Michele
Pellegrino - “Persone”
Spazio
Don Chisciotte della Fondazione Bottari Lattes – Via della Rocca
37b, Torino
3
maggio – 15 giugno 2019
Marco
Salvario
Le
opere del fotografo cuneese Michele Pellegrino ci portano di mezzo
secolo indietro nel tempo e alla loro raffinata qualità si aggiunge
un valore di preziosa documentazione storica.
L’artista
vivente e ancora sulla breccia cui è dedicata questa interessante
mostra dalla Fondazione Bottari Lattes, è arrivato all’arte
fotografica tardi, ormai trentatreenne. Da entusiasta autodidatta si
è perfezionato e in poco tempo ha cominciato a esporre e a
pubblicare le sue opere in libri che gli permettono di raggiungere un
pubblico più vasto e di arricchire le opere fotografiche con testi
scritti. Pellegrino ha spiegato la scelta per la fotografia come
legata al bisogno di apprendere vedendo il mondo con l’occhio
diverso dell’obiettivo. Questo permette di analizzare e comprendere
meglio la realtà, ma soprattutto di capire noi stessi, i nostri
sentimenti e le nostre emozioni.
Molte
delle fotografie ci presentano le condizioni di vita umili e faticose
di una civiltà ancora contadina, arretrata e veramente povera come
nel secondo dopo guerra spesso pensiamo fosse solo il profondo sud
d’Italia, dimenticando che quella era una condizione di tutta la
nazione provata da due conflitti e incapace di seguire il progresso
economico delle altre nazioni europee. Le foto del Piemonte e
dell’Alta Langa restano come denuncia di una condizione di
arretratezza e degrado ancora ben presente nei primi anni settanta,
una situazione che provocherà la migrazione dalla miseria delle
campagne alle relativamente migliori condizioni lavorative delle
grandi industrie. Non posso a questo punto non ricordare il libro “Il
profondo Nord” pubblicato dall’autore nel 1975.
Molte
suggestive anche le foto di devozione. Sono immagini anche queste che
sembrano riportarci in un passato antichissimo e che pure sanno
turbarci col loro messaggio di fede totale, genuina e sincera.
Manifesti di una religione povera, intima e ingenua, radicata negli
uomini e nelle donne come nella stessa natura. La stessa religione
naturale del don Camillo di Guareschi, per intenderci.
Opere
che hanno una capacità espressiva che spesso è peculiarità più
della pittura che della fotografia.
Per
gli amanti del glamour vintage, segnalo le due fotografie di nudo,
che con maliziosa gioiosità e raffinata indeterminazione, sanno
comprovare quanto il bianco e nero possa dare poesia e suggestione.
Da mostrare a coloro ai quali la risoluzione sempre più elevata
degli scatti fotografici ha tolto la capacità di sapere apprezzare
anche l’inespresso e a vedere oltre le immagini.
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