PARATISSIMA 14 – Feeling different Marco Salvario
PARATISSIMA 14
– Feeling different
Marco Salvario
Quattordicesimo anno di
Paratissima a Torino e la manifestazione ha confermato come locazione
la caserma La Marmora, sede sicuramente spaziosa e intrigante,
purtroppo non sempre adattata alla destinazione artistica. Di questo
limite sono testimonianza il primo e secondo piano, inaccessibili ai
portatori di handicap e faticosi da raggiungere anche per i
visitatori meno giovani. Tali spazi, ma sicuramente sono io troppo
sospettoso e mal pensante, sono stati assegnati a quegli artisti non
spalleggiati da galleristi e sponsor influenti, proprio quegli
artisti che qualche anno fa erano la vera anima e la vita della
manifestazione. Peccato, Paratissima sempre più è un competitore
(commerciale) di Artissima e non un’alternativa artistica.
Asciugate le lacrime per
l’innocenza perduta in nome del vile denaro, non si può che
apprezzare un’organizzazione sempre più efficiente e collaudata.
La manifestazione si è
svolta da mercoledì 31 ottobre a domenica 4 novembre 2018.
La selezione sugli
artisti ne ha ridotto drasticamente il numero, dai più di 500 della
scorsa edizione a circa 360, e non sono pochi coloro che, pur avendo
partecipato a edizioni del passato, mi hanno detto di non essere più
interessati a utilizzare la vetrina di Paratissima per presentare le
proprie opere. Sono aspetti che dovrebbero essere esaminati con
attenzione e la mia analisi è che se una volta gli artisti cercavano
Paratissima per farsi conoscere, ora si trovano a parlare con
un’organizzazione che non è interessata tanto a far scoprire e
pubblicizzare talenti quanto a fare girare soldi e vendere opere.
Per questo, lo ripeto,
visitando la manifestazione mi è rimasta dentro l’immagine di un
mondo che ha perso la sua ironia selvaggia e disordinata per
diventare un serio e rigido mercato d’arte; proprio quel sistema
contro di cui Paratissima era donchisciottescamente nata. Non voglio
infierire, questo è il destino delle manifestazioni che sopravvivono
alla loro infanzia e, proprio per questo, forse non dovrebbe essere
permesso loro di sopravvivere più di dieci anni.
Il successo di pubblico è
stato notevole, 45 mila visitatori, dieci in meno della una volta
rivale e ora sorellastra Artissima. Nonostante l’apertura anche al
mattino, si tratta però di mille visitatori in meno rispetto
all’ultima edizione, però l’offerta artistica a Torino è stata
ricchissima e forse troppo concentrata tutta nella stessa settimana.
Prima di iniziare la mia
personale analisi dell’evento, lasciatemi puntualizzare:
- Le segnalazioni e i giudizi che leggerete in quest’articolo sono pareri personali e riguardano opere di artisti che mi hanno colpito favorevolmente. Se uno degli espositori si trova citato, è perché la sua opera mi è piaciuta. Se non si parla di lui, o non mi ha interessato, o il caso ha voluto che le sue opere mi sfuggissero.
- Mi sono soffermato esclusivamente su opere di pittura, scultura, grafica e fotografia, mentre non ho considerato multimedialità, moda, design, musica ecc.
- L’elenco che segue non è una classifica ed è nato dalla sistemazione casuale delle fotografie che ho scattato.
Parallela alla
manifestazione principale si è svolta Paratissima “Art in the
city”, con locazioni sparse per Torino. Gli artisti coinvolti in
tale manifestazione non sono trattati in questo articolo.
Roberta Capello
Non so se le opere del
progetto “Rispecchiami” posso essere considerate ritratti
fotografici. Lo sono sotto un certo aspetto, con volti che emergono
in uno squarcio di luce da un nero profondo, però sono volti doppi,
perché a ogni faccia se ne sovrappone una seconda; a volte si tratta
di persone molto simili, a volte invece è profondo il solco
dell’età. Fratelli, allora, o genitore e figlio, o semplicemente
amici.
Il confronto tra i
lineamenti, tra gli sguardi, diventa per l’occhio del visitatore
una sfida istintiva.
Chissà, forse è vero
che si finisce ad assomigliare a chi si ama, ma il messaggio e la
ricerca dell’opera di Roberta Capello, sono più profondi, vanno in
una direzione che può richiamare la fisiognomica di Beccaria,
rivisitata però con una sensibilità profonda e palpitante, rivolta
a rinserrare legami che non sono esteriori ma profondi e “chimici”.
Rileggendomi, scopro di
avere già segnalato questa artista come pittrice nella precedente
edizione di Paratissima: esploratrice di tecniche e metodi espressivi
molto diversi, con queste opere dimostra di possedere anche nella
fotografia un linguaggio espressivo estremamente efficace.
Ugo Ricciardi
Quanto è importante in
una fotografia artistica il modo e la tecnica con cui è stata
realizzata? Personalmente ho sempre pensato che il risultato sia
molto più importante del mezzo utilizzato per raggiungerlo, così,
davanti a un frettoloso esame dei “Notturni” di Ugo Ricciardi, ho
pensato con una certa indolenza: “Bello, però oggi con i programmi
di grafica si riesce a fare di tutto.” Errore mio! L’artista
realizza le opere nel buio più profondo della notte, utilizzando o
l’opera di un assistente, in certe immagini s’intuisce la sua
presenza, che sposti le luci, o addirittura un drone che percorra
geometrie chiuse. Chapeau!
Alla fine, quello che la
foto comunica è il fascino della notte, nella bellezza deserta di
antichi monumenti e panorami, di una natura ritornata padrona dello
spazio e del tempo; e del silenzio, il magico silenzio che le nostre
città disprezzano e violentano di giorno e di notte. In tale
contesto, la luce sembra rivelare l’anima del passato o del
presente, fermata per l’eternità nel movimento circolare.
A Ugo Ricciardi, come a
molti altri autori, le scuse per non essere riuscito con le mie
fotografie a sfuggire ai terribili riflessi che sporcano la bellezza
delle sue opere.
Jacopo Di Cera
I fogli stropicciati su
cui sono impressi i lavori di Jacopo Di Cera mostrano un mondo
spezzato e sgretolato, la terra martire di Amatrice, devastata dal
terremoto del 2016.
Simboli come il pacchetto
di sigarette con l’immagine del Che Guevara e la scritta “Il fumo
uccide”, ferri di cemento non troppo armato, un termosifone
assurdamente emergente tra le rovine.
Certo, le fotografie
richiamavano la devastazione di quei tragici giorni, però così
spiegazzate, quasi anticipando l’appallottolamento pieno di
frustrazione e fastidio che precede il lancio nel cestino della carta
come irrecuperabile spazzatura; mi chiedo se le immagini non vogliano
essere denuncia di una volontà di dimenticare, di una ricostruzione
che non interessa più ai potenti e neppure alla gente che in quei
posti non vive. Una seconda tragedia di cui non bisogna cercare le
origini nella ferocia devastante della natura o nell’incuria del
passato, ma in noi stessi, preoccupati di rimuovere quello che ci
disturba e per il quale riteniamo di avere fatto già abbastanza,
anche se non abbiamo fatto quasi nulla.
Troppi disastri, troppi
sciagure. Parliamo d’altro!
Simona Muzzeddu
Simona Muzzeddu, visual artist. La sua
opera “Borderline psychotic activity” è di rara efficacia sia
come video sia come sequenza di fotografie. Un sinistro parallelo tra
l’ambientazione degradata, abbandonata, vecchia, e la condizione
dell’uomo, prigioniero di una camicia di forza, ma soprattutto di
se stesso; scatenato in un’agitazione insensata e inarrestabile, la
bocca che si apre in un grido che non possiamo sentire. Un grido di
libertà negata.
Il disagio è nell’interpretazione
che riusciamo a dare, perché quello che vediamo non è la pazzia di
un uomo chiuso in un manicomio, ma il nostro essere prigionieri nei
nostri limiti, nella fragilità irraggiungibile dei nostri pensieri.
Vogliamo raggiungere quel che non possiamo diventare mentre non siamo
in grado che di perdere noi stessi nella nostra disperazione.
Sicuramente l’opera di questa
edizione che mi ha emozionato di più.
Il video può essere visualizzato a
questo indirizzo:
Cinzia Naticchioni
Rojas
Ormai si stampa su tutto, su ogni
possibile superficie e, sulla vetrina di un negozio di estetica, un
cartello invitava le clienti a portare una fotografia da farsi
stampare sulle unghie. Però non avevo ancora visto stampare su
foglie secche immagini di monumenti oppure di vita comune. “Gelatina
ai sali d’argento su foglia”.
L’originalità del
materiale crea uno strano distacco dalla realtà, che regredisce a
livello d’intuizione, di sogno, si perde e al tempo stesso si
arricchisce nelle nervature, si confonde nei riflessi della luce.
Cinzia Naticchioni Rojas,
architetto e fotografa italo-messicana nonché novella Morgana,
regala alle foglie la magia, nel momento in cui cadono dagli alberi,
di registrare sulla propria superficie l’ultima immagine catturata.
Marco Poma
Le incisioni di Marco
Poma sono il risultato di un geniale equilibrio tra una rigida e
prospettica geometria – cerchi, cubi, quadrati e piramidi – e un
reticolato fitto che ricorda i capillari di un tessuto animale oppure
filamenti vegetali. Questo in un gioco di chiaroscuri di sicura
efficacia.
Temi spaziali abilmente
proposti ora in due e ora in tre dimensioni.
Il progetto artistico del
giovane artista è stato premiato come il migliore della selezione
Independent Curated Spaces in questa edizione di Paratissima.
Salvatore Cocca
Finalmente un pittore
vero e bravo! Nulla contro i precedenti artisti, ma quando vedo un
maestro del bel classico dipingere, il mio cuore è felice.
Ecco quindi i begli oli
su tela o su legno di Salvatore Cocca. Porte aperte su interni di
case un po’ fuori dal tempo, deserte, trascurate ma profondamente
dignitose; finestre da cui entra una luce intensa che accentua i
contrasti, senza riuscire a cancellare quel freddo antico che è
impregnato nei muri spessi. A me ritornano in mente la casa dei miei
nonni e quella di due vecchie zie che vivevano in campagna, ma è
l’atmosfera dei (bei) tempi andati, dove la casa aveva un alone
sacro e ogni oggetto aveva il suo valore, a dominare.
Quella serena bellezza,
semplice, antica e pura, che vorremmo ritrovare dentro di noi, nei
nostri pensieri avvelenati da una fretta inquieta che ci fa correre
sempre per non arrivare da nessuna parte.
Paolo Di Rosa
L’artista giusto per
chi da un’opera d’arte vuole essere ispirato per poi lasciare
viaggiare a briglie sciolte la propria fantasia; visioni metafisiche
che hanno però radici salde nella natura umana. Sia il soggetto uomo
o donna, bambino o anziano, lo sguardo si focalizza curioso su
qualcosa che non è nella realtà comune e che apre la porta a un
mondo diverso, affascinante e astratto.
Sempre in equilibrio tra
ironia e profondo messaggio, Paolo Di Rosa riesce col suo stile di
favolosa naturalezza a creare atmosfere irreali e al tempo stesso
parallele alla vita ordinaria.
L’innocenza del bambino
che gioca con una barchetta muovendola in un mare che lui solo vede,
la donna dai capelli argentati che osservando con una lente una linea
bianca scopre ingrandito il monoscopio televisivo, il saltimbanco che
legge un giornale seduto su un improbabile filo: immagini che
divertono e che creano a cascata pensieri, riflessioni, ricordi.
Raramente ci si trova
davanti a lavori che permettono alla fantasia dello spettatore di
volare altrettanto libera e creativa.
Paola Geranio
Pittura densa e carnale
quella proposta da questa artista. Il volto femminile, soprattutto la
bocca e le labbra, è indagato con morbosa attenzione. Labbra carnose
su cui aderisce una sigaretta, stuzzicate dalle dita di una mano,
punite dalla palla di un bavaglio, nascoste dalla bolla di una gomma
da masticare, aperte in un bacio vorace, schiuse in una torbida e
maliziosa attesa.
Le ragazze ritratte,
giovani donne in divenire, spesso ci guardano torbide, con sguardi
smarriti eppure avidi di esperienze; adolescenti che vogliono e
implorano attenzione, padrone del proprio destino e sottomesse al
tempo stesso.
Il mistero delle donne e
della loro maturazione, l'inquietudine che le agita e i turbamenti
che provocano negli uomini.
Emanuele Biagioni
L’artista fa rivivere
il fascino delle moderne città utilizzando tecniche impressioniste
con ottimi risultati.
I ricordi dei suoi
numerosi viaggi diventano materia per rappresentazioni di grande
effetto con le ombre dei pedoni nel sole del mattino, oppure con i
fanali delle auto e i lampioni nella notte, o i riflessi sull’asfalto
bagnato dalla pioggia.
La capacità di Emanuele
Biagioni nel dominare le immagini ha del magico. Grande la scelta
degli spazi dove non disturbano i grandi intervalli concessi
all’asfalto nudo. Da un lato lo spettatore si perde nel gioco
confuso di luci e contorni sfumati, dall’altro pochi dettagli
colgono la sua attenzione e gli fanno cogliere dettagli di grande
precisione. Questo è proprio il segreto della vista umana, che sa
ricostruire da pochi elementi in confuso movimento una
rappresentazione della realtà in cui ci muoviamo e diventa il
segreto prezioso dell’opera di questo artista.
Claudio Cionini
Le opere di Claudio
Cionini hanno molto in comune con quelle di Emanuele Biagioni appena
commentate. Città, pioggia, riflessi di luci. Diversa è però
l’interpretazione. La città di Cionini è un ambiente dove l’uomo
non compare ma è assorbito, inscatolato, nelle case e nelle
automobili. La città è il soggetto nel suo essere assoluto, come
ambiente, come realtà unica, come spazio che riempie se stesso. Una
città che è infinita, non ha confine e non ha alternative. Se la
città è opera dell’uomo, allora l’uomo ha cancellato ogni
possibile alternativa, ogni diversa evoluzione nel proprio domani.
Emmanuela Zavattaro
Diventata pittrice per
riempire i tempi della convalescenza e ritrovare certezze dopo un
brutto incidente, l’artista ha saputo creare un parallelo tra la
propria vita e la propria opera ricreando se stessa nell’arte e
riutilizzando materiali poco nobili come i cartoni di un imballo per
realizzare le proprie opere.
Il risultato, asimmetrico
e composito, attira l’occhio e i visi disegnati, volti di una
giovane donna dai grandi occhi, timidi e sofferenti, sono di una
fierezza non vinta. Autoritratti?
Con le sue creazioni tra
la pittura e il collage, Emmanuela Zavattaro è riuscita a trovare un
modo perfetto per comunicare con il pubblico ed esprimere il proprio
io.
Giuliana Cobalchini
Sacchi pieni, sacchi
vuoti, sacchi a metà. Nella semplicità, quasi nella banalità del
soggetto rappresentato, si cela invece tutta l’allegoria della
vita. Giorni pieni, vuoti, giorni a metà; momenti in cui riteniamo
di avere tutto e altri in cui non abbiamo nulla cui aggrapparci.
Nessuna enfasi, semplice
contemplazione di momenti, di ritmi e di forme. Già, perché la
sequenza dei sacchi potrebbe anche suggerire, il ritmo di una musica
di sole sei note. Re-fa-mi Fa-re-do. Provate a canticchiarlo…
Alfonso Marco, Antonio
Crisa’, Nicola Iacovone
Non sono sicuro che sia
corretto segnalare questo lavoro come opera artistica, ma chi ha
dovuto cimentarsi più volte con le proiezioni ortogonali,
scomponendo gli oggetti secondo le tre possibili viste, non ha potuto
non soffermarsi con un sorriso a metà sul progetto “Ritratti
Assonometrici”. Una catalogazione di persone riprese frontalmente,
di profilo e dall’alto. Lo scopo dichiarato è quello di
evidenziare e interpretare le differenze. Alla fine, anche qua,
torniamo alla fisiognomica e al Beccaria!
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