18 marzo 2019

L’ITALIA È UNA REPUBBLICA INFONDATA SUL LAVORO Riflessioni di filosofia del diritto a cura di Vincenzo Capodiferro


L’ITALIA È UNA REPUBBLICA INFONDATA SUL LAVORO
Riflessioni di filosofia del diritto

La Costituzione italiana comincia con un valore importante: L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Ma forse i padri costituzionali si sono sbagliati? Questo principio fu caldeggiato soprattutto dalle vecchie forze socialiste, della sinistra vera, che non ha nulla a che vedere con la sinistra attuale. Il lavoro, il denaro, sono diventati miti utopistici, perché? Perché stiamo via via perdendo tutti i diritti del lavoro, conquistati a forza di lotte, battaglie, martiri? Possibile che ogni minima crisi possa del tutto invalidare tutto il processo di integrazione del lavoratore? Eppure il lavoro è nobiltà: nobilita l’uomo, è parte integrante della sua natura. Ma lo rende simile alla bestia. Qui sta tornando di brutto il fantasma dell’alienato di Marx. Ma da dove torna? Dai modelli neo-stakanovisti dei regimi post-comunisti, proprio da là. Ah! Povero Marx! Se tornasse a nascere e vedesse che fine hanno fatto tutti i regimi comunisti e post-comunisti si metterebbe mano ai capelli. E ne aveva tanti! Traditori! Hanno solo sfruttato le sue teorie per instaurare regimi più borghesi di quelli borghesi, fascisti, nazisti e compagnia bella. Forse avrebbe ascoltato le remore dei revisionisti, come il Bernstein. A fronte della grave frattura economica che imperversa imperterrita dall’ottobre del 2009 e che ci ricorda da lontano quella particolare congiuntura che fu la Crisi del 1929, consapevoli delle gravi difficoltà che tutti i governi, di destra e di manca, debbono affrontare per contenere il debito pubblico e per rivitalizzare le energie di produzione e i sistemi bancari, non ci sembra giusto però operare dei tagli troppo netti, delle potature troppo energiche che vanno a colpire puntualmente la base radicale dell’albero sociale: i primi ad essere tagliati sono i giovani precari, gli operai, le donne, l’Istruzione, la Sanità, i servizi, in una parola i ceti più deboli. Chi deve pagare, in pratica, l’enorme buco derivante dai malaffari globalistici, dalla corruzione imperante, dal fallimento di un sistema che è diventato insostenibile, soprattutto per le giovani generazioni? È sempre il povero. Ciò che si afferma oggi è una forma di super-capitalismo oligarchico, una plutocrazia onniveggente ed onnipotente di multinazionali e nazioni e di un perfetto sistema finanziario-bancario che è capillare, come una piovra immensa, un Leviatano, per usare il termine hobbesiano, un mostro mai visto prima ad ora. Prima c’era il povero industriale di provincia, che forse era più socialista dei socialisti stessi, di Marx stesso. Engels era un industriale! Marx un mantenuto! C’erano industriali che avevano accolto le sollecitazioni dei socialisti, malamente detti utopisti: non meno utopista fu il comunismo marxiano. Abbiamo esempi in Lombardia, sotto i nostri occhi: i Borghi, etc. Nessun ministro pota i rami alti, le corporazioni, le “caste”, tanto per usare un termine molto caro a chi si propone come riformatore, quelle sette sociali che hanno dominato e dominano dal fascismo ai fascismi dell’Italia democratica sino allo sfascismo totale che oggi ci colpisce. Chi risente di più allora di queste restaurazioni che portano il nome e la bandiera di riforme sono i giovani, gli anziani, le donne, le famiglie che non arrivano più a fine mese, le famiglie mancate dei giovani che sono impossibilitati ad averne una, le famiglie sfasciate dal consumismo e non dal comunismo, dall’egoismo e non dall’altruismo, dall’individualismo, le famiglie abortite, divorziate, ridotte alla fame. Cosa faranno i giovani, sui quali grava tutto questo peso del malgoverno degli adulti-adulteri? Ci sarà una questione sociale come non se ne è mai visa nella storia!
Non è il caso di citare sempre questo oramai noto articolo 1 - è come l’articolo il, il più importante di tutto! - della Costituzione Italiana. È il caso, invece, di ribaltare il processo di pseudo-riforme che ha seguito una scalata al contrario: mobilità, che è diventata precarizzazione, frantumazione, rigidità, esclusione, disoccupazione, producendo un attentato al lavoro, al lavoro dei giovani che è precario, ma anche al lavoro degli arruolati in un esercito di intellettuali e di manuali allo sbaraglio, alla confusione, allo spostamento, alla fuga dai posti abituali di lavoro per raggiungere mete senza meta. La ricchezza di uno Stato si misura non tanto dai PIL delle banche e delle balene in un oceano senza fondali, ma dal lavoro. Lo diceva Smith nella bibbia del capitalismo classico: La ricchezza delle nazioni. Più c’è lavoro, più ci sono entrate, più lo Stato è ricco e può distribuire. Questo fece Roosevelt col New Deal . Ci vorrebbero altri Roosevelt, altri Stalin coi piani quinquennali. Ma dove sono? I nostri politici … guardate! Lo stato ha il dovere di far lavorare la gente anche quando il lavoro non c’è. Keynes ce l’aveva ammonito. Or ora tagliare le risorse nel momento più critico per il popolo significa tagliare l’albero sociale, significa condannare questa società, le famiglie alla miseria e con la miseria l’economia non si riprenderà mai, né la produzione, né la vendita, né la trasformazione. Tagliando una parte del sociale inevitabilmente tutti ne saranno colpiti. Povero Marx, se vivesse oggi assisterebbe ad uno strano fenomeno: invece di proletarizzarsi la borghesia si è imborghesito il proletariato. Ma il debito pubblico è infinito! Ma il debito pubblico è infinito, esponenziale! Come si fa ad assicurare il lavoro a tutti? Come si faceva in America: di giorno si colmano le buche, di notte si fanno. L’unico modo per togliere i debiti è un crac super-inflazionistico. Più volte è stato usato nella storia, basta guardare la Germania di Weimar negli anni venti. Stresemann, che era un socialista doc, come anche Rathenau, col suo socialismo di guerra, l’aveva capito bene! Se non azzeriamo i debiti, che purtroppo sono stati fatti a causa dell’avarizia e dell’ingordigia umana, che è l’unica causa di tutte le guerre e di tutte le crisi economiche, non possiamo rilanciare l’economia pubblica. Ma questo oggi non si può fare in un sistema bancario centralizzato. Si poteva fare in un sistema bancario controllato dallo Stato, il quale poteva imporre il famigerato “corso forzoso”. Sono operazioni che costano sacrifici per un po’, ma non c’è altra via d’uscita! Altrimenti l’unica via di sfogo era la guerra: Hitler lo sapeva benissimo coi suoi soldatini drogati di pervitin! Perché comanda il dio Mammona, non Dio! Ma vogliamo tornare alla guerra? Dio ce ne liberi! Si può distruggere in altro modo e poi lanciare le ricostruzioni, senza fare le guerre fuori, oltre l’Europa e l’America, nei posti degli schiavi del neocolonialismo economico. Il socialismo va riformato! Va innanzitutto spiritualizzato: ricollegato alle sue legittime radici religiose: dei primi cristiani, di Muntzer, di Huss, dei riformatori socialisti, non quelli borghesi, come Lutero e Calvino! Va favorita la solidarietà leonina tra le classi, come nella “Rerum Novarum”. Leone era un papa socialista!
La condizione del lavoratore oggi è subalterna, debole, fatiscente, sotto tutti i punti di vista. La qualità del lavoro è scarsa: tutti sono sottopagati. La quantità del lavoro è frammentaria, non solo per la discontinuità del precariato storico quanto per la continua riduzione del lavoro stesso. Intanto la sinistra becera, imborghesita, staliniana ha rafforzato la figura del dirigente unico. Ogni nuova riforma del lavoro è una “guerra lampo”, un diktat dei vincitori, frutto di decretizzazioni economiche più che di una vera e propria esigenza di razionalizzazione delle risorse. Il nuovo “Congresso di Vienna” europeista, o “Congresso di Bruxelles” indebolisce i parlamenti e vuole restaurare antichi regimi: il nuovo impero romano, il nuovo spauracchio del Reich hitleriano è un impero economico, non politico. Hitler ha vinto la guerra. Germania capta ferum victorem coepit. L’Europa non va però distrutta, tornando a forme pericolose di nazionalismo, ma va solo rinnovata fortemente. Bisogna seguire Kant: con la Lega dei Popoli. La Lega del grande Alberto da Giussano deve diventare una Lega dei popoli d’Europa, deve essere ingrandita non solo all’Italia, ma all’Europa. La Giovine Italia, come fece il Mazzini, deve diventare la Giovine Europa. Povero Mazzini: se vedesse cosa è diventata oggi l’Europa! Deve essere una lega non solo economica, ma morale, religiosa, culturale! Funziona così! Gli USA non sono solo un semplice aggregato di stati e staterelli, ma un organismo legato da valori comuni, culturali, sociali, morali, religiosi, oltre che economici.
Malgrado la larga distribuzione di potere d’acquisto sul mercato nazionale più sotto forma di redditi di professioni ausiliare della produzione che non sotto forma di salari industriali o agricoli, la sproporzione è crescente tra l’accumulazione capitalistica, accresciuta dalla concentrazione finanziaria delle banche e la possibilità d’acquisto del mercato nazionale. L’esperienza disastrosa della crisi attuale ha reso vegliardi tutti gli Stati sui sintomi continuamente rinnovati d’ingorgo dell’economia, di depressione, chiamata ormai recessione. Queste riforme, questi taglieggiamenti non risolveranno niente: il fondo del problema resta immutato. La crisi è elusa giorno per giorno, ma le sue basi rimangono, ed essa è soffocata solo a prezzo di una politica mondiale che si ripercuote sulle condizioni di sviluppo di tutti i paesi, industrializzati e non. La crisi è elusa con questi tagli alle risorse, al capitale umano, oltre che finanziario, dell’Italia. Il mondo post-industriale rischia di trasformarsi di getto in un’età della pietra, in un mondo pre-industriale, con tutto internet e i cellulari. Si può perdere tutto, ma non i cervelli pensanti di questa era, gli unici a poter risollevare le sorti di questo mondo in crisi.
Dov’è il primario, dov’è il secondario? C’è solo il terziario: non dico più nulla! Povero Smith! Povero Marx, tradito dai suoi stessi rivoluzionari che si sono venduti al dio Potere, a Moloch, a Mammona! L’economia si può rilanciare solo ripartendo dall’agricoltura e dall’industria. Abbiamo distrutto tutti gli stabilimenti! Bisogna rifondarli. Il lavoro è lungo, ma la storia è fatta di corsi e ricorsi, come ci insegna la buonanima del Vico. C’è un forte squilibrio tra progresso tecnico, che oramai va per fatti suoi come una macchina ben congeniata e regresso economico. Se non c’è al centro del progresso l’uomo, tutto è perduto. Il lavoro prima di tutto è un fatto umano, sociale, un’integrazione costruttivista. Questo costruttivismo attivo, trasformatosi in puro attivismo afinalistico, ci porta inevitabilmente e forme sovrapprodduttrici. Qui Malthus non c’entra niente. Non si deve sempre ripresentare lo spauracchio malthusiano-darwiniano della sovrappopolazione per giustificare le guerre, le rivoluzioni e gli stermini di massa. Queste sono follie superdarviniste, o di darwinismo accelerato, o scellerato, che manco in natura esistono. Ma poi l’uomo non è solo un animale naturale, ma soprannaturale. Come fa ad esserci sovrapproduzione e sovrappopolazione? Allora? Tutto è possibile per una normale e continua convivenza pacifica. Il lavoro va rivalutato come fatto umano: più diritti si riconoscono al lavoratore, più doveri si possono pretendere. Più si paga, più la prestazione sarà efficiente, efficace. Se si assicurano solo i bisogni basici della piramide di Maslow, la produzione sarà inefficace, inefficiente. O si riduce il lavoro a forme neo-servili. I valori morali, politici, sociali, religiosi debbono produrre valori economici e non viceversa. Il denaro in sé avvilisce, svilisce ogni cosa, la pauperizza. È a forza il vero valore che può produrre anche economia, non il profitto di una manciata di miliardari drogati a scapito di una massa di miserabili. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, significa dire questo: sul lavoro come fatto umano, sociale, remunerativo, non sul lavoro servile, non sullo sfruttamento. Lo Stato è tenuto ad intervenire nelle situazioni di disagio. La comunità salva il singolo: questa è la vera legge di natura. Il gregge sacrifica una parte di sé per salvare se stesso. Ma se la logica è: si salvi chi può! Non funziona! Il lavoro manca a causa dell’egoismo e dell’individualismo sfrenato. Per il profitto chiudiamo tutti gli stabilimenti ed andiamo ad aprire in Papuasia, così sfruttiamo gli zombie fino all’esaurimento psico-fisico. Non è solo l’egoismo la molla che fa scattare il capitalismo, come pretendeva Smith, ma l’è il socialismo, la socializzazione. Dal capitalismo individuale si è passato a quello sociale, poi a quello di stato, o totalitario, infine a quello globale. Si è arrivati all’ultimo stadio di espansione del capitalismo, che si esprime nel totalitarismo democratico globalizzante. Se non si torna a forme di socialismo pratico, religioso ed economico, il benessere generale delle masse decresce. Qui avviene il contrario della forbice marxiana: non è che aumentano i poveri e diminuiscono i ricchi, come se la ricchezza fosse un bene con parametri assoluti, ma più aumentano i poveri più i ricchi si impoveriscono, più i poveri si arricchiscono più i ricchi si arricchiscono. Il bene economico ha sempre valore sociale, collettivo, non può avere solo valore individuale. Se così fosse perderebbe per sé di valore. Quindi cade il teorema malthusiano: più aumenta la popolazione più c’è ricchezza, se questa viene intesa correttamente e legalmente nel legittimo uso delle risorse, soprattutto quelle non rinnovabili e senza offendere la Natura, procurando disastri climatici e di ogni tipo. Uno sviluppo che non sia nel rispetto della Natura porta inevitabilmente alla fin del mondo. L’apocalisse la procuriamo noi, non Dio. Dio ci aspetta dopo per chiederci il conto!

Vincenzo Capodiferro




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