17 dicembre 2019

GIOVANNA DE LUCA: RACCONTI E POESIE a cura di Vincenzo Capodiferro

GIOVANNA DE LUCA: RACCONTI E POESIE
Una vita donata alla letteratura, sia insegnando, che scrivendo

Giovanna De Luca è nata a Piacenza. Vive a Varese, ove ha insegnato lettere per diversi anni nelle scuole medie superiori. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: “Poesie”, Ragusa 1997; “Il cantare del grillo”, Bologna 2008; “La cerniera del tempo”, Bologna 2012; “Tra luce e buio”, Feltrinelli 2013; “Quel che resta del giorno”, Feltrinelli 2014; “Finché avrò voce”, Roma 2015; “Oltre il limite” (2017). “Quindici racconti” (2018). Ha partecipato a diversi concorsi di poesia, trai quali: “Il Golfo” (2001) e “Borgo Ligure” (2006); “Antonia Pozzi” (2016), riscuotendo dei riconoscimenti. Ha vinto il secondo premio al concorso di narrativa “Il pennino d’oro”, Varese 2017. È presente in diverse antologie, tra cui: “Antologia”, Torino 2010; “I poeti contemporanei”, Roma 2013; “Riflessi”, Roma 2014. Descrivere la figura di Giovanna De Luca è veramente arduo. Si presenta come un quadro grandioso, in cui risulta difficile rintracciare l’ascosa, ma nel contempo rilucente, dote letteraria dell’artista. Nella “Prefazione” a “Quindici racconti” Chiara Merlotti apre con una citazione di Pirandello. Forse non è un caso: Pirandello pure insegnava, ma dovette fare i conti con la durissima condizione della follia muliebre. Questa follia ricompare fedelmente in tutti i suoi scritti. Tutta la letteratura di ogni genere e tempo è trasposizione della vita reale in una finzione drammatica. La commedia non esiste: è solo un breve lasso di tempo tra una tragedia ed un’altra. La vita è dramma. Intendiamo la Merlotti: «Tutti raccontiamo e ascoltiamo storie fin da bambini, senza trovarci nulla di particolarmente complesso. Tuttavia scrivere un racconto breve non è affatto facile… Tutto ciò accade nei “Quindici racconti” di Giovanna De Luca, i quali, attraverso scorci di suggestivo lirismo e qualche cenno autobiografico (celato sapientemente dietro la finzione letteraria), rappresentano l’universo poetico dell’autrice. In essa è infatti concentrata l’intera gamma dei suoi motivi ispiratori: la contemplazione estasiata della natura, l’introspezione dell’animo umano, i rapporti di genere e tra generazioni, l’analisi del processo creativo…». Il mestiere di scrivere non è facile. Bisogna pur vivere. Anzi Aristotele, il grande maestro ammonisce: primum vivere, deinde philosophari. Ecco come ce lo descrive Giovanna: «Devo scrivere un nuovo racconto: sento che preme nella mente, vuole uscire. Ma il punto è che ho troppe storie in testa. Stasera dovrò sceglierne una. Ho i possibili protagonisti tutti qui, intorno al tavolo. Il tempo della vostra vicenda si è fermato al momento in cui l’avete vissuta. Non potete mutare più, giovani o vecchi che siate, sarete per sempre quelli che siete stati nella narrazione: però, ora però, ognuno di voi vuole il suo attimo di celebrità. Quale per primo? Forse tu, bambina…?». Riflettiamo su: Non potete mutare più… i personaggi, come quei Sei personaggi in cerca d’autore pirandelliani, stanno in mente, vogliono uscire, si muovono dentro di noi, in quel mondo immaginifico, quel sacrario che Schelling immaginava separato da un quadro: ogni magnifico dipinto è uno spiraglio verso l’aldilà, cioè il mondo della fantasia, altrettanto reale quanto è reale il mondo reale. Una volta usciti sono eternati dalla poesia: l’eterna eternatrice, come la pensava il nostro Foscolo. Un racconto di Giovanna, dal titolo “Piazzetta san Lorenzo”, ha vinto il primo premio al premio internazionale Città di Sarzana, 2019. Voler cogliere il filo conduttore che lega tutte le espressioni della poetica di Giovanna è veramente complicato, riprendiamo solo alcuni passaggi, lasciando al lettore, magari il gusto di assaporare le sue splendide raccolte. Abbiamo ripreso una lirica riportata anche nel suo blog poetico:

Stancami, poesia, chiudimi gli occhi
reclinami il capo sul tavolo dei miei
dolori, quasi lo schermo di un film
dove confuse tutte insieme le immagini
appaiano.
Pregami poesia, getta su di me l’oblio
di ciò che è stato, di quello che sarà.

Molto bella, perché ci indica anche la poetica di Giovanna. La poesia è la consolatrice degli affanni, dei dolori, come la filosofia in qualche modo consolò il Boezio. L’autrice invita la poesia a gettare l’oblio sulla storia: dimenticare tutto, vivere quell’attimo bellissimo in cui l’uomo, dimentico di tutto, annega nel mare leopardiano dell’infinito. Quel naufragio produce dolcezza, cioè sollievo nella sofferenza della vita. L’arte, la poesia, tutte le manifestazioni dell’estro umano sono provocate dall’amore e dal dolore. Giovanna vive questo desiderio intenso dell’amore irraggiungibile, il quale come un eroico furore smuove ogni cosa, e come in Bruno, ci trasforma quali Atteoni, da cani famelici in prede dell’Amore Antico. Qui c’è anche Schopenhauer: l’arte in qualche modo ci può liberare dal dolore esistenziale, è una via. Anche se è una via fragile. Riprendiamo uno degli ultimi testi poetici di Giovanna, “Oltre il limite” (2017). Sempre Chiara Merlotti scrive nella prefazione: «La poesia, specialmente dal Simbolismo in poi, non rappresenta la realtà così come appare. Anzi, poiché la realtà è misteriosa e non può essere spiegata in termini razionali, solo la sensibilità dei poeti può coglierne i significati più nascosti ed intuire le segrete corrispondenze che governano l’universo. Solo il linguaggio poetico, ricco di metafore, di sinestesie, di allegorie e di collegamenti inconsueti, può rappresentare il mistero». Concetto veramente grandioso, che ci fa capire il mito in Platone ed il linguaggio poetico in Heidegger. La poesia è la vera rivelatrice dell’Essere. Bacone pensava che ci fosse uno schematismo latente nella Natura. Ecco, la poesia e non la scienza può cogliere questo latente schematismo, che è il mistico mistero. La poesia in questo senso è religione misterica ed i veri poeti sono gli adepti. Questo è “Oltre il limite”:

Sapeva la Bellezza,
che a toccarla ci saremmo feriti.
Allora si nascose
dietro i rovi e disse:
Sogno sono, se
troppo ti avvicini
sarà sangue”…
guardami soltanto”.

Tardi ti amai, Bellezza sempre antica e sempre nuova. Tardi ti amai. Esclamava Agostino. “Oltre il limite” ci fa pensare alla leopardiana siepe, a quel vago ed indefinito, che coglie anche la Merlotti in Giovanna: «Giovanna De Luca si pone in ascolto di un sentimento di indefinito che ci permea tutti e che ci obbliga alla consapevolezza di essere provvisori e transeunti, ma uniti nella nostra finitezza». Ci soffermiamo sempre come tema centrale sulla poesia, che abbiamo scelto tra la mole grandiosa delle raccolte di Giovanna De Luca:

Come figlia negletta, Poesia,
sovente mi trascuri.
E vengo alla tua porta,
mendicante a cercarti.

E ci ricorda: Stancami, poesia… La personificazione della poesia ci dice il riflesso dell’anima nello specchio di un pozzo senza fondo, che ci collega ai meandri del Tutto, dell’infinito. La poesia di Giovanna è di un romanticismo screziato, che non stona nell’attuale mare magnum dell’espressione poetica, anzi ci riporta al senso. Il problema della poesia oggi è proprio il senso: prevalente è la logica dell’assurdo, del “liquido”, del “debole”, dell’”instabile”. Ricordiamo in ultima analisi solo il ricordo dei genitori, un classico della poesia italiana, senza scomodare “Alla madre” di Ungaretti:

Parlar di te ancora non mi riesce,
mamma. …

E “A mio padre”:

L’uomo più sconosciuto: …
Oggi la mano
che sfiora il tuo marmo
è per te
la mia sola parola.

Si respira l’aureola del mistero che spira in indefiniti contorni. I genitori sono un mistero, la vita stessa è mistero, quando sono nato, perché siam nati? Da dove veniamo, dove andiamo? S’ode quasi il Petrarca: Io infatti mi domando a che giova il conoscere la natura delle belve e degli uccelli e dei pesci e dei serpenti e ignorare, o non cercare di sapere la natura dell’uomo? Perché siam nati? Donde veniamo? Dove andiamo? E c’è quella foscoliana corrispondenza d’amorosi sensi.
Sono interrogativi profondi, che coinvolgono ogni uomo e soprattutto i poeti ed i letterati sono chiamati in causa. Il non-senso è già l’affermazione di un senso, cioè che tutto non ha senso. Il riconoscimento dell’assurdità dell’esistenza umana è già una ragione: l’irrazionalismo è un contorno, non è un primo. La realtà è sempre duplice, come afferma Giovanna in una poesia tratta dalla raccolta “Finché avrò voce”:

La duplice realtà
che ci governa
ama incarnarsi
nella tenue foglia
che distende il suo palmo
sulla terra, dov’essa
si confonde – e poi s’annera.

Come non ricordar i correlativi montaliani? Il tema della foglia: la foglia riarsa. O la foglia ungarettiana: sugli alberi le foglie? O Omero? Quale la generazione delle foglie, tale quella degli uomini. La foglia si confonde, s’annera, diviene terra, come nella terra negra di Carducci. La realtà è razional-irrazionale. Ha sempre una doppia faccia.
Abbiamo ripercorso alcuni temi portanti della poetica di Giovanna De Luca, una donna straordinaria, che ha dedicato tutta la sua vita all’insegnamento ed alla letteratura. I temi sono tanti, abbiamo solo tratto qualche spunto per suscitare una riflessione profonda sugli interrogativi che sempre hanno invitato l’uomo alla ricerca: una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta, come fa dire il discepolo prediletto a Socrate. La letteratura è vita e la vita di Giovanna è tutta una ricerca sul senso, che si esprime straordinariamente nella sua produzione letteraria.

Vincenzo Capodiferro

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