18 dicembre 2018

Recensione de L'infinito è mio" a cura di Vincenzo Capodiferro


L’INFINITO È MIO!
I “Discorsi teologico-politici” di P. Bonaventura Trapolino, contemporaneo di Don Sturzo ed attivista cattolico degli inizi del ‘900
A cura di V. Capodiferro

«Padre Bonaventura, al secolo Antonino Trapolino, nasce a Bisacquino, nel palermitano, il 7 gennaio del 1863 e muore a Palermo nel Convento delle SS. Stimmate il 24 aprile del 1947. La sua vita è dunque racchiusa nell'intenso periodo di rinnovamento spirituale e politico che va dall'Unità d'Italia al secondo dopoguerra ed egli fu infatti molto attivo politicamente, come si evince dai discorsi che teneva in conferenze in giro per la Sicilia. I discorsi di padre Bonaventura hanno però anche un elevato contenuto e valore spirituale, intriso del grande spirito dell'umanesimo cristiano, lo stesso di Paolo VI, secondo il quale non può esserci vero umanesimo senza cristianesimo. E proprio questo è il messaggio profondo dei discorsi di padre Bonaventura». Abbiamo pubblicato i suoi discorsi in “L’infinito è mio! Discorsi teologici e politici”, edizioni Segno, dicembre 2018. Ciò che accadde nella Sicilia degli inizi di quello che fu l’arroventato e terribile Novecento fu una vera e propria rivoluzione sociale, che vide come protagoniste le classi più infime della popolazione: contadini, operai delle zolfatare, etc. Questo movimento faceva capo ai Fasci Siciliani, antesignani ideologici del Fascismo contemporaneo. Non dimentichiamo che Benito era figlio di un fabbro ed aveva militato nel socialismo e nel sindacalismo rivoluzionario, che faceva riferimento al Sorel. La rivoluzione socialista della Sicilia protonovecentesca vide la partecipazione diretta della Chiesa. Tanto è vero che si legge in Luigi Sturzo ella storia d’Italia, Roma 1973: «Di questo movimento di preti e di agitatori sociali non si conosce ancora bene la consistenza e l’estensione. Comunque Luigi Sturzo fu l’espressione massima di un fenomeno molto ampio e generalizzato, che toccò quasi tutte le province siciliane, dove ogni diocesi, ogni paese aveva il suo «Luigi Sturzo», cioè il suo ecclesiastico animatore dell’azione e dell’impegno sociale cattolico, in senso dichiaratamente, anche se non sempre lucidamente democratico cristiano, solo per citare alcuni nomi, in provincia di Palermo si distinsero, fra gli altri, insieme ai ricordati Torregrossa, Lo Cascio e Marino, Giovanni Papas Alessi (Palazzo Adriano), Nicolò Genovese (Contessa Entellina) Bonaventura Trapolino (Bisacquino), Andrea Macaluso (Alia) …». Il nome più noto fu Sturzo della rivoluzione sociale-cristiana siciliana, ma vi furono tanti protagonisti, trai quali il frate Bonaventura da Bisacquino. Come somiglia non solo per assonanza don Luigi Sturzo a don Luigi Pittella del nostro paesello! Scusate questo inserto, nel ricordo di questa umile figura. Don Luigi Pittella non era un prete, ma un uomo semplice, con la terza elementare, eppure era il difensore dei deboli. Il “don” nei paesini come il nostro si dava solo ai preti e ai galantuomini, o ai nobili. Era il soccorritore degli ultimi e spesso diceva: conosco più io sentieri del bosco che il lupo. Don Luigi riuscì a spodestare i potenti, scrisse perfino alla Corte dei Conti, ove aveva un parente, per denunciare i baronetti del posto. Padre Bonaventura fu il “fra Cristoforo” dei vinti siciliani, quei vinti che Verga aveva condannato alla dannazione eterna, allo zolfo cocente delle zolfatare. Eppure avvenne in questa isola meravigliosa, la regina del Mediterraneo, la sorella della perduta Atlantide, l’isola inghiottita dal mare, una rivoluzione socialista-cristiana. La figura del prete rivoluzionario, del frate rivoluzionario, è veramente bellissima, ed è, paradossalmente, l’antagonista del rivoluzionario marxista di professione, che si svilupperà soprattutto dopo l’età leniniana, la Terza Internazionale. Non a caso il prof. Oldrini si definiva un marxiano (non un marziano), ma non un marxista. L’intellettuale, anche ecclesiastico, e la Chiesa è stata per secoli e secoli la depositaria della cultura, si rende sensibile delle esigenze derivanti dalla questione sociale, si mette in gioco, scende nelle piazze. Questo “fra Cristoforo” di Sicilia annunzia la speranza della Provvidenza. I vinti verghiani si trasfigurano in vinti manzoniani. Il comunismo vero, d'altronde, utopizzato nella Respublica platonica, e successive utopizzazioni, si è concretizzato nella Respublica Christiana, nei conventi e nei monasteri, nelle primitive comunità, dove mettevano in comune i loro beni. Questo comunismo era stato bagnato dalla sangue della rivoluzione dei martiri della fede. Si era attuato nell’opera dei riformatori, di Huss e di Muntzer. Lutero e Calvino avevano abbandonato i contadini, avevano difeso la ricca borghesia e sostenuto lo strapotere dei Principi machiavellici, perciò non furono messi al rogo. Si erano venduti al potere. La loro fu una rivoluzione religiosa borghese-capitalistica. Non è un caso che Weber facesse risalire la nascita del capitalismo alla rivoluzione religiosa del ‘500. Il socialismo moderno viene condannato perché è senza Dio. Padre Bonaventura con lucida cognizione di causa aveva intravisto i mali de socialismo ateizzante: da cattedratico sarebbe divenuto burocratico, noi diremmo tecnocratico. Basti ricordare il Politburo e l’Orgburo. Ma il socialismo non ha risolto affatto storicamente la questione sociale del tutto, sebbene abbia contribuito alla legittima difesa dei diritti dei lavoratori. Il Nostro invece si rifaceva al socialismo cristiano della Rerum Novarum di Leone XIII. Come risolvere la questione sociale? Con l’accordo tra capitale e lavoro. In particolare sottolineiamo tre aspetti, su cui insiste il Padre Bonaventura: a) la legittimità della proprietà privata. Tanto è vero che egli asserisce che l’uomo è in primo luogo proprietario di sé stesso, del proprio io; b) la necessità che esistano le differenze sociali tra ricchi e poveri affinché si operi il progetto della Provvidenza della Charitas cristiana. Del resto la proprietà privata è temporanea non è assoluta. I ricchi sono solo gli amministratori dei beni concessi da Dio, ed i poveri ne sono i destinatari, secondo il buonsenso evangelico, come nella parabola dei talenti; c) l’ereditarietà della proprietà privata. D'altronde a volte il Nostro interpreta il socialismo proprio come una punizione divina contro l’avarizia, come nel Discorso XIII: «Il socialismo è un castigo meritato: sono i flagelli d’Egitto. Molti se la pigliano contro la tristezza dei tempi. No! Prendetevela contro di voi stessi». Il principio cardine su cui fondare dunque la giustizia sociale è quello evangelico: quod superest date pauperibus. Il socialismo diviene così la punizione divina dello strapotere dei ricchi, contro i quali spesso si scaglia l’imperterrita vox clamantis in daeserto di padre Bonaventura: «Conosco certi signori proprietari, che dopo una lunga giornata invernale di lavoro, soddisfano il povero operaio colla vile mercede di 10 centesimi. Conosco altri, che abusando della scarsezza, obbligano a lavorare per un sol pane al giorno, che il povero operaio era obbligato a dividersi colla sua magra famigliola. E questa è giustizia? No! È tirannia! All’abuso del salario aggiungete la carità civile di questi ingiusti padroni del modo di osservare l’operaio. Alla domenica, parlo a voi, ma non di voi, nemmeno vi conosco, ma parlo di fatti veri e di persone che conosco, come don Rodrigo. E potessi dire: basta!». I ricchi sono insensibili alle esigenze, spesso indigenze, delle persone bisognose. E spesso accade, come dicevano gli antichi contadini nelle proverbiali asserzioni, che il sazio non crede a colui che è digiuno. La questione sociale oggi più che mai si ripropone in maniera rinnovellata e pungente, laddove anche le forze socialiste sono in crisi. La voce meditabonda di P. Bonaventura ci offre notevoli spunti di riflessione, spaziando da ogni lato, dalla questione operaia al darvinismo, sino ai pericoli insiti nella civiltà moderna, prolungata a quella odierna, che noi chiamiamo post-moderna. Padre Bonaventura fu il profeta della D. C. dell’Italia post-bellica: «Sarà quello il giorno della Democrazia Cristiana che sotto la bianca bandiera accoglierà l’affranta opera, dicendogli: vieni e trionfa!». Il lettore possa trarre beneficio dalla lettura di questi inediti discorsi di Padre Bonaventura Trapolino, che sono stati riproposti all’uomo d’oggi in una bella veste editoriale della casa editrice Segno. Il titolo riprende proprio una frase che il Nostro ripeteva sovente: «L’infinito è mio!», come dire «Dio è mio!». E questa espressione riprende a grandi linee quella di un grande rivoluzionario del Medioevo, quell’età che grazie agli Illuministi (o oscurantisti?) ancora oggi è considerata l’età della superstizione e della barbarie, San Francesco d’Assisi, più rivoluzionario di Lutero e di Calvino, perché non stette dalla parte dei ricchi, ma li abbandonò, a partire dal padre, per farsi povero, divenendo così ricco dei beni eterni: «Mio Dio, mio tutto!».


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