IL PENSIERO SOFFIA ANCORA a cura di Vincenzo Capodiferro
L’ultima
raccolta densa e classicista di Gianpi
“Il
pensiero soffia ancora”, edito da Tracce, Borgoricco 2019, è
l’ultima raccolta poetica di Gianfranco Galante, che noi
amichevolmente chiamiamo Gianpi. Gianfranco Galante nasce a Varese
nel 1964, ma è sempre legato a questa sua madre, la Sicilia, dove è
vissuto per una breve parentesi della sua vita, ma v’è tanto
rimasto legato. Nel 1972 torna a Varese con la famiglia. Nel 1982 si
diploma. La vita di Gianpi è fatta di questi “ritorni”. Sono
questi ritorni che legano due terre così diverse, come il sud ed il
nord. Eppure questa “parentesi dei ritorni” è una miniera
ricchissima di emozioni, offerta proprio sul terreno di ciò che noi
volgarmente per secoli abbiamo bollato come emigrazione. Altra
parentesi
per non dimenticare: anche la Lombardia, e non solo il Veneto ed il
Meridione, è stata terra di migranti, anche Varese, prima della fase
industriale, e lo torna ad essere nella fase postindustriale. Gianpi
scrive fin dall’adolescenza, è attratto dal verso classico, dal
sapore della “metricità”, che ritroviamo in molte sue opere,
anche ristampate, come “Di tal bellezza”, “Emozioni in bilico”,
“Paesaggi d’estate”. Potremmo definire il suo stile
neoclassico, come conferma Ilaria Celestini nella “Prefazione”:
«Parla un linguaggio d’altri tempi, questo Autore che si pone
quale moderno cantore di poesia e di storie, e con eleganza ci invita
a scoprire il suo mondo: una realtà dove su tutto trionfa l’amore,
un sentimento potente e sicuro, a volte ferito, a volte nascosto, ma
sempre presente, a dare un’impronta chiara ed emozionante sul piano
espressivo e corredato da stilemi di tipo tradizionale rivisitati in
chiave assolutamente personale e originale». È Amore la fonte
primaria di poesia e dolore, provocato da Lui. Non c’è amore senza
dolore. E così ci par rivivere quelle stagioni del Dolce Stil Novo,
ove ricompare la donna angelo, così trasfigurata – cioè in senso
negativo: sfigurata – dalla poetica novecentesca: ci basti
ricordare il Montale. E torna così quel “Cor gentil” centro
dell’amore vero. Questa è una poesia cavalleresca che ha origini
antichissime. “Il Pensiero soffia ancora” ci dice sempre che lo
Spirito (da “spirare”, soffiare) è sempre vivo. È lui che
ispira tutti gli artisti, gli scienziati, gli intellettuali. Così
quest’opera ci pare una rivendicazione dell’autenticità della
poesia italiana. Rivediamo alcuni temi, come quello classico del
“Tempo”:
Maledizione!
Non
ho più tempo,
mi
manca il tempo
d’avere
tempo.
Fugit
hora.
Siamo immersi nel turbinio del Panta Rei. Eppure, con Agostino ed
Heidegger, possiamo riaffermare a chiare lettere: noi siamo il tempo.
E se Agostino non sa rispondere all’eterna domanda: cosa è il
tempo? – se Heidegger interrompe il suo capolavoro “Essere e
tempo” su questo profondo interrogativo, vuol dire, in fin dei
conti, che noi, nelle profondità del nostro essere, non sappiamo chi
siamo. Viviamo così, senza sapere di esistere. Questa angoscia
esistenziale la ritroviamo in “Non esisto”:
Te,
cui mia assenza
è
indifferenza;
te,
cui mia presenza
è
come vuota assenza.
Non
aggiungere dolore
al
mio già inutile spasmo.
Te,
cui il dolore, mio,
non
fa poi male…
È
Amore e dolore che danno senso all’esistenza, al tempo. Noi siamo
in fondo l’amore. Noi siamo Amore e Dio è amore, pertanto nel
fondo del nostro “Cor gentile”, noi siamo Dio, come predicano da
secoli i mistici, come Mister Eckart, Taulero, Susone e tutti gli
altri. Questa verità la troviamo confermata in “Lux in Domino”:
Nel
tuo mondo
cui
silenzio è quiete,
il
mio sussurro è un urlo
ed
è frastuono in me.
Grazie
al silenzio primordiale, ove abita Iddio, si sente la voce, il Verbo,
che dà senso alle cose. Così la Parola si propaga nella Poesia (da
“Poieo” creare), che è continuazione della creazione originaria,
divina. Il poeta diviene così “pontifex”, sacerdote dello
Spirito vivente, che sussurra perennemente in noi, l’Infinito che
ci empie dei suoi doni e ci suggerisce. Il poeta è solo colui che sa
ascoltare la voce del silenzio. Chiudiamo così allora questo breve,
ma non certamente con la pretesa di essere esaustivo, commento
all’ultima raccolta di Gianpi, con le parole sempre della
Celestini: «Cielo, teneri e intensi barlumi d’infinito, palpiti di
meraviglia e gratitudine per tutta la strada percorsa insieme e per
tutta quella che verrà. Una raccolta preziosa, da regalare a se
stessi e chi si ama, per donarsi il piacere d’immergersi in una
dimensione incantata e, nel contempo, reale».
Vincenzo
Capodiferro
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