva del soggetto; quest’ultima
opera si è trovata ad affrontare nella stessa sala un inevitabile
confronto con due splendide opere del XVII secolo, attribuite al
fiammingo Nicasius Bernaerts, “Vanitas. Natura morta con candela”
e “Vanitas. Natura morta con flauto” e non ha per nulla
sfigurato.
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