24 gennaio 2020

Anche Insubria e Liuc pagheranno pegno alla Brexit di Antonio Laurenzano

Anche Insubria e Liuc pagheranno pegno alla Brexit di Antonio Laurenzano
“Rien ne va plus”. I giochi sono fatti: a fine mese sarà divorzio fra Regno Unito e Unione europea. Finisce, fra accuse e polemiche, una storia d’amore mai iniziata. La notte del 31 gennaio, una volta completato l’iter di ratifica parlamentare, il Big Ben suonerà a festa allo scoccare della Brexit, per la gioia del bizzarro premier britannico Boris Johnson che, dopo l’addio, intende chiudere entro il 2020 il periodo di transizione. “Salvo totale fallimento del buonsenso”, sul tappeto tanti problemi da risolvere: accordo di partenariato fra UK e Ue, circolazione dei cittadini europei, condizioni di mercato (dazi, dumping), confini irlandesi, controlli doganali, quota di budget Ue di 39 miliardi di sterline da versare a Bruxelles. Non ultima fra le questioni in sospeso c’è Erasmus, lo storico programma comunitario nato nel 1987 che offre la possibilità agli studenti universitari europei di effettuare in un altro Paese dell’Unione un periodo di studio, dai 3 ai 12 mesi, legalmente riconosciuto dalla propria Università. Dalla sua nascita ha coinvolto circa nove milioni di persone e nell’ultimo bilancio pluriennale comunitario, che va dal 2014 al 2020, è stato finanziato con 14 miliardi di euro. Ogni anno 400.000 persone tra studenti, insegnanti e altro personale girano per l’Europa grazie a Erasmus, “una svolta per 5 milioni di studenti europei, perché ha migliorato la loro vita personale e professionale, rendendo le università più innovative”.
Nei giorni scorsi, mentre il mondo era distratto dagli stucchevoli annunci di Harry e Meghan, a Londra, la Camera dei Comuni ha confermato la volontà del governo britannico di mettere fine a Erasmus. Un voto che, per quanto atteso, ha suscitato reazioni di protesta sui social media da parte di studenti e accademici del Regno di Sua Maestà. “Una decisione miserabile, un furto alle giovani e future generazioni”, secondo il giudizio dello storico inglese Simon Shama. “Solo lo scambio e l’integrazione faranno il cittadino europeo di domani, non certo le chiusure e gli arroccamenti.” Un giorno molto triste, il commento generale, perché “se il progetto europeo in questi anni è cresciuto, se l’Unione, soprattutto tra le giovani generazioni, si è fatta concreta, lo si deve anche a iniziative di integrazioni culturale come l’Erasmus.”
Il Governo britannico, in evidente caduta d’immagine per i furiosi commenti degli utenti online, ha ridimensionato la notizia, smentendo per ora l’addio a Erasmus, nonostante la secca bocciatura in Parlamento della mozione liberal-democratica a favore della sua regolare prosecuzione dopo Brexit: “l’accordo con l’Ue andrà rinegoziato”. Stando al comunicato ufficiale di Downing Street, il programma continuerà come previsto per il 2020, nessuna conseguenza sugli scambi in corso o su quelli che inizieranno a breve, poi si vedrà. Il timore è che Erasmus possa servire a Boris Johnson come “merce di scambio” nell’accordo commerciale con l’Ue. Sarebbe una rappresentazione squallida della integrazione culturale del Vecchio Continente attraverso i negoziati che dovranno regolamentare i futuri rapporti commerciali fra Uk e Ue. Un futuro ancora tutto da scrivere.
Al post Brexit e al destino di Erasmus oltre Manica guardano con attenzione i due Atenei della provincia di Varese, molto attivi nel programma Erasmus. Dal 2000, 1300 studenti dell’ Università degli Studi dell’Insubria (Varese e Como) hanno varcato il confine per un periodo di studio all’estero, lasciando il posto a 575 universitari europei. Per l’anno accademico in corso l’Università Insubrica ha offerto ai propri studenti più di 500 posti in quasi 200 Università dell’Ue. E aria europea si respira anche a Castellanza, alla LIUC, che nel dicembre 2013 ha ottenuto dall’Unione europea l’ ”Erasmus Charter for Higher Education” (ECHE). Numerosi sono i partner universitari della LIUC in 22 Paesi dell’Unione per “offrire agli studenti l’opportunità di fare nuove esperienze all’estero in un diverso sistema educativo e di perfezionare la conoscenza di un’altra lingua.” Resta sospesa a un filo la domanda di fondo: per i ragazzi varesini studiare all’ombra di Westminster e di Buckingham Palace sarà off-limits? Con Brexit rischia di arrestarsi l’orologio della storia e con esso ogni processo di crescita civile dell’Europa. Thank you, United Kingdom!

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