12 novembre 2018

PARATISSIMA 14 – Feeling different Marco Salvario


PARATISSIMA 14 – Feeling different
Marco Salvario

Quattordicesimo anno di Paratissima a Torino e la manifestazione ha confermato come locazione la caserma La Marmora, sede sicuramente spaziosa e intrigante, purtroppo non sempre adattata alla destinazione artistica. Di questo limite sono testimonianza il primo e secondo piano, inaccessibili ai portatori di handicap e faticosi da raggiungere anche per i visitatori meno giovani. Tali spazi, ma sicuramente sono io troppo sospettoso e mal pensante, sono stati assegnati a quegli artisti non spalleggiati da galleristi e sponsor influenti, proprio quegli artisti che qualche anno fa erano la vera anima e la vita della manifestazione. Peccato, Paratissima sempre più è un competitore (commerciale) di Artissima e non un’alternativa artistica.

Asciugate le lacrime per l’innocenza perduta in nome del vile denaro, non si può che apprezzare un’organizzazione sempre più efficiente e collaudata.
La manifestazione si è svolta da mercoledì 31 ottobre a domenica 4 novembre 2018.
La selezione sugli artisti ne ha ridotto drasticamente il numero, dai più di 500 della scorsa edizione a circa 360, e non sono pochi coloro che, pur avendo partecipato a edizioni del passato, mi hanno detto di non essere più interessati a utilizzare la vetrina di Paratissima per presentare le proprie opere. Sono aspetti che dovrebbero essere esaminati con attenzione e la mia analisi è che se una volta gli artisti cercavano Paratissima per farsi conoscere, ora si trovano a parlare con un’organizzazione che non è interessata tanto a far scoprire e pubblicizzare talenti quanto a fare girare soldi e vendere opere.
Per questo, lo ripeto, visitando la manifestazione mi è rimasta dentro l’immagine di un mondo che ha perso la sua ironia selvaggia e disordinata per diventare un serio e rigido mercato d’arte; proprio quel sistema contro di cui Paratissima era donchisciottescamente nata. Non voglio infierire, questo è il destino delle manifestazioni che sopravvivono alla loro infanzia e, proprio per questo, forse non dovrebbe essere permesso loro di sopravvivere più di dieci anni.
Il successo di pubblico è stato notevole, 45 mila visitatori, dieci in meno della una volta rivale e ora sorellastra Artissima. Nonostante l’apertura anche al mattino, si tratta però di mille visitatori in meno rispetto all’ultima edizione, però l’offerta artistica a Torino è stata ricchissima e forse troppo concentrata tutta nella stessa settimana.

Prima di iniziare la mia personale analisi dell’evento, lasciatemi puntualizzare:
  1. Le segnalazioni e i giudizi che leggerete in quest’articolo sono pareri personali e riguardano opere di artisti che mi hanno colpito favorevolmente. Se uno degli espositori si trova citato, è perché la sua opera mi è piaciuta. Se non si parla di lui, o non mi ha interessato, o il caso ha voluto che le sue opere mi sfuggissero.
  2. Mi sono soffermato esclusivamente su opere di pittura, scultura, grafica e fotografia, mentre non ho considerato multimedialità, moda, design, musica ecc.
  3. L’elenco che segue non è una classifica ed è nato dalla sistemazione casuale delle fotografie che ho scattato.

Parallela alla manifestazione principale si è svolta Paratissima “Art in the city”, con locazioni sparse per Torino. Gli artisti coinvolti in tale manifestazione non sono trattati in questo articolo.



Roberta Capello

Non so se le opere del progetto “Rispecchiami” posso essere considerate ritratti fotografici. Lo sono sotto un certo aspetto, con volti che emergono in uno squarcio di luce da un nero profondo, però sono volti doppi, perché a ogni faccia se ne sovrappone una seconda; a volte si tratta di persone molto simili, a volte invece è profondo il solco dell’età. Fratelli, allora, o genitore e figlio, o semplicemente amici.
Il confronto tra i lineamenti, tra gli sguardi, diventa per l’occhio del visitatore una sfida istintiva.
Chissà, forse è vero che si finisce ad assomigliare a chi si ama, ma il messaggio e la ricerca dell’opera di Roberta Capello, sono più profondi, vanno in una direzione che può richiamare la fisiognomica di Beccaria, rivisitata però con una sensibilità profonda e palpitante, rivolta a rinserrare legami che non sono esteriori ma profondi e “chimici”.
Rileggendomi, scopro di avere già segnalato questa artista come pittrice nella precedente edizione di Paratissima: esploratrice di tecniche e metodi espressivi molto diversi, con queste opere dimostra di possedere anche nella fotografia un linguaggio espressivo estremamente efficace.



Ugo Ricciardi

Quanto è importante in una fotografia artistica il modo e la tecnica con cui è stata realizzata? Personalmente ho sempre pensato che il risultato sia molto più importante del mezzo utilizzato per raggiungerlo, così, davanti a un frettoloso esame dei “Notturni” di Ugo Ricciardi, ho pensato con una certa indolenza: “Bello, però oggi con i programmi di grafica si riesce a fare di tutto.” Errore mio! L’artista realizza le opere nel buio più profondo della notte, utilizzando o l’opera di un assistente, in certe immagini s’intuisce la sua presenza, che sposti le luci, o addirittura un drone che percorra geometrie chiuse. Chapeau!
Alla fine, quello che la foto comunica è il fascino della notte, nella bellezza deserta di antichi monumenti e panorami, di una natura ritornata padrona dello spazio e del tempo; e del silenzio, il magico silenzio che le nostre città disprezzano e violentano di giorno e di notte. In tale contesto, la luce sembra rivelare l’anima del passato o del presente, fermata per l’eternità nel movimento circolare.
A Ugo Ricciardi, come a molti altri autori, le scuse per non essere riuscito con le mie fotografie a sfuggire ai terribili riflessi che sporcano la bellezza delle sue opere.



Jacopo Di Cera

I fogli stropicciati su cui sono impressi i lavori di Jacopo Di Cera mostrano un mondo spezzato e sgretolato, la terra martire di Amatrice, devastata dal terremoto del 2016.
Simboli come il pacchetto di sigarette con l’immagine del Che Guevara e la scritta “Il fumo uccide”, ferri di cemento non troppo armato, un termosifone assurdamente emergente tra le rovine.
Certo, le fotografie richiamavano la devastazione di quei tragici giorni, però così spiegazzate, quasi anticipando l’appallottolamento pieno di frustrazione e fastidio che precede il lancio nel cestino della carta come irrecuperabile spazzatura; mi chiedo se le immagini non vogliano essere denuncia di una volontà di dimenticare, di una ricostruzione che non interessa più ai potenti e neppure alla gente che in quei posti non vive. Una seconda tragedia di cui non bisogna cercare le origini nella ferocia devastante della natura o nell’incuria del passato, ma in noi stessi, preoccupati di rimuovere quello che ci disturba e per il quale riteniamo di avere fatto già abbastanza, anche se non abbiamo fatto quasi nulla.
Troppi disastri, troppi sciagure. Parliamo d’altro!



Simona Muzzeddu

Simona Muzzeddu, visual artist. La sua opera “Borderline psychotic activity” è di rara efficacia sia come video sia come sequenza di fotografie. Un sinistro parallelo tra l’ambientazione degradata, abbandonata, vecchia, e la condizione dell’uomo, prigioniero di una camicia di forza, ma soprattutto di se stesso; scatenato in un’agitazione insensata e inarrestabile, la bocca che si apre in un grido che non possiamo sentire. Un grido di libertà negata.
Il disagio è nell’interpretazione che riusciamo a dare, perché quello che vediamo non è la pazzia di un uomo chiuso in un manicomio, ma il nostro essere prigionieri nei nostri limiti, nella fragilità irraggiungibile dei nostri pensieri. Vogliamo raggiungere quel che non possiamo diventare mentre non siamo in grado che di perdere noi stessi nella nostra disperazione.
Sicuramente l’opera di questa edizione che mi ha emozionato di più.
Il video può essere visualizzato a questo indirizzo:



Cinzia Naticchioni Rojas

Ormai si stampa su tutto, su ogni possibile superficie e, sulla vetrina di un negozio di estetica, un cartello invitava le clienti a portare una fotografia da farsi stampare sulle unghie. Però non avevo ancora visto stampare su foglie secche immagini di monumenti oppure di vita comune. “Gelatina ai sali d’argento su foglia”.
L’originalità del materiale crea uno strano distacco dalla realtà, che regredisce a livello d’intuizione, di sogno, si perde e al tempo stesso si arricchisce nelle nervature, si confonde nei riflessi della luce.
Cinzia Naticchioni Rojas, architetto e fotografa italo-messicana nonché novella Morgana, regala alle foglie la magia, nel momento in cui cadono dagli alberi, di registrare sulla propria superficie l’ultima immagine catturata.



Marco Poma

Le incisioni di Marco Poma sono il risultato di un geniale equilibrio tra una rigida e prospettica geometria – cerchi, cubi, quadrati e piramidi – e un reticolato fitto che ricorda i capillari di un tessuto animale oppure filamenti vegetali. Questo in un gioco di chiaroscuri di sicura efficacia.
Temi spaziali abilmente proposti ora in due e ora in tre dimensioni.
Il progetto artistico del giovane artista è stato premiato come il migliore della selezione Independent Curated Spaces in questa edizione di Paratissima.



Salvatore Cocca

Finalmente un pittore vero e bravo! Nulla contro i precedenti artisti, ma quando vedo un maestro del bel classico dipingere, il mio cuore è felice.
Ecco quindi i begli oli su tela o su legno di Salvatore Cocca. Porte aperte su interni di case un po’ fuori dal tempo, deserte, trascurate ma profondamente dignitose; finestre da cui entra una luce intensa che accentua i contrasti, senza riuscire a cancellare quel freddo antico che è impregnato nei muri spessi. A me ritornano in mente la casa dei miei nonni e quella di due vecchie zie che vivevano in campagna, ma è l’atmosfera dei (bei) tempi andati, dove la casa aveva un alone sacro e ogni oggetto aveva il suo valore, a dominare.
Quella serena bellezza, semplice, antica e pura, che vorremmo ritrovare dentro di noi, nei nostri pensieri avvelenati da una fretta inquieta che ci fa correre sempre per non arrivare da nessuna parte.



Paolo Di Rosa

L’artista giusto per chi da un’opera d’arte vuole essere ispirato per poi lasciare viaggiare a briglie sciolte la propria fantasia; visioni metafisiche che hanno però radici salde nella natura umana. Sia il soggetto uomo o donna, bambino o anziano, lo sguardo si focalizza curioso su qualcosa che non è nella realtà comune e che apre la porta a un mondo diverso, affascinante e astratto.
Sempre in equilibrio tra ironia e profondo messaggio, Paolo Di Rosa riesce col suo stile di favolosa naturalezza a creare atmosfere irreali e al tempo stesso parallele alla vita ordinaria.
L’innocenza del bambino che gioca con una barchetta muovendola in un mare che lui solo vede, la donna dai capelli argentati che osservando con una lente una linea bianca scopre ingrandito il monoscopio televisivo, il saltimbanco che legge un giornale seduto su un improbabile filo: immagini che divertono e che creano a cascata pensieri, riflessioni, ricordi.
Raramente ci si trova davanti a lavori che permettono alla fantasia dello spettatore di volare altrettanto libera e creativa.



Paola Geranio

Pittura densa e carnale quella proposta da questa artista. Il volto femminile, soprattutto la bocca e le labbra, è indagato con morbosa attenzione. Labbra carnose su cui aderisce una sigaretta, stuzzicate dalle dita di una mano, punite dalla palla di un bavaglio, nascoste dalla bolla di una gomma da masticare, aperte in un bacio vorace, schiuse in una torbida e maliziosa attesa.
Le ragazze ritratte, giovani donne in divenire, spesso ci guardano torbide, con sguardi smarriti eppure avidi di esperienze; adolescenti che vogliono e implorano attenzione, padrone del proprio destino e sottomesse al tempo stesso.
Il mistero delle donne e della loro maturazione, l'inquietudine che le agita e i turbamenti che provocano negli uomini.



Emanuele Biagioni

L’artista fa rivivere il fascino delle moderne città utilizzando tecniche impressioniste con ottimi risultati.
I ricordi dei suoi numerosi viaggi diventano materia per rappresentazioni di grande effetto con le ombre dei pedoni nel sole del mattino, oppure con i fanali delle auto e i lampioni nella notte, o i riflessi sull’asfalto bagnato dalla pioggia.
La capacità di Emanuele Biagioni nel dominare le immagini ha del magico. Grande la scelta degli spazi dove non disturbano i grandi intervalli concessi all’asfalto nudo. Da un lato lo spettatore si perde nel gioco confuso di luci e contorni sfumati, dall’altro pochi dettagli colgono la sua attenzione e gli fanno cogliere dettagli di grande precisione. Questo è proprio il segreto della vista umana, che sa ricostruire da pochi elementi in confuso movimento una rappresentazione della realtà in cui ci muoviamo e diventa il segreto prezioso dell’opera di questo artista.



Claudio Cionini

Le opere di Claudio Cionini hanno molto in comune con quelle di Emanuele Biagioni appena commentate. Città, pioggia, riflessi di luci. Diversa è però l’interpretazione. La città di Cionini è un ambiente dove l’uomo non compare ma è assorbito, inscatolato, nelle case e nelle automobili. La città è il soggetto nel suo essere assoluto, come ambiente, come realtà unica, come spazio che riempie se stesso. Una città che è infinita, non ha confine e non ha alternative. Se la città è opera dell’uomo, allora l’uomo ha cancellato ogni possibile alternativa, ogni diversa evoluzione nel proprio domani.



Emmanuela Zavattaro

Diventata pittrice per riempire i tempi della convalescenza e ritrovare certezze dopo un brutto incidente, l’artista ha saputo creare un parallelo tra la propria vita e la propria opera ricreando se stessa nell’arte e riutilizzando materiali poco nobili come i cartoni di un imballo per realizzare le proprie opere.
Il risultato, asimmetrico e composito, attira l’occhio e i visi disegnati, volti di una giovane donna dai grandi occhi, timidi e sofferenti, sono di una fierezza non vinta. Autoritratti?
Con le sue creazioni tra la pittura e il collage, Emmanuela Zavattaro è riuscita a trovare un modo perfetto per comunicare con il pubblico ed esprimere il proprio io.



Giuliana Cobalchini

Sacchi pieni, sacchi vuoti, sacchi a metà. Nella semplicità, quasi nella banalità del soggetto rappresentato, si cela invece tutta l’allegoria della vita. Giorni pieni, vuoti, giorni a metà; momenti in cui riteniamo di avere tutto e altri in cui non abbiamo nulla cui aggrapparci.
Nessuna enfasi, semplice contemplazione di momenti, di ritmi e di forme. Già, perché la sequenza dei sacchi potrebbe anche suggerire, il ritmo di una musica di sole sei note. Re-fa-mi Fa-re-do. Provate a canticchiarlo…



Alfonso Marco, Antonio Crisa’, Nicola Iacovone

Non sono sicuro che sia corretto segnalare questo lavoro come opera artistica, ma chi ha dovuto cimentarsi più volte con le proiezioni ortogonali, scomponendo gli oggetti secondo le tre possibili viste, non ha potuto non soffermarsi con un sorriso a metà sul progetto “Ritratti Assonometrici”. Una catalogazione di persone riprese frontalmente, di profilo e dall’alto. Lo scopo dichiarato è quello di evidenziare e interpretare le differenze. Alla fine, anche qua, torniamo alla fisiognomica e al Beccaria!


Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.

Vicenza Jazz XXVIII Edizione 13-19 maggio 2024

                                        Vicenza Jazz                                          XXVIII Edizione 13-19 maggio 2024     ...