Signor Ministro della (In)Giustizia, NESSUNO DOVREBBE MORIRE IN
CARCERE
Leggo sempre le notizie che vengono dall’inferno delle nostre “Patrie
Galere” perché è difficile scrollarsi il carcere di dosso. Oggi in rete ho
letto:
“Egidio Tiraborrelli aveva 82 anni e il 18 dicembre 2018 è stato messo
in carcere per un reato accertato nel 2012 e per il quale era stato condannato
in contumacia a sua insaputa. Dal carcere è uscito solo per andare in medicina
d’urgenza dove oggi è morto. Egidio è stato accusato di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, un reato considerato gravissimo, tanto da far
entrare in carcere una persona malata di 82 anni, un reato considerato ostativo,
tanto da far perdere la possibilità di misure alternative al carcere e di
sottrarre addirittura la pensione. Egidio era un vero cittadino del mondo. Lui,
con alle spalle una vita di duro lavoro in giro per i deserti a saldare tubi per
la Snam e per la Saipem, si era adeguato con leggerezza a vivere in una casa
occupata a Parma, legando benissimo con gli altri abitanti e con il vicinato, al
quale offriva i prodotti dell’orto e del giardino che curava come fossero
figli.” (Fonte: da Rete Diritti in Casa).
Cambiano i ministri della (in)giustizia ma il carcere rimane sempre un
cimitero dei vivi. Questa morte, per certi aspetti, mi ha fatto ricordare quella
di Khalid Hussein, 79 anni, il più anziano prigioniero politico palestinese
rinchiuso nelle carceri italiane, morto nel giugno del 2009, malato, vecchio e
solo in una cella del carcere di Benevento. Avevo conosciuto Khalid, combattente
per la libertà della Palestina e dei palestinesi, condannato all’ergastolo in
contumacia per il sequestro della nave Achille Lauro, nel carcere di Parma nel
1998. Parlava perfettamente diverse lingue: russo, arabo, israeliano, inglese,
francese, italiano e greco. Mi ricordo che giocavo a scacchi con lui, io ero più
bravo, ma lui era più anziano e qualche volta lo facevo vincere, perché
altrimenti ci rimaneva male e non giocava più. Non l’avevo mai perso di vista,
gli avevo sempre mandato, e mi erano sempre arrivati i suoi, saluti da un
carcere all’altro. Mi ricordo che Khalid aveva sempre partecipato a tutte le
iniziative del movimento degli ergastolani in lotta per la vita per l’abolizione
dell’ergastolo. Aveva partecipato a due scioperi della fame, quello dal primo
dicembre 2007 ad oltranza e quello del primo dicembre del 2008 a staffetta. Nel
2007 anche lui aveva fatto parte di quei 310 ergastolani che avevano chiesto al
Presidente della Repubblica la pena di morte in sostituzione all’ergastolo.
Molti, troppi, di quella famosa lista sono già morti di suicidio o di morte
naturale, ma l’ergastolo, purtroppo, esiste ancora: io, infatti, con la mia
libertà condizionale, sono solo l’eccezione che conferma la regola. Io e Khalid
nelle nostre passeggiate all’aria parlavamo spesso di politica, di Dio e della
morte. La pensavamo quasi allo stesso modo, tutti e due atei, lui comunista, io
anarchico, e della morte, quando capita ad un ergastolano, dicevamo che è
giusta, bella e buona. Il carcere in questo strano paese trasforma la giustizia
in vendetta e violenza e viene usato spesso solo come un luogo dove s’invecchia
e si muore.
Spero che ora sia Khalid che Egidio siano in un posto migliore dell’Italia,
un paese crudele che tiene, e fa morire, persone anziane e malate chiuse a
chiave in una cella.
Buona morte a voi e buona vita a chi in nome della legge vi ha fatto morire
in carcere.
Carmelo Musumeci
Settembre 2019
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