25 marzo 2019

Paesaggi d'estate di Gianfranco Galante a cura di Vincenzo Capodiferro

PAESAGGI D’ESTATE
Idilli leopardiani nel ricordo dei viaggi dell’infanzia, di Gianfranco Galante

In “Paesaggi d’estate. Affreschi dipinti a mente d’un pensare assai fluente” uscito nel 2018, presso Gianpi Sas a Varese, l’autore, Gianfranco Galante, ci offre dei veri e propri affreschi leopardiani, affondati nei fondali marini del ricordo dell’infanzia perduta. Vi si respira aria di quel pessimismo nostalgico che anima tutta la poetica dei nostri sud-diti (i soggiogati del sud). Sud è nostalgia per eccellenza. Ecco la platonica reminiscenza dei luoghi dell’infanzia! Si scende nei fondali di quell’iceberg freudiano-junghiano soggettivo-collettivo e qui si trova il ritorno, l’eterno ritorno in quei “paesaggi d’estate”. È l’eterno ritorno del migrante nei luoghi dell’esilio, nella Sicilia, il cuore del Mediterraneo, un cuore palpante d’amore. Il tema forte è quello del viaggio, il viaggio che faceva l’emigrante da Milano alla Sicilia e dalla Sicilia a Milano, percorrendo tutto lo stivale dell’Italia, il Bel Paese, che sbalordisce il visitator cortese: «In “paesaggi d’estate” sono presenti immagini, istantanee mnemoniche … attraverso occhi di bambino prima e ragazzino poi, che ha percorso un viaggio mille volte. Una tradotta di circa quaranta ore. Sopra un treno lungo lungo … viaggiando di giorno, di notte … Con scomparti super affollati … con gli odori di cibo sempre nell’aria … con l’olezzo dei piedi … Ed in più il fumo di sigarette … Una transumanza …,» ci ricorda Gianpi - così chiamiamo il nostro amico Gianfranco e permettetecelo! - nella Introduzione al testo. Adesso non si possono immaginare più nemmeno questi viaggi, perché ci sono le frecce rosse, gli aeroplani, ma allora? E permetteteci anche di intersecare i nostri “paesaggi d’estate”, anche perché anche noi abbiamo vissuto quei momenti struggenti delle partenze e degli arrivi per andare dai nonni, dai genitori, dai cari. Ci aspettavano come il Padre il figliol prodigo. E poi si tornava, dai nostri boschi a Milano:

Milan s’arriva,
colle selve di antenne rivolte,
e così ti arride la sorte!

Così annotavo anch’io nei miei diari. A Milano ci accoglieva una selva di antenne televisive: che strani alberi! Fare un viaggio del genere per dei ragazzini, come io, Gianpi, e tanti altri, era un’impresa. Mi ricordo una volta con mia nonna che giunti a Milano si mettevano i grossi scatoloni in testa, con la spara, il grande fazzoletto arrotolato che serviva da base e una volta uno di quelli cadde e si fracassò e tutte le forme di cacio si misero a rotolare giù. Tempi difficili!

Tutto nel vano/ si fa mistero,/ ogni colore/ diventa nero;/ e vola nel cuore/ dei nostri sentire,/ l’allegra speranza/ di presto toccare,/ con pelle e con mano/ il caldo raggiare/ del sole nostrano./ E sonno sia!

Ecco lo stile di Gianpi! Uno stile semplice, classicistico, permeato di quel sano pessimismo che ha accompagnato tutta la poetica dei nostri cantori, da Leopardi a Montale, da Capra ad Ungaretti. È il dolore della terra perduta che ispira il vento delle Muse. Nel quadro di un pessimismo cosmico si libra la speranza del sole. La luna accompagna le notti, anche il viaggio …

Continua l’andare, prosegue il suo viaggio,
il treno col buio, di notte, ha coraggio …

e ancora:

cielo terso e luna tonda,
vola treno in notte fonda!

Adesso le stagioni sono cambiate, non si capisce più nulla e le super-lune le ammiriamo più d’inverno che d’estate, ma allora i parametri temporali, stagionali, erano stabili. La luna accompagna le notti, il sole è il giorno. Il nostro poeta - permettete di esprimere un caro ricordo - Rocco Scotellaro, poeta dei contadini, cantava e nomava la sua raccolta, come un covone: È fatto giorno! Il sole del cielo si confondeva colle messi mature ed egli fu martire, fatto morire all’età di Cristo, per crepacuore. Egli è il “Cristo” che “si è fermato ad Eboli”. Egli era un populista vero, come Leone Tolstoj, non come i populisti demagoghi di oggi. Anche Tolstoj - badate bene - toccò l’ultima stazione e morì. Era su di un treno. Avete visto il film: L’ultima stazione? Ulisse viaggia. Ogni viaggio è un’Odissea.

E sonno sia!

La vita è sogno! Ce lo ricordano tutti da Calderon a Pirandello, che pure scrisse la novella: Il treno ha fischiato! La vita è un viaggio, è come il viaggio di Gianpi nei “paesaggi d’estate”. Mons. Forno mentre moriva diceva: Mò parte u treno! Il viaggio continua anche dopo la morte. Non finisce mica qui! È un viaggio eterno, infinito. Il treno è un mondo che viaggia nel mondo. Ci trovi di tutto e di più. Si incontrano e si scontrano persone di ogni tipo. Il finestrino del treno si affaccia sul mondo. Oggi i treni hanno i finestrini che non si aprono, perché c’è l’aria condizionata. Non si può esprimere la stessa emozione dei treni coi finestrini che si aprivano e alle stazioni colle mani pendenti che toccavano le mani dei cari! È come morire. E quei treni fiancheggiavano il Mare Nostro, il Tirreno, il mar dei Tirseni, antichi abitatori d’Italia.

e vede laggiù, la terra finisce,
c’è un braccio di mare che popolo unisce …

aunisce. Il mare unisce i popoli e la Sicilia lo sa, ma li anche divide. Così aveva sostenuto lo storico Pirenne in Maometto e Carlomagno. Dal mare venivano i sanguinari Saraceni. Dal mare oggi arrivano i migranti. Il Mediterraneo è il mare di mezzo, oggi tomba e speranza dei popoli.
Ma torniamo al nostro viaggio. Mi ricordo da bambino che da Lagonegro partiva la lettorina per andare a Salerno. Gianpi annota lo stesso nell’introduzione: «La ripresa del viaggio dopo la pausa della traversata marinaresca del treno. La lenta, asfissiante, noiosa, pigra tradotta verso Palermo. Con il binario che attraversava mille volte la strada statale… Con il mare a destra e i monti a sinistra. E poi l’ultimo tratto fino a casa, nel territorio di Castellammare del Golfo, in quel di Segesta; ma solo dopo aver penato in stazione a Palermo, in quanto l’orario di partenza della littorina, con due sole carrozze tutte in legno ed a gasolio, verso Castellammare, era molto aleatorio ed incerto». Torno un attimo con la mente a Lagonegro: oggi la ferrovia fantasma, abbandonata da decenni ci offre un macabro spettacolo da dove partivano le famose “lettorine”, che gli anziani chiamavano: il treno con la fuma. Scusate queste intersecazioni con Gianpi, ma il tema è molto forte, coinvolgente.

Ed ad ogni stazione che arrivi e che ferma
il treno si blocca a fermata eterna…

Sembra il viaggio delle antiche transumanze dei pastori, che si fermavano nelle “stationes”, ricordo ancestrale delle antichissime vie romane, su cui si stagliavano i tratturi. Presso il castello diroccato di Notano, a Castronuovo, si fermavano tutti i pastori con gli armenti transumanti.

Lassù non c’è scusa,/ passa il tempo e si riposa …/ Non lavoro, non fatica,/ sol dormire e poi giocare …

Gianpi, il cartolaio intellettuale, illuminato, ci offre questi paesaggi d’estate, un poema che sa di omerico e anche di America, di scoperta. Un viaggio che si spinge al di là delle colonne d’Ercole, con Cristoforo Colombo che dice: Non potrai mai attraversare l’oceano se non hai il coraggio di perdere di vista la riva. Ci racconta le sue emozioni che danzano nel ricordo.

Poi ferma a un contado del tempo che fu,
sotto la Rocca di Cefalù …

Si ricorda ciò che si ama. Ricordare deriva da recordare: riportare al cuore. Dove non c’è amore non c’è ricordo.

Qui giunti in Trinacria/ una lingua si parla:/ Sventura! A chi dice dialetto,/ perch’è canto; chiaro e schietto/ e in ogni siculo feudo non fa difetto…

In Sicilia si parla un’unica lingua, bello! Da noi ogni paese ha un dialetto. Già da Castello a San Chirico cambia lingua e non ne parliamo se vai a Lauria – più vicino al siculo – o a Senise, a Tursi! Leggete Albino Pierro! È una favola. L’”Ultimo canto di Saffo” di Gianpi è “Chiant’amaru”, proprio in dialetto siculo. Vi si legge una profondissima nostalgia, che ci fa ricordare Pino: Terra mia!
Comm’è triste, comm’è amaro/ sta assettato e guardà…

Il viaggio di Gianpi non ha data, è atemporale, riposa nei meandri dell’anima. È lo stesso viaggio dentro l’anima che va fatto con maieutica ironia. Ricordare significa riportare al cuore. Se non si ama nulla si può ricordare. A proposito di treni una volta mio zio Carmine sbagliò classe: si mise in prima classe. Passa il controllore e contesta che doveva pagare la differenza. Egli stava mangiando la sua colazione con un coltellaccio da contadino. Si alza e comincia a parlottare in dialetto e nello stesso tempo roteava quel coltello ad uncino, che si usava per le potature, da destra a manca, ma non per far del male, né per minacciare: Eh! Treno è questo e treno è quello! Il controllore si spaventa e lo lascia stare.

A chiudere il ricordo del nonno:

e mille volte ancora, io e il nonno, allora,
riuscimmo fuori a riveder le stelle …

Buon viaggio nella lettura di “Paesaggi d’estate” di Gianpi, Gianfranco Galante.

(c) Vincenzo Capodiferro

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