PARATISSIMA 15
– Multiversity
30 ottobre – 03
novembre 2019
Ex Accademia Artiglieria
- Torino
Di Marco Salvario
Potevo non visitare la
quindicesima edizione di Paratissima? Sì, potevo, però ci sono
andato anche quest’anno alla ricerca di artisti e di idee.
La manifestazione, che
sempre più si vuole avvicinare alla mostra mercato di Artissima, con
quanto in bene e in male questo significa, nel suo continuo
girovagare si è spostata in una sede centrale ed elegante. Il sito
dell’ex Accademia Artiglieria è da tempo abbandonato a un destino
incerto dai troppi governi della città che, pur di diverse tendenze,
sempre vogliono occuparsi di problemi internazionali che poco
importano ai residenti; questo senso di abbandono riguarda in
concreto tutti i quartieri cittadini, tuttavia su questo discorso non
voglio soffermarmi oltre in questa sede.
Il complesso, dietro il
Teatro Regio con vista sui Giardini Reali e sulla Mole Antonelliana,
si è dimostrato una struttura adatta, a parte alcuni gradini
segnalati ma sempre pericolosi per chi guarda le pareti e non i
pavimenti, e le alte scalinate, però erano disponibili gli
ascensori. Forse qualche indicazione in più sarebbe costata poco e
avrebbe aiutato, a ogni buon conto i volontari erano ovunque e molto
disponibili.
Sempre più numerosi e
privilegiati gli spazi delle aree Boutique; capisco, però pagare
sette euro d’ingresso per entrare in un mezzo centro commerciale,
mi lascia perplesso.
Per quanto riguarda la
parte artistica, molti i talenti giovani e moltissimi i più
stagionati. Devo ripetere con forza la critica fatta all’edizione
precedente: Paratissima non graffia più e non vuole dare fastidio a
nessuno, è diventata cauta e borghese. Forse non è colpa di una
censura vera o nascosta di chi gestisce la manifestazione, forse sono
proprio gli artisti che hanno perso gli artigli e osano solo davanti
a problemi che sono sotto gli occhi di tutti, al punto che la
denuncia è banale. Il disagio si sposta in un mondo sfumato,
favolistico o fantascientifico, dove il male è un’astronave aliena
a bordo della quale viaggia la nostra irresponsabile umanità.
Prima di iniziare la mia
personale analisi dell’evento, lasciatemi puntualizzare:
- Le segnalazioni e i giudizi che leggerete in quest’articolo sono pareri personali e riguardano gli artisti che mi hanno colpito favorevolmente. Se uno degli espositori si trova citato, è perché la sua opera mi è piaciuta. Se non si parla di lui, o non mi ha interessato, o il caso ha voluto che le sue opere mi sfuggissero, o non ho trovato lo spunto per commentarlo.
- Mi sono soffermato esclusivamente su opere di pittura, scultura, grafica e fotografia, mentre non ho considerato multimedialità, moda, design, musica ecc.
- L’elenco che segue non è una classifica ed è nato dalla sistemazione casuale delle fotografie che ho scattato.
- Purtroppo quest’anno mi sono perso l’area PH.OCUS. Mi era stata indicata correttamente all’ingresso, ma io non ho capito e ho saltato la zona.
Robert Gligorov
Artista sessantenne di
origini macedoni ma residente a Milano. La sua installazione “Brama
Reinassance” è di grande impatto visivo, profezia di un futuro
dove la natura uomo/animale/pianta diventa un’entità sola, una
realtà statica, violata, prigioniera in un’unione simbiotica da
incubo manga. I tre elementi che compongono l’opera, collegati da
una tubatura lucida che li incatena, dando loro alimentazione oppure
sottraendo energia vitale, sono sospesi su una superficie bianca e
nuda. Intorno nulla è sopravvissuto oltre a questo connubio forzato,
forse l’ultima traccia di una vita in agonia prima della
dissoluzione finale.
Realizzazione perfetta ed
essenziale, curata nei dettagli con una perfezione quasi eccessiva.
Paola Rizzi
Non aprite quelle porte!
Nelle stampe fotografiche di questa artista, la scelta del materiale
su cui sono impresse dà alle opere quasi la valenza di una scultura.
“Tempus fugit”, e
sempre più si ricerca nel latino o nell’inglese titoli e
suggestioni che l’italiano, sempre più limitato e sgrammatico nei
messaggi sugli smart phone e in internet, sta perdendo in un
progressivo imbarbarimento che lo impoverisce e banalizza.
“Tempus fugit”, il
tempo è fuggito oltre quelle porte chiuse che non possiamo più
aprire. Porte all’apparenza fragili, facili da sfondare con una
spallata, eppure difese da una lontananza che è quella delle
occasioni perdute, delle scelte non fatte, delle sfide che non
abbiamo avuto il coraggio di affrontare. Dietro queste porte ci sono
opportunità non colte, strade non percorse, errori che non abbiamo
commesso, però la sequenza di usci fa chiedere, soprattutto a coloro
che hanno più vita dietro di sé di quanta ne abbiano davanti, dove
invece sono le porte che abbiamo saputo varcare e se abbiamo
raggiunto almeno in parte quello che cercavamo.
Marco Poma
Di Marco Poma ho parlato
nell’edizione precedente di Paratissima, dove era stato premiato, e
un premio lo ha ricevuto anche in questa occasione. Mi soffermo
nuovamente perché i suoi lavori, realizzati con le tecniche
dell’acquaforte e dell’acqua tinta, continuano ad avere un
fascino quasi ipnotico con il loro magico equilibrio tra precisione
geometrica e creatività artistica.
Solidi rigorosamente
squadrati come cubi, piastre, colonne, pur nel rigido rispetto di
regole assonometriche o prospettiche e della totale assenza di
colore, acquistano ritmo e movimento nelle loro venature marmoree e
nella loro composizione.
Margherita Giordano
Confesso di avere un
debole per i Tarocchi e le otto carte realizzate da Margherita
Giordano con stampa laser su carta, hanno subito attirato la mia
attenzione. Ottimo compromesso tra valori canonici e interpretazione
personale. Peccato che al momento non ho trovato traccia di una
realizzazione completa di tutti i ventidue arcani maggiori. Aspetterò
con fiducia!
In un universo parallelo
a quello dei Tarocchi, tra reale e magico, tra vissuto e ipotetico,
ci porta “Drops of universe”, acrilico su tela composto di
venticinque tasselli quadrati. Immagini di un cielo scuro, ovattato
da bianchi fumi minacciosi. La bellezza di uno spettacolo che
potrebbe nascondere morte e contaminazione.
Debora Gambino
Artista torinese con
molte esperienze lavorative alle spalle, copio dal suo sito:
“grafica, fotografa, scenografa, costumista e attrice teatrale”,
ha presentato a Paratissima con Marcella Venturini, di cui parlerò
in seguito, il progetto “Femminino: Singolare/Plurale”.
Con le sue opere
realizzate in tecnica mista, Debora Gambino ci offre donne colte
nella propria solitudine, vulnerabili e ignare di essere spiate; il
loro volto è nascosto, coperto, abbassato. Donne che soffrono la
propria condizione, che non riescono a trovare la propria strada;
prigioniere in un ambiente vuoto e ostile.
Quella che ci viene
presentata non è la nudità esteriore dei corpi, quanto l’isolamento
di anime che vorrebbero invece comunicare e interagire. Amare e
ricevere amore
Marcella Venturini
Nel progetto “Femminino:
Singolare/Plurale” alla pittura di Debora Gambino fa da contraltare
la scultura di Marcella Venturini.
Nelle sue opere in
argilla rossa prendono vita tronchi di donne dalle caratteristiche
culturistiche, gonfi di muscoli, tendini e vene, che diventano però
un inizio di metamorfosi arborea.
Nelle opere in argilla
bianca, la donna è corpo, armonia, comunione con il proprio mondo
interiore, amore, sessualità spontanea e libera. Una libertà che
non è del presente ma del passato, con connotazioni classiche e
orientaleggianti insieme. C’è meditazione e ricerca, però le
risposte sono serene, senza angosce e senza tormenti. E nuovamente
sulla pelle si disegnano le tracce di una commistione col mondo
vegetale.
Jérémy Magniez
Un trentaduenne parigino
ci regala affascinanti lavori realizzata a china. Immagini
apparentemente senza logica che si sviluppano in piante, ingranaggi,
addirittura città; forme sferiche che potrebbero essere frutti e si
rivelano mondi, meteoriti su cui una vita, che richiama quella di una
Terra passata o futura, si è incredibilmente sviluppata. Oppure
giungle, fitte e rigogliose.
Sono fantasie, sogni,
utopie, eppure queste creazioni diventano un inno all’energia della
vita, alla sua capacità di attecchire e svilupparsi in ogni
condizione.
Dal punto di vista della
tecnica, assolutamente stupefacente il dettaglio con una lavorazione
certosina e accuratissima, ma sempre armonica e strutturalmente
perfetta.
Salvatore Cocca
Le porte che Paola Rizzi
aveva trovato chiuse, per Salvatore Cocca sono aperte, anzi,
spalancate!
Anche di questo autore
torinese ho già parlato per l’edizione del 2018. Mi soffermo solo
un attimo sui suoi acquerelli della serie Horizon, dove mare e cielo
s’inseguono in una sfida di colori bluastri fino a toccarsi in
quella striscia impossibile da raggiungere che è l’orizzonte.
Osservando questi lavori,
viene l’istinto di respirare profondamente, cercando invano
nell’aria il profumo della salsedine.
Nikolinka Nikolova
Questa giovane artista è
nata in Bulgaria ma dal 1992 vive in Italia; il suo studio è a
Nichelino, proprio alle porte di Torino. Sa stilizzare le forme della
natura e del mito in creazioni di squisita vivacità espressiva e dal
profondo simbolismo. Le immagini offerte sono modernissime e al tempo
hanno radici profonde nel mondo primitivo e nel mito; spontanee
eppure ricercate, non solo si concretizzano nei lavori su tela, ma
anche in un’affascinante proposta di manufatti come abiti, scialli,
abat-jour e cuscini.
Alessandra Carloni
In un elegante mondo da
favola, spettacolare e poetico ugualmente per i bimbi veri e per
quelli grandi come me, ci accoglie la romana Alessandra Carloni,
apprezzata anche come street artist, con i suoi oli su tela. Siamo
con un occhio ai fumetti, ma di una fumettistica raffinata, piena di
dettagli, di riferimenti, di sottointesi, dove tutto è possibile, ma
dove i legami con la realtà sono molto stretti, dove la fuga verso
l’alto, magari su un’improbabile mongolfiera, è appesantita dal
bagaglio, mentale più che fisico, di tutto il nostro passato.
Lavori davanti ai quali
ci si sofferma con un malinconico sorriso.
Anne Cecile Breuer
Pittrice italiana di
origine belga, laureata a quella fornace di bravi artisti che è
l’Accademia Albertina di Torino, è dotata di uno stile dolce e
soffuso che sa creare nello spettatore profonde emozioni. Le sue
modelle sono ripiegate su se stesse fisicamente e non solo; un
movimento lento, rallentato, a volte così sfumato che ne resta solo
l’impronta finale. Quella di queste donne non è sofferenza,
sottomissione o paura, piuttosto è melanconia, stanchezza
esistenziale, male di vivere. Tutto è valorizzato in un esperto
gioco di luci, di nebbie, di chiaroscuri e contrasti.
Benedetto Ferraro
Benedetto Ferraro,
trentaseienne di Maratea, ha presentato opere in argilla refrattaria
di assoluta maestria. Soprattutto in “Nascita di una meteora”
percepiamo l’energia primordiale della natura che, chiusa in una
sfera di magma incandescente, è pronta a esplodere; siamo sospesi
nell’attimo in cui la materia si apre e collassa creando una
fessura vuota, nell’ultimo momento di provvisorio equilibrio, prima
che il nucleo di fuoco puro ne erutti.
Notevole anche “The
pyramid”, costruzione in crescita e al tempo stesso in caduta.
Anche qui siamo in presenza di un momentaneo equilibrio tra il
salire, prima perfettamente squadrato e progressivamente più
caotico, fino al dissolvimento, che richiama una troppo ardita Torre
di Babele; con la speranza che all’ultimo istante si possa
recuperare chiarezza e ordine. Forse sbaglio, ma l’opera mi ha
richiamato le tante cattedrali nel deserto, iniziate e
improvvisamente abbandonate.
Marzio Marchesan
“Canaro”
L’artista di Grado ci
propone due opere molto diverse eppure di uguale fascino.
Il raffinato “Trittico
di Danza - Ballerina” in pittura ceramica su vetro è gioia del
movimento in un simbolismo pieno di richiami e di stupefacente
duttilità, colori i cui accostamenti sono all’inizio sconcertanti
e che pure sono vincenti, portando il piano di lettura a una
dimensione che supera il nostro reale.
Il sognante e incantato
“Il bambino e la lumaca”, acquerello e china su carta, dove
un’assoluta staticità regna nello sguardo in dolce contemplazione
di un bimbo.
Giacomo Costa
Fiorentino
quarantanovenne, fotografo e soprattutto manipolatore di fotografie,
ci offre città di un futuro non troppo lontano, devastate, sfuggite
al controllo e alla difesa dell’uomo. Il senso della morte, della
sconfitta, della condanna, incombe prima ancora che la catastrofe si
abbatta: è scritto nell’aridità impersonale e spenta delle
megalopoli, nella fatalità del collasso. Il disorientamento dello
spettatore è di chi si trova davanti a scene che non sono profezie o
incubi, ma realtà che ci sono state anticipate, messaggi che ci
mostrano verso quale tragica fine stiamo inarrestabilmente correndo.
Luciano Angioli
Un altro toscano, ma di
Arezzo, nato nel 1953; la sua arte si esprime principalmente con
l’acquarello su legno. I suoi mondi sono paesaggi fantastici,
villaggi pieni di luce e circondati da una verde natura, dove tra
campi e case dormono nude e pacifiche gigantesse e si affacciano
curiosi uccelli dai grandi occhi. Una specie di presepi pagani dove
la vita è natura, tradizione, serenità. Un movimento lento,
attento, di ricerca e meditazione.
Gabriella Gastaldi
Ferragatta
Il rapporto simbiotico o
metamorfico uomo/pianta in questa edizione di Paratissima è stato
proposto da numerosi autori, anche se pochi si sono spinti a
estremizzare la situazione quanto questa brava scultrice torinese.
L’uomo non ha più
corpo, è diventato pianta, la sua vita è contenuta in un vaso
trasparente; le sue radici, le sue fronde, sono il solo modo per
nutrirsi, per espandersi verso l’esterno. Gli occhi sono chiusi, in
uno stordimento di vita sospesa, lenta, meditativa.
Rendono inquieti queste
figure, eppure ci ricordano di quanto sia stretto e vitale il nostro
rapporto con la natura; se la natura scompare, noi moriamo. Non
possiamo liberarci dalle nostre radici antiche, anzi a esse dobbiamo
ritornare per la nostra sopravvivenza.
O è la pianta che è
diventata uomo, che ci ha imitato e sostituiti?
Andrea Felice
Lasciamoci la realtà
dietro le spalle. Facciamo che tutto sia possibile, che fantasie
torbide s’introducano nel mondo dei fumetti, oppure che immagini
scivolino verso di noi dai dipinti famosi di altri artisti.
Il progetto Fantaword di
Andrea Felice ci apre questa bizzarra visione, dove ogni commistione
è possibile nel rispetto di una gradevolezza pittorica, dove mondi
diversi s’incrociano e interagiscono in una meravigliata scoperta.
Il tutto in una chiave di lettura apparentemente libera ma in realtà
sapientemente guidata.
Cinzia
Naticchioni Rojas
Nella serie di otto
stampe su alluminio “Narciso – Autoritratto”, l’artista
italomessicana sembra ripercorrere una propria creativa evoluzione da
una figura appena accennata fino alla sua completezza, per proseguire
in un progressivo alterarsi e confondersi nell’indistinto.
L’allegoria di questa rapida ascesa e altrettanto rapida
dissoluzione di un volto che non arriva a esprimere la propria
pienezza, è quella della vita, la nostra impossibilità di
realizzarci interamente, il continuo mutare della nostra natura,
l’affannarsi verso una condizione fragile e momentanea.
Citazioni veloci.
Deborah Graziano. Nella
sua scultura in gesso “Perpetuo”, due mani prigioniere in una
bianca prigione si stringono, mentre sono trafitte da chiodi
metallici. L’unione, la vicinanza, l’amicizia, la condivisione,
aiutano a superare il dolore.
Voli di nere farfalle su
complici donne per Maria Chiara Piglione, creature fatate che stanno
anch’esse per aprire le fragili ali in una rinascita che forse è
solo sogno e desiderio.
Valeria Di Ponio,
torinese, usa ombre e sfumature per mostrarci volti intensi,
sofferenti o timidi, malati e bisognosi di aiuto. Il senso di
disagio, di realtà amare che per orgoglio o diffidenza non chiedono,
eppure che di soccorso hanno bisogno.
Giulietta Gheller nella
sua opera in resina, fibra di vetro e corteccia, “Metamorfosi:
amore fusionale”, unisce con maestria nel calore di un appassionato
abbraccio umano l’unione carne/legno.
Elena Lisa Colombo,
diplomata a Brera, ci regala lampi di corpi vorticosi nella danza,
sensuali e liberi. Uso magistrale di grigi e di pochi abili lampi di
colore.
Marco Sciarpa, anche lui
già presentato in passato. I suoi “quadri shangai” sono sempre
abili realizzazioni e di grande effetto; spostandosi rendono giochi
di movimento e tridimensionalità che affascinano e disorientano.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.