02 dicembre 2019

ANTONIO BRESSI: “AMATO. TRA GALANTUOMINI E BRIGANTI” a cura di Vincenzo Capodiferro

ANTONIO BRESSI: “AMATO. TRA GALANTUOMINI E BRIGANTI”
Opera di ricordo e di storia di una comunità silana

Amato. Tra galantuomini e briganti” è un’opera storica di Antonio Bressi, edita da Titani, London 2018. Antonio Bressi è nato a san Floro – CZ – ma vive e lavora a Roma: giornalista, scrittore, si dedica soprattutto alla storia ed agli studi demo-antropologici. «Per quasi un decennio Antonio Bressi,» scrive Silvestro Bressi nella prefazione, «per varie vicissitudini, è stato costretto ad accantonare nel cassetto della sua scrivania, una ricerca sul borgo di Amato che oggi, finalmente, grazie soprattutto alla costanza che lo contraddistinguer quando si tratta di omaggiare l’amata Calabria, ha deciso di dare alle stampe». E quasi di rimando risponde l’autore: «Con immensa soddisfazione offro questo lavoro agli amatesi, a tutta quella gene che mi ha visto nelle sue strade ragazzo e poi adulto, ospite dei miei zii, immacolata e Peppino Falvo. Quando si vive lontano dagli affetti e dai luoghi familiari, il ricordo del paese, delle costumanze, del nostro essere si rafforza e si arricchisce di particolari». È chiaro che questa opera nasce dall’amore per la terra, e quello che dice Antonio è vero: più stai lontano più l’amore si rafforza. La lontananza rafforza l’amore. Abbiamo conosciuto gente che da anni ha lasciato il paese, eppure pensa sempre al paese, ricorda i fatti del paese, i personaggi, la lingua, i racconti, le tradizioni. Il paese diventa una persona, che si ama: chi è questo paese? «Comune della provincia di Catanzaro, a metri 480 s. l. m., alle pendici meridionali della Sila piccola, di ettari 2.090… Le origini si possono far risalire all’avvento dei Normanni…». Antonio ricorda il paese degli affettuosi zii. Ricorda anche quei personaggi, che attorniavano quei nostri centri. Ognuno aveva un soprannome: come era bello! Come Jolanda ‘a pacchiana, o «il minuto marito della comare Iolanda, ‘u cumpare Turuzzu, dipendente dell’Ospedale Militare, molto stimato dagli Amatesi i quali lo chiamavano don Salvatore, quando parlava di Amato, era solito fare riferimento ad una sorgente di acqua solforosa indicata come “l’acqua santa” e a una cava di argilla, a suo dire, particolarmente adatta per la realizzazione di vasi». Ogni paese aveva la sua lingua, la sua cultura, le sue tradizioni, era un microcosmo all’interno dell’infinito macrocosmo. Peccato che i paesi stanno morendo, mentre crescono le anonime megalopoli. L’opera del Bressi è di indubbio valore storico, riporta dati interessanti di vario tipo: archivistico, economico, geologico, idrico, sociale. C’è un elenco sinottico dei vari personaggi, redatto, in base alle professioni, allo stato sociale. C’è un inserto molto bello sul medico-poeta Francesco Priolo (1908-1955). Il lettore potrà assaporare in uno sguardo d’insieme tutte le ricchezze di questa terra. Ma soprattutto c’è il riporto dell’ancestrale lotta tra galantuomini e cafoni: i briganti! Mai come nei paesi del Sud si applica integralmente la teoria sociale rousseiana e marxiana: oppressori ed oppressi, signori e servi, borghesi e proletari. La società dei paesi è profondamente dualistica: ecco perché qui è stata possibile questa mancata “lotta di classe”. I briganti sono i rivoluzionari, che si ribellano allo strapotere della borghesia, vendutasi ai nuovi padroni, i piemontesi, pur di mantenere in piedi i suoi privilegi sociali ed economici. Vediamo come il Nostro ce li descrive: «Come lupi affamati i briganti scendevano per procurarsi senza tanti riguardi le vettovaglie occorrenti. Naturalmente gliele davano spontaneamente o meno anche sotto minacce a mano armata di ritorsioni». Ad Amato circolava la banda di Pietro Bianco di Bianchi. Arrivavano anche ad effettuare stragi efferate di animali, anche cento alla volta. Perché arrivavano a tanto odio? Vorrei spiegarvelo raccontando anche qui un episodio personale che mi era capitato quando ero giovane ricercatore: accompagnato da don Peppino Cracas, cancelliere della corte d’Appello di Potenza, andammo a trovare lo storico don Tommaso Pedio, nella sua casa nei pressi di Via Pretoria, a Potenza. Egli lo conosceva bene e mi presentò a lui. Ed egli:
- di dove sei?
- di Castelsaraceno. Risposi.
  • Ebbene - riprese - non lo sai che il 1 febbraio del 1861 furono fucilati nella piazza del paese, 9 giovani, tutti figli dei cafoni, perché non si erano presentati alla ferma di leva?
  • Sono stati fucilati - ancora lui - per un mero errore giudiziario, perché il governatore Giacomo Racioppi, non ha comunicato all’esercito che il termine ultimo della presentazione alla ferma era stato rimandato di un mese, dal 1 febbraio al 1 marzo del 1861. La popolazione non ne sa nulla. Arrivano i soldati, rastrellano i giovani, figli di contadini e li fucilano per renitenza alla leva.
Come mi è rimasto impresso nella mente questo tragico ricordo riportato dal Pedio! Avevamo fatto fare anche una lapide in ricordo dei 9 giovani affissa in piazza, ma poi è stata divelta.
Molto bella è, a proposito, anche la storia che Antonio, ci riporta, della druda, Caterina Cappellano, detta Jotta, o Tota, l’amante del brigante Tallarico. Questa storia di Antonio Bressi smentisce così il mito dell’antistoricismo di Nietzsche e company. A che serve la storia antiquaria, o la storia monumentale? Eccome che serve! Un uomo senza storia è come un perenne malato di Alzheimer. Forse perciò Nietzsche uscì fuori di testa, perché dimenticò chi era se stesso. Senza queste testimonianze tutto sarebbe perduto ed i nostri paesi sarebbero tutti finiti nel “nulla eterno” della sera foscoliana. Plutarco ricorda che se nessuno avesse scritto su Sparta, sarebbe stata una città dimenticata, perché a Sparta nessuno scriveva. Nessuno ne avrebbe saputo niente. La storia di Bressi poi non è distaccata, ma è una storia affettuosa, ricca d’amore, che si perde tra ricostruzioni e ricordi infantili, tra storia critica e storia romantica. In appendice viene riportata un’ampia documentazione, molto interessante soprattutto la raccolta delle regole della Congrega di Maria SS. ma Immacolata. Concludiamo, dalla prefazione: «Pagine scritte con amore, a un tiro di schioppo dal “cupolone”, da una penna scorrevole che rende omaggio all’operosa e serena cittadina di Amato e ai tanti suoi figli emigrati e non, e che offre la possibilità agli studiosi di approfondire le ricerche che Antonio ha portato avanti con la stessa dedizione con cui ha curato gli studi dedicati alla sua san Floro». Pagine scritte con amore: non è una storia anonima, impersonale, ma una storia d’amore. Amato si vede che è l’amato per eccellenza, suscita amore. È il nomen-omen che ci ricorda lo stesso autore: «Amato con il suo fascino non poteva essere dimenticato soprattutto quando un amore fatto di gratitudine e di stima ce lo ha reso veramente tale, ossia nomen omen amato!»

V. Capodiferro

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