07 novembre 2019

PARATISSIMA 15 – Multiversity a cura di Marco Salvario

PARATISSIMA 15 – Multiversity
30 ottobre – 03 novembre 2019
Ex Accademia Artiglieria - Torino
Di Marco Salvario

Potevo non visitare la quindicesima edizione di Paratissima? Sì, potevo, però ci sono andato anche quest’anno alla ricerca di artisti e di idee.
La manifestazione, che sempre più si vuole avvicinare alla mostra mercato di Artissima, con quanto in bene e in male questo significa, nel suo continuo girovagare si è spostata in una sede centrale ed elegante. Il sito dell’ex Accademia Artiglieria è da tempo abbandonato a un destino incerto dai troppi governi della città che, pur di diverse tendenze, sempre vogliono occuparsi di problemi internazionali che poco importano ai residenti; questo senso di abbandono riguarda in concreto tutti i quartieri cittadini, tuttavia su questo discorso non voglio soffermarmi oltre in questa sede.
Il complesso, dietro il Teatro Regio con vista sui Giardini Reali e sulla Mole Antonelliana, si è dimostrato una struttura adatta, a parte alcuni gradini segnalati ma sempre pericolosi per chi guarda le pareti e non i pavimenti, e le alte scalinate, però erano disponibili gli ascensori. Forse qualche indicazione in più sarebbe costata poco e avrebbe aiutato, a ogni buon conto i volontari erano ovunque e molto disponibili.
Sempre più numerosi e privilegiati gli spazi delle aree Boutique; capisco, però pagare sette euro d’ingresso per entrare in un mezzo centro commerciale, mi lascia perplesso.
Per quanto riguarda la parte artistica, molti i talenti giovani e moltissimi i più stagionati. Devo ripetere con forza la critica fatta all’edizione precedente: Paratissima non graffia più e non vuole dare fastidio a nessuno, è diventata cauta e borghese. Forse non è colpa di una censura vera o nascosta di chi gestisce la manifestazione, forse sono proprio gli artisti che hanno perso gli artigli e osano solo davanti a problemi che sono sotto gli occhi di tutti, al punto che la denuncia è banale. Il disagio si sposta in un mondo sfumato, favolistico o fantascientifico, dove il male è un’astronave aliena a bordo della quale viaggia la nostra irresponsabile umanità.




Prima di iniziare la mia personale analisi dell’evento, lasciatemi puntualizzare:
  1. Le segnalazioni e i giudizi che leggerete in quest’articolo sono pareri personali e riguardano gli artisti che mi hanno colpito favorevolmente. Se uno degli espositori si trova citato, è perché la sua opera mi è piaciuta. Se non si parla di lui, o non mi ha interessato, o il caso ha voluto che le sue opere mi sfuggissero, o non ho trovato lo spunto per commentarlo.
  2. Mi sono soffermato esclusivamente su opere di pittura, scultura, grafica e fotografia, mentre non ho considerato multimedialità, moda, design, musica ecc.
  3. L’elenco che segue non è una classifica ed è nato dalla sistemazione casuale delle fotografie che ho scattato.
  4. Purtroppo quest’anno mi sono perso l’area PH.OCUS. Mi era stata indicata correttamente all’ingresso, ma io non ho capito e ho saltato la zona.


Robert Gligorov

Artista sessantenne di origini macedoni ma residente a Milano. La sua installazione “Brama Reinassance” è di grande impatto visivo, profezia di un futuro dove la natura uomo/animale/pianta diventa un’entità sola, una realtà statica, violata, prigioniera in un’unione simbiotica da incubo manga. I tre elementi che compongono l’opera, collegati da una tubatura lucida che li incatena, dando loro alimentazione oppure sottraendo energia vitale, sono sospesi su una superficie bianca e nuda. Intorno nulla è sopravvissuto oltre a questo connubio forzato, forse l’ultima traccia di una vita in agonia prima della dissoluzione finale.
Realizzazione perfetta ed essenziale, curata nei dettagli con una perfezione quasi eccessiva.


Paola Rizzi

Non aprite quelle porte! Nelle stampe fotografiche di questa artista, la scelta del materiale su cui sono impresse dà alle opere quasi la valenza di una scultura.
“Tempus fugit”, e sempre più si ricerca nel latino o nell’inglese titoli e suggestioni che l’italiano, sempre più limitato e sgrammatico nei messaggi sugli smart phone e in internet, sta perdendo in un progressivo imbarbarimento che lo impoverisce e banalizza.
“Tempus fugit”, il tempo è fuggito oltre quelle porte chiuse che non possiamo più aprire. Porte all’apparenza fragili, facili da sfondare con una spallata, eppure difese da una lontananza che è quella delle occasioni perdute, delle scelte non fatte, delle sfide che non abbiamo avuto il coraggio di affrontare. Dietro queste porte ci sono opportunità non colte, strade non percorse, errori che non abbiamo commesso, però la sequenza di usci fa chiedere, soprattutto a coloro che hanno più vita dietro di sé di quanta ne abbiano davanti, dove invece sono le porte che abbiamo saputo varcare e se abbiamo raggiunto almeno in parte quello che cercavamo.


Marco Poma

Di Marco Poma ho parlato nell’edizione precedente di Paratissima, dove era stato premiato, e un premio lo ha ricevuto anche in questa occasione. Mi soffermo nuovamente perché i suoi lavori, realizzati con le tecniche dell’acquaforte e dell’acqua tinta, continuano ad avere un fascino quasi ipnotico con il loro magico equilibrio tra precisione geometrica e creatività artistica.
Solidi rigorosamente squadrati come cubi, piastre, colonne, pur nel rigido rispetto di regole assonometriche o prospettiche e della totale assenza di colore, acquistano ritmo e movimento nelle loro venature marmoree e nella loro composizione.


Margherita Giordano

Confesso di avere un debole per i Tarocchi e le otto carte realizzate da Margherita Giordano con stampa laser su carta, hanno subito attirato la mia attenzione. Ottimo compromesso tra valori canonici e interpretazione personale. Peccato che al momento non ho trovato traccia di una realizzazione completa di tutti i ventidue arcani maggiori. Aspetterò con fiducia!
In un universo parallelo a quello dei Tarocchi, tra reale e magico, tra vissuto e ipotetico, ci porta “Drops of universe”, acrilico su tela composto di venticinque tasselli quadrati. Immagini di un cielo scuro, ovattato da bianchi fumi minacciosi. La bellezza di uno spettacolo che potrebbe nascondere morte e contaminazione.


Debora Gambino

Artista torinese con molte esperienze lavorative alle spalle, copio dal suo sito: “grafica, fotografa, scenografa, costumista e attrice teatrale”, ha presentato a Paratissima con Marcella Venturini, di cui parlerò in seguito, il progetto “Femminino: Singolare/Plurale”.
Con le sue opere realizzate in tecnica mista, Debora Gambino ci offre donne colte nella propria solitudine, vulnerabili e ignare di essere spiate; il loro volto è nascosto, coperto, abbassato. Donne che soffrono la propria condizione, che non riescono a trovare la propria strada; prigioniere in un ambiente vuoto e ostile.
Quella che ci viene presentata non è la nudità esteriore dei corpi, quanto l’isolamento di anime che vorrebbero invece comunicare e interagire. Amare e ricevere amore


Marcella Venturini

Nel progetto “Femminino: Singolare/Plurale” alla pittura di Debora Gambino fa da contraltare la scultura di Marcella Venturini.
Nelle sue opere in argilla rossa prendono vita tronchi di donne dalle caratteristiche culturistiche, gonfi di muscoli, tendini e vene, che diventano però un inizio di metamorfosi arborea.
Nelle opere in argilla bianca, la donna è corpo, armonia, comunione con il proprio mondo interiore, amore, sessualità spontanea e libera. Una libertà che non è del presente ma del passato, con connotazioni classiche e orientaleggianti insieme. C’è meditazione e ricerca, però le risposte sono serene, senza angosce e senza tormenti. E nuovamente sulla pelle si disegnano le tracce di una commistione col mondo vegetale.


Jérémy Magniez

Un trentaduenne parigino ci regala affascinanti lavori realizzata a china. Immagini apparentemente senza logica che si sviluppano in piante, ingranaggi, addirittura città; forme sferiche che potrebbero essere frutti e si rivelano mondi, meteoriti su cui una vita, che richiama quella di una Terra passata o futura, si è incredibilmente sviluppata. Oppure giungle, fitte e rigogliose.
Sono fantasie, sogni, utopie, eppure queste creazioni diventano un inno all’energia della vita, alla sua capacità di attecchire e svilupparsi in ogni condizione.
Dal punto di vista della tecnica, assolutamente stupefacente il dettaglio con una lavorazione certosina e accuratissima, ma sempre armonica e strutturalmente perfetta.


Salvatore Cocca

Le porte che Paola Rizzi aveva trovato chiuse, per Salvatore Cocca sono aperte, anzi, spalancate!
Anche di questo autore torinese ho già parlato per l’edizione del 2018. Mi soffermo solo un attimo sui suoi acquerelli della serie Horizon, dove mare e cielo s’inseguono in una sfida di colori bluastri fino a toccarsi in quella striscia impossibile da raggiungere che è l’orizzonte.
Osservando questi lavori, viene l’istinto di respirare profondamente, cercando invano nell’aria il profumo della salsedine.


Nikolinka Nikolova

Questa giovane artista è nata in Bulgaria ma dal 1992 vive in Italia; il suo studio è a Nichelino, proprio alle porte di Torino. Sa stilizzare le forme della natura e del mito in creazioni di squisita vivacità espressiva e dal profondo simbolismo. Le immagini offerte sono modernissime e al tempo hanno radici profonde nel mondo primitivo e nel mito; spontanee eppure ricercate, non solo si concretizzano nei lavori su tela, ma anche in un’affascinante proposta di manufatti come abiti, scialli, abat-jour e cuscini.


Alessandra Carloni

In un elegante mondo da favola, spettacolare e poetico ugualmente per i bimbi veri e per quelli grandi come me, ci accoglie la romana Alessandra Carloni, apprezzata anche come street artist, con i suoi oli su tela. Siamo con un occhio ai fumetti, ma di una fumettistica raffinata, piena di dettagli, di riferimenti, di sottointesi, dove tutto è possibile, ma dove i legami con la realtà sono molto stretti, dove la fuga verso l’alto, magari su un’improbabile mongolfiera, è appesantita dal bagaglio, mentale più che fisico, di tutto il nostro passato.
Lavori davanti ai quali ci si sofferma con un malinconico sorriso.


Anne Cecile Breuer

Pittrice italiana di origine belga, laureata a quella fornace di bravi artisti che è l’Accademia Albertina di Torino, è dotata di uno stile dolce e soffuso che sa creare nello spettatore profonde emozioni. Le sue modelle sono ripiegate su se stesse fisicamente e non solo; un movimento lento, rallentato, a volte così sfumato che ne resta solo l’impronta finale. Quella di queste donne non è sofferenza, sottomissione o paura, piuttosto è melanconia, stanchezza esistenziale, male di vivere. Tutto è valorizzato in un esperto gioco di luci, di nebbie, di chiaroscuri e contrasti.


Benedetto Ferraro

Benedetto Ferraro, trentaseienne di Maratea, ha presentato opere in argilla refrattaria di assoluta maestria. Soprattutto in “Nascita di una meteora” percepiamo l’energia primordiale della natura che, chiusa in una sfera di magma incandescente, è pronta a esplodere; siamo sospesi nell’attimo in cui la materia si apre e collassa creando una fessura vuota, nell’ultimo momento di provvisorio equilibrio, prima che il nucleo di fuoco puro ne erutti.
Notevole anche “The pyramid”, costruzione in crescita e al tempo stesso in caduta. Anche qui siamo in presenza di un momentaneo equilibrio tra il salire, prima perfettamente squadrato e progressivamente più caotico, fino al dissolvimento, che richiama una troppo ardita Torre di Babele; con la speranza che all’ultimo istante si possa recuperare chiarezza e ordine. Forse sbaglio, ma l’opera mi ha richiamato le tante cattedrali nel deserto, iniziate e improvvisamente abbandonate.

Marzio Marchesan “Canaro”

L’artista di Grado ci propone due opere molto diverse eppure di uguale fascino.
Il raffinato “Trittico di Danza - Ballerina” in pittura ceramica su vetro è gioia del movimento in un simbolismo pieno di richiami e di stupefacente duttilità, colori i cui accostamenti sono all’inizio sconcertanti e che pure sono vincenti, portando il piano di lettura a una dimensione che supera il nostro reale.
Il sognante e incantato “Il bambino e la lumaca”, acquerello e china su carta, dove un’assoluta staticità regna nello sguardo in dolce contemplazione di un bimbo.


Giacomo Costa

Fiorentino quarantanovenne, fotografo e soprattutto manipolatore di fotografie, ci offre città di un futuro non troppo lontano, devastate, sfuggite al controllo e alla difesa dell’uomo. Il senso della morte, della sconfitta, della condanna, incombe prima ancora che la catastrofe si abbatta: è scritto nell’aridità impersonale e spenta delle megalopoli, nella fatalità del collasso. Il disorientamento dello spettatore è di chi si trova davanti a scene che non sono profezie o incubi, ma realtà che ci sono state anticipate, messaggi che ci mostrano verso quale tragica fine stiamo inarrestabilmente correndo.


Luciano Angioli

Un altro toscano, ma di Arezzo, nato nel 1953; la sua arte si esprime principalmente con l’acquarello su legno. I suoi mondi sono paesaggi fantastici, villaggi pieni di luce e circondati da una verde natura, dove tra campi e case dormono nude e pacifiche gigantesse e si affacciano curiosi uccelli dai grandi occhi. Una specie di presepi pagani dove la vita è natura, tradizione, serenità. Un movimento lento, attento, di ricerca e meditazione.


Gabriella Gastaldi Ferragatta

Il rapporto simbiotico o metamorfico uomo/pianta in questa edizione di Paratissima è stato proposto da numerosi autori, anche se pochi si sono spinti a estremizzare la situazione quanto questa brava scultrice torinese.
L’uomo non ha più corpo, è diventato pianta, la sua vita è contenuta in un vaso trasparente; le sue radici, le sue fronde, sono il solo modo per nutrirsi, per espandersi verso l’esterno. Gli occhi sono chiusi, in uno stordimento di vita sospesa, lenta, meditativa.
Rendono inquieti queste figure, eppure ci ricordano di quanto sia stretto e vitale il nostro rapporto con la natura; se la natura scompare, noi moriamo. Non possiamo liberarci dalle nostre radici antiche, anzi a esse dobbiamo ritornare per la nostra sopravvivenza.
O è la pianta che è diventata uomo, che ci ha imitato e sostituiti?


Andrea Felice

Lasciamoci la realtà dietro le spalle. Facciamo che tutto sia possibile, che fantasie torbide s’introducano nel mondo dei fumetti, oppure che immagini scivolino verso di noi dai dipinti famosi di altri artisti.
Il progetto Fantaword di Andrea Felice ci apre questa bizzarra visione, dove ogni commistione è possibile nel rispetto di una gradevolezza pittorica, dove mondi diversi s’incrociano e interagiscono in una meravigliata scoperta. Il tutto in una chiave di lettura apparentemente libera ma in realtà sapientemente guidata.


Cinzia Naticchioni Rojas

Nella serie di otto stampe su alluminio “Narciso – Autoritratto”, l’artista italomessicana sembra ripercorrere una propria creativa evoluzione da una figura appena accennata fino alla sua completezza, per proseguire in un progressivo alterarsi e confondersi nell’indistinto. L’allegoria di questa rapida ascesa e altrettanto rapida dissoluzione di un volto che non arriva a esprimere la propria pienezza, è quella della vita, la nostra impossibilità di realizzarci interamente, il continuo mutare della nostra natura, l’affannarsi verso una condizione fragile e momentanea.


Citazioni veloci.

Deborah Graziano. Nella sua scultura in gesso “Perpetuo”, due mani prigioniere in una bianca prigione si stringono, mentre sono trafitte da chiodi metallici. L’unione, la vicinanza, l’amicizia, la condivisione, aiutano a superare il dolore.

Voli di nere farfalle su complici donne per Maria Chiara Piglione, creature fatate che stanno anch’esse per aprire le fragili ali in una rinascita che forse è solo sogno e desiderio.

Valeria Di Ponio, torinese, usa ombre e sfumature per mostrarci volti intensi, sofferenti o timidi, malati e bisognosi di aiuto. Il senso di disagio, di realtà amare che per orgoglio o diffidenza non chiedono, eppure che di soccorso hanno bisogno.

Giulietta Gheller nella sua opera in resina, fibra di vetro e corteccia, “Metamorfosi: amore fusionale”, unisce con maestria nel calore di un appassionato abbraccio umano l’unione carne/legno.

Elena Lisa Colombo, diplomata a Brera, ci regala lampi di corpi vorticosi nella danza, sensuali e liberi. Uso magistrale di grigi e di pochi abili lampi di colore.

Marco Sciarpa, anche lui già presentato in passato. I suoi “quadri shangai” sono sempre abili realizzazioni e di grande effetto; spostandosi rendono giochi di movimento e tridimensionalità che affascinano e disorientano.

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