UN
RICORDO DEL MAGISTRATO POTENTINO EMANUELE CASAMASSIMA
Emanuele
Casamassima, Presidente onorario della Corte di Cassazione, spentosi
nel 2016 e lasciando un vuoto incolmabile trai suoi cari, era un
magistrato esemplare, gentile nei modi, coltissimo, una persona
affabile. Se parlavi con lui, passavano le ore. Si disquisiva di
tutto ed in tutto la sua sapienza accorta rispondeva, perfino nella
procedura edile della edificazione dei camini, la quale era una sua
passione. Fu anche indagato, ma ingiustamente: una persona morigerata
come lui! Ligia al dovere! E come ci era rimasto male! A distanza di
anni ancora ricordava, e voleva quasi giustificarsi con coloro che
con lui si trovavano ad intrattenersi, come noi. Una persona così
sensibile, era rimasta veramente ferita! Con lui potremmo cantare il
salmo del giusto: «Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia, mi
ripaga secondo l’innocenza delle mie mani, perché ho custodito le
vie del Signore», perché il Signore, come diceva un grande
magistrato, non usa il codice penale, ma guarda nei nostri cuori. La
nostra città di Potenza, la nostra Regione Basilicata, dovrebbe
ricordare questi uomini con somma riconoscenza, non con
ingratitudine. Spesso infatti nemo
propheta in patria sua,
e trattiamo con somma ingratitudine, invece, coloro che hanno dato la
vita per la terra nostra. Così abbiamo fatto con Mario Pagano e col
Vescovo Andrea Serrao: tanto per ricordare! Noi, invece, abbiamo
creduto a questo uomo, giudice giusto, che ci erudiva sempre
nell’antica scienza della giurisprudenza romana: Da
mihi factum, et dabo tibi ius.
Come intelligentemente ci faceva intendere, il principio del nostro
filosofo napoletano Giambattista Vico verum
ipsum factum, verum et factum convertuntur,
veniva ripreso proprio da quel principio giuridico. Emanuele
Casamassima ci ha lasciato uno studio giuridico. “Usi civici e
proprietà collettive”, Potenza 2007. È un testo molto bello, che
rivela il suo stile, metodico e preciso: «L’origine degli usi
civici non è sempre chiara, perché talora rimonta alla notte dei
tempi e si ricollega al collettivismo agrario, che, sotto varie
forme, esisteva presso tutti i primi insediamenti umani della antica
Europa, compresa tra il Tago e la Scizia. Non erano estranei
all’Italia romana, in quanto gli Italici erano “vicatim
viventes”, cioè abitanti in villaggi. A tal proposito sembra
opportuno definire il contenuto dell’espressione “uso civico”.
Espressione, che contenendo in sé due modalità già del periodo
preromano, appariva bivalente. Infatti l’uso civico nel suo
significato letterale “usum civium” era un modo di possedere la
terra da parte dei cittadini appartenenti ad una collettività, ma
era anche un modo di produrre in un sistema arcaico precapitalistico,
comune a tutto il mondo antico e risalente a popoli antichissimi in
uno stadio di sviluppo economico-sociale precivico». Faceva
riferimento a quello che Marx definiva il “comunismo primitivo”,
in una originale interpretazione storica del diritto. Abbiamo voluto
ricordare questa figura veramente insigne del panorama della nostra
storia. E la storia, quella Historia,
magistra vitae,
conservi le tracce della vita e dell’opera di quest’uomo, che ha
dedicato con onore tutta la sua carriera professionale alla
magistratura.
Vincenzo
Capodiferro
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