18 febbraio 2019

RICORDO DI DON ANTONIO GOLIA Nella biografia di Don Paolo Pataro: Un prete, un uomo, un dono! a cura di Giuseppe Domenico Nigro

RICORDO DI DON ANTONIO GOLIA
Nella biografia di Don Paolo Pataro: Un prete, un uomo, un dono!

È bello rileggere la biografia di Mons. Antonio Golia (1942-2003), redatta da Don Paolo Pataro, prete intellettuale; basti citare, tra le sue opere: “Poiesis” (2012) e “Più parola, meno parole”, una raccolta di sermoni. Don Paolo con occhio platonico si affaccia su questa figura di Don Antonio che si perde nelle reminiscenze infantili. La biografia (Un prete, un uomo, un dono! uscita a Lagonegro nel 2013), è un raccontarsi nell’anima, di quella figura che si erge nei mistici veli del cuore, come una figura che emerge, un Cristo velato. “Recordare” d'altronde significa riportare al cuore: si ricorda ciò che si è amato. È un giovane che guarda al padre. Don Antonio volle essere sacerdote, «Volle essere sacerdote e il suo sacerdozio fu martirio di testimonianza umile e amorosa alla Chiesa di Dio, intensamente vissuto per buona parte della sua vita a Rotonda, questa piccola porzione di mondo che ho il privilegio di poter chiamare: “mia casa, mia patria, mio tutto!”». E lo fu per ben 33 anni a Rotonda, centro della Lucania sconosciuta, tendente verso la Calabria. La vita di don Antonio è semplice, non ricca di avvenimenti esteriori, ma interiori. Don Paolo ripercorre la vita del parroco, la quale affonda le sue radici nella civiltà contadina, civiltà che è stata volutamente distrutta, ma che si ricorda sempre con profonda nostalgia: «Bastava un fico secco – quando c’era – mi raccontavano gli anziani, bastava magari solo una camminata con la propria innamorata (cosa a quei tempi molto ardua in verità …), sotto lo sguardo attento e vigile di un parente prossimo, mangiano castagne secche. Oggi invece – fateci caso – i nostri giovani paiono sempre più tristi, seri. a questo stato di cose non sfuggivano Vincenzo ed Angela Golia …, buoni genitori del “Nostro”». Leggete Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli” e non vi scorgerete forse questa struggente nostalgia che si va perdendo nel Totalmente Altro, in quel Deus sive Natura di spinoziana memoria? Ed anche di questi tempi, così difficili quei tempi, invece, idilliaci dello stato di natura, tanto esaltato da Rousseau, quei tempi in cui Adamo passeggiava con Dio nell’Eden, il giardino del mondo, quei tempi … vengono sempre ricordati con illuministica nostalgia, come i Saturnia Regna. La Lucania sconosciuta dei viaggiatori del sette-ottocento ha avuto la fortuna di conservare queste arcadiche connotazioni ancestrali di questa civiltà primitiva. Non è un caso che gli antropologi, i sociologi, da De Martino a Banfield si recassero tutti qui. Il “familismo amorale” ci sembra però un conio diffamante. Non aveva capito che la famiglia è tutto! La tribù è tutto. uccidimi e gettami trai miei! Vedete oggi la società senza famiglia: che fine farà? Rileggiamo in Levi il desiderio di tornare sui luoghi del confino. Come tornare in un campo di concentramento? È forse frutto di una contorsione di un complesso attrattivo tra vittima e carnefice? Volete capire la vera natura di Matera? Non dovete guardarla oggi, che è nel trionfo di Capitale della Cultura, ma guardate al film di Pier Paolo Pasolini: “Il Vangelo secondo Matteo!” Quella è la vera Matera! E stranamente ancora sempre dietro appare un Cristo velato, come il Cristo di Carlo Levi e di tutti i confinati. La Lucania sconosciuta era quella giungla di Policoro, il gioiello del reame di Napoli. Ma la foresta antichissima di Policoro fu rasa al suolo con la riforma agraria. L’ultimo barone, Berlangieri, l’aveva preservata all’incuria dell’uomo. Ma non ci fu nulla da fare! La figura di Don Antonio, col cuore affaticato, per amore, è la figura del prete semplice e buono, del parroco che è padre di tutti. Non è la figura di un intellettualoide, o di un teologo, ma di un uomo concreto. Il vangelo è prassi, non per fare un torto a Marx, colla sua filosofia della prassi! La madre di Don Antonio, Angela “i Ciurlo”, faceva anche la spigolatrice per campare, come “la spigolatrice di Sapri”. Erano tempi duri. “Ciurlo” - annota Don Paolo - significa persona cui piace bere. Don Paolo è molto innamorato della cultura delle genti nostrane, infatti ha fatto una ricerca su tutti i soprannomi di Castelsaraceno: “Nomi sopra, nomi sotto. Soprattutto soprannomi”. Le nostre parrocchie erano dei seminari, in cui si respirava aria pura, non come oggi, inquinata dal petrolio, ma aria di pura devozione popolare. Pensate che fino al dopoguerra andavano a piedi in pellegrinaggio al santuario di Novi Velia, l’antica Elea, patria di Parmenide, il maestro venerando e terribile di Platone. Quella era la Lucania occidentale che si spingeva fino al Sele e ci è stata strappata! Poi c’era la Lucania meridionale, fino a Crotone: pure quella ci è stata strappata! In cambio ci è stato dato il lembo materano, che è più Puglia che Basilicata! Matera è collegata solo con la Puglia, non con la Basilicata! Don Antonio compiva gli studi prima a Trebisacce, poi al Seminario di Catanzaro, infine approdava presso la Prestigiosa facoltà teologica di Posillipo, retta dai Gesuiti. Don Antonio fu un convinto assertore del tomismo, e come annota il biografo nostro: «sul piano dell’agire, poi, egli realizzava esemplarmente la sintesi tra le virtù umane e le virtù cristiane o teologali». Don Antonio seppe reggere mirabilmente la parrocchia di Rotonda, amato ed odiato - e d'altronde non si può piacere a tutti – in anni difficili di transizione e nella tremenda situazione del terremoto dell’Ottanta e della ricostruzione. Non è facile reggere i nostri paesi, le nostre città. È più difficile fare il sindaco in un nostro paese, o a Potenza, che a Roma. ve lo posso garantire! Immaginate il parroco! Non a caso gli antichi dicevano: “meglio fesso che sindaco”! Vogliamo riportare in conclusione solo la bellissima dedica che il suo figlio spirituale e suo seguace nel ministero sacerdotale, don Paolo Pataro, gli dedica, nella biografia: «Insomma il prete è l’uomo della presenza, colui che – dirà commosso chiunque – c’era e c’è: quando è nato mio figlio, quando è morto mio padre, quando mi sono sposato e quando, immerso nell’azzurro del non senso, attanagliato dal vuoto di un futuro ingombro di cose inutili e di un futuro assolutamente buio, cercavo qualcuno con cui chiacchierar di questo e di quest’altro».

Giuseppe Domenico Nigro

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