DETENUTI ISOLATI COME LEBBROSI NEI LAZZARETTI a cura di Carmelo Musumeci
DETENUTI ISOLATI COME LEBBROSI NEI LAZZARETTI
Ieri sera, dopo avere letto le parole del Presidente
della Repubblica, “Dignità a rischio nelle carceri” e dopo avere visto alla
televisione la trasmissione delle Iene "Coronavirus: contagiati e botte nel
carcere di Voghera?”, ho iniziato a ricordare. Non bisogna aver paura a
ricordare . Ricordare è doloroso ma ti può aiutare a capire:
Le guardie arrivarono a decine. Mi presero di peso e mi trascinarono nelle
celle di punizione. Mi scaraventarono nella cella liscia.Volarono pugni e calci
e ingiurie. Mi denudarono. Mi perquisirono. Le guardie ribollivano di rabbia.
Iniziarono a insultarmi: “Figlio di puttana. Prendi questo e quest’altro”.
Poi si stancarono e se ne andarono. Mi sdraiai per terra, nella cella
liscia non c’era neppure la branda. Mi coprii con una vecchia coperta buttata in
un angolo, l’unica cosa che c’era in quella cella. Rimasi una mezzoretta con gli
occhi fissi al soffitto. Sentivo dolore dappertutto. Mi faceva male la testa e
avevo delle fitte ai fianchi, la parte del corpo che aveva preso più calci. Gli
occhi mi si chiudevano dalla stanchezza, dalla rabbia e dal dolore. Non riuscivo
a mettere ordine nei miei pensieri. Alla fine mi addormentai. Mi svegliarono i
raggi del sole del mattino, che filtravano dalle sbarre della finestra. Avevo
tutti i muscoli che mi facevano male, dappertutto. Mi sentivo frustrato. Avevo
anche una spalla intorpidita e un braccio irrigidito. Richiusi gli occhi di
nuovo, come per difendermi da quello che vedevo. Di giorno la cella liscia era
ancora più brutta. Se conoscevo bene il carcere, e lo conoscevo bene, forse
durante la giornata mi avrebbero impacchettato e trasferito in un carcere di
punizione. Dopo le proteste, i detenuti non li tengono mai nello stesso carcere.
Rimasi un po’ a fissare le pareti della cella, poi decisi di provare ad alzarmi.
Raddrizzai le spalle e la schiena e mi alzai da terra. Barcollai. Fui sul punto
di cadere. Mi sostenni appoggiando una mano sul muro. Proprio sul punto della
parete dove mi ero appoggiato, vidi che c'era scritta una frase. Feci fatica a
leggerla. Sembrava scritta con il sangue: “ La mia anima cerca il cielo, il
sole, il mare, mentre muoio per vivere”. Scrollai la testa, come per
dimenticare quello che avevo letto. Ero triste già di mio e non volevo
diventarlo ancor di più. Mi facevano ancora male tutte le costole dalle botte
che aveva preso quella notte. Respiravo ancora con fatica. Pensai che altre
botte mi aspettavano nel carcere dove mi avrebbero mandato. Quella notte c’erano
andati "leggeri", per paura che qualche giudice mi vedesse, se fosse venuto a
interrogarmi per la protesta collettiva che io e i miei compagni avevamo fatto.
Infatti, in faccia i bastardi non mi avevano toccato. Invece nel carcere dove mi
avrebbero mandato le guardie non si sarebbero fermate al corpo, mi avrebbero
spaccato anche la faccia. Come quella volta a Nuoro, che mi avevano fatto
saltare due denti. Mi sedetti di nuovo per terra, con le gambe allungate e la
schiena contro la parete, aspettando il mio destino.
Carmelo Musumeci
Marzo 2020
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