03 ottobre 2018

UN RICORDO DEL MAGISTRATO POTENTINO EMANUELE CASAMASSIMA a cura di Vincenzo Capodiferro


UN RICORDO DEL MAGISTRATO POTENTINO EMANUELE CASAMASSIMA

Emanuele Casamassima, Presidente onorario della Corte di Cassazione, spentosi nel 2016 e lasciando un vuoto incolmabile trai suoi cari, era un magistrato esemplare, gentile nei modi, coltissimo, una persona affabile. Se parlavi con lui, passavano le ore. Si disquisiva di tutto ed in tutto la sua sapienza accorta rispondeva, perfino nella procedura edile della edificazione dei camini, la quale era una sua passione. Fu anche indagato, ma ingiustamente: una persona morigerata come lui! Ligia al dovere! E come ci era rimasto male! A distanza di anni ancora ricordava, e voleva quasi giustificarsi con coloro che con lui si trovavano ad intrattenersi, come noi. Una persona così sensibile, era rimasta veramente ferita! Con lui potremmo cantare il salmo del giusto: «Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia, mi ripaga secondo l’innocenza delle mie mani, perché ho custodito le vie del Signore», perché il Signore, come diceva un grande magistrato, non usa il codice penale, ma guarda nei nostri cuori. La nostra città di Potenza, la nostra Regione Basilicata, dovrebbe ricordare questi uomini con somma riconoscenza, non con ingratitudine. Spesso infatti nemo propheta in patria sua, e trattiamo con somma ingratitudine, invece, coloro che hanno dato la vita per la terra nostra. Così abbiamo fatto con Mario Pagano e col Vescovo Andrea Serrao: tanto per ricordare! Noi, invece, abbiamo creduto a questo uomo, giudice giusto, che ci erudiva sempre nell’antica scienza della giurisprudenza romana: Da mihi factum, et dabo tibi ius. Come intelligentemente ci faceva intendere, il principio del nostro filosofo napoletano Giambattista Vico verum ipsum factum, verum et factum convertuntur, veniva ripreso proprio da quel principio giuridico. Emanuele Casamassima ci ha lasciato uno studio giuridico. “Usi civici e proprietà collettive”, Potenza 2007. È un testo molto bello, che rivela il suo stile, metodico e preciso: «L’origine degli usi civici non è sempre chiara, perché talora rimonta alla notte dei tempi e si ricollega al collettivismo agrario, che, sotto varie forme, esisteva presso tutti i primi insediamenti umani della antica Europa, compresa tra il Tago e la Scizia. Non erano estranei all’Italia romana, in quanto gli Italici erano “vicatim viventes”, cioè abitanti in villaggi. A tal proposito sembra opportuno definire il contenuto dell’espressione “uso civico”. Espressione, che contenendo in sé due modalità già del periodo preromano, appariva bivalente. Infatti l’uso civico nel suo significato letterale “usum civium” era un modo di possedere la terra da parte dei cittadini appartenenti ad una collettività, ma era anche un modo di produrre in un sistema arcaico precapitalistico, comune a tutto il mondo antico e risalente a popoli antichissimi in uno stadio di sviluppo economico-sociale precivico». Faceva riferimento a quello che Marx definiva il “comunismo primitivo”, in una originale interpretazione storica del diritto. Abbiamo voluto ricordare questa figura veramente insigne del panorama della nostra storia. E la storia, quella Historia, magistra vitae, conservi le tracce della vita e dell’opera di quest’uomo, che ha dedicato con onore tutta la sua carriera professionale alla magistratura.
Vincenzo Capodiferro

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