RICORDO DI DON ANTONIO GOLIA Nella biografia di Don Paolo Pataro: Un prete, un uomo, un dono! a cura di Giuseppe Domenico Nigro
RICORDO
DI DON ANTONIO GOLIA
Nella
biografia di Don Paolo Pataro: Un prete, un uomo, un dono!
È
bello rileggere la biografia di Mons. Antonio Golia (1942-2003),
redatta da Don Paolo Pataro, prete intellettuale; basti citare, tra
le sue opere: “Poiesis” (2012) e “Più parola, meno parole”,
una raccolta di sermoni. Don Paolo con occhio platonico si affaccia
su questa figura di Don Antonio che si perde nelle reminiscenze
infantili. La biografia (Un
prete, un uomo, un dono!
uscita a Lagonegro nel 2013), è un raccontarsi nell’anima, di
quella figura che si erge nei mistici veli del cuore, come una figura
che emerge, un Cristo velato. “Recordare” d'altronde significa
riportare al cuore: si ricorda ciò che si è amato. È un giovane
che guarda al padre. Don Antonio volle
essere sacerdote,
«Volle essere sacerdote e il suo sacerdozio fu martirio di
testimonianza umile e amorosa alla Chiesa di Dio, intensamente
vissuto per buona parte della sua vita a Rotonda, questa piccola
porzione di mondo che ho il privilegio di poter chiamare: “mia
casa, mia patria, mio tutto!”». E lo fu per ben 33 anni a Rotonda,
centro della Lucania sconosciuta, tendente verso la Calabria. La vita
di don Antonio è semplice, non ricca di avvenimenti esteriori, ma
interiori. Don Paolo ripercorre la vita del parroco, la quale affonda
le sue radici nella civiltà contadina, civiltà che è stata
volutamente distrutta, ma che si ricorda sempre con profonda
nostalgia: «Bastava un fico secco – quando c’era – mi
raccontavano gli anziani, bastava magari solo una camminata con la
propria innamorata (cosa a quei tempi molto ardua in verità …),
sotto lo sguardo attento e vigile di un parente prossimo, mangiano
castagne secche. Oggi invece – fateci caso – i nostri giovani
paiono sempre più tristi, seri. a questo stato di cose non
sfuggivano Vincenzo ed Angela Golia …, buoni genitori del
“Nostro”». Leggete Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli” e
non vi scorgerete forse questa struggente nostalgia che si va
perdendo nel Totalmente
Altro,
in quel Deus
sive Natura di
spinoziana memoria? Ed anche di questi tempi, così difficili quei
tempi, invece, idilliaci dello stato di natura, tanto esaltato da
Rousseau, quei tempi in cui Adamo passeggiava con Dio nell’Eden, il
giardino del mondo, quei tempi … vengono sempre ricordati con
illuministica nostalgia, come i Saturnia
Regna.
La Lucania
sconosciuta
dei viaggiatori del sette-ottocento ha avuto la fortuna di conservare
queste arcadiche connotazioni ancestrali di questa civiltà
primitiva. Non è un caso che gli antropologi, i sociologi, da De
Martino a Banfield si recassero tutti qui. Il “familismo amorale”
ci sembra però un conio diffamante. Non aveva capito che la famiglia
è tutto! La tribù è tutto. uccidimi e gettami trai miei! Vedete
oggi la società senza famiglia: che fine farà? Rileggiamo in Levi
il desiderio di tornare sui luoghi del confino. Come tornare in un
campo di concentramento? È forse frutto di una contorsione di un
complesso attrattivo tra vittima e carnefice? Volete capire la vera
natura di Matera? Non dovete guardarla oggi, che è nel trionfo di
Capitale della Cultura, ma guardate al film di Pier Paolo Pasolini:
“Il Vangelo secondo Matteo!” Quella è la vera Matera! E
stranamente ancora sempre dietro appare un Cristo velato, come il
Cristo di Carlo Levi e di tutti i confinati. La Lucania sconosciuta
era quella giungla di Policoro, il gioiello del reame di Napoli. Ma
la foresta antichissima di Policoro fu rasa al suolo con la riforma
agraria. L’ultimo barone, Berlangieri, l’aveva preservata
all’incuria dell’uomo. Ma non ci fu nulla da fare! La figura di
Don Antonio, col cuore affaticato, per amore, è la figura del prete
semplice e buono, del parroco che è padre di tutti. Non è la figura
di un intellettualoide, o di un teologo, ma di un uomo concreto. Il
vangelo è prassi, non per fare un torto a Marx, colla sua filosofia
della prassi!
La madre di Don Antonio, Angela “i Ciurlo”, faceva anche la
spigolatrice per campare, come “la spigolatrice di Sapri”. Erano
tempi duri. “Ciurlo” - annota Don Paolo - significa persona cui
piace bere. Don Paolo è molto innamorato della cultura delle genti
nostrane, infatti ha fatto una ricerca su tutti i soprannomi di
Castelsaraceno: “Nomi sopra, nomi sotto. Soprattutto soprannomi”.
Le nostre parrocchie erano dei seminari, in cui si respirava aria
pura, non come oggi, inquinata dal petrolio, ma aria di pura
devozione popolare. Pensate che fino al dopoguerra andavano a piedi
in pellegrinaggio al santuario di Novi Velia, l’antica Elea, patria
di Parmenide, il maestro venerando
e terribile
di Platone. Quella era la Lucania occidentale che si spingeva fino al
Sele e ci è stata strappata! Poi c’era la Lucania meridionale,
fino a Crotone: pure quella ci è stata strappata! In cambio ci è
stato dato il lembo materano, che è più Puglia che Basilicata!
Matera è collegata solo con la Puglia, non con la Basilicata! Don
Antonio compiva gli studi prima a Trebisacce, poi al Seminario di
Catanzaro, infine approdava presso la Prestigiosa facoltà teologica
di Posillipo, retta dai Gesuiti. Don Antonio fu un convinto assertore
del tomismo, e come annota il biografo nostro: «sul piano
dell’agire, poi, egli realizzava esemplarmente la sintesi tra le
virtù umane e le virtù cristiane o teologali». Don Antonio seppe
reggere mirabilmente la parrocchia di Rotonda, amato ed odiato - e
d'altronde non si può piacere a tutti – in anni difficili di
transizione e nella tremenda situazione del terremoto dell’Ottanta
e della ricostruzione. Non è facile reggere i nostri paesi, le
nostre città. È più difficile fare il sindaco in un nostro paese,
o a Potenza, che a Roma. ve lo posso garantire! Immaginate il
parroco! Non a caso gli antichi dicevano: “meglio fesso che
sindaco”! Vogliamo riportare in conclusione solo la bellissima
dedica che il suo figlio spirituale e suo seguace nel ministero
sacerdotale, don Paolo Pataro, gli dedica, nella biografia: «Insomma
il prete è l’uomo della presenza, colui che – dirà commosso
chiunque – c’era e c’è: quando è nato mio figlio, quando è
morto mio padre, quando mi sono sposato e quando, immerso
nell’azzurro del non senso, attanagliato dal vuoto di un futuro
ingombro di cose inutili e di un futuro assolutamente buio, cercavo
qualcuno con cui chiacchierar di questo e di quest’altro».
Giuseppe
Domenico Nigro
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