LAGART
LABORATORIO
FILOSOFICO ARTISTICO
ALOISIANUM
– GALLARATE
SULL’AUTENTICITÀ
Prima
riflessione
Riprendendo
il tema della prima lettura di Taylor, Il
disagio della modernità,
mi sono soffermato in particolare sul concetto di autenticità.
L’individuo è un ente speciale. Già Aristotele vi individuava la
sostanza ilemorfica e sinolica. Riferito all’uomo però acquisisce
un senso ancora più alto, perché l’uomo non è un semplice
essere, ma un essere che si pone delle domande, ed heideggerianamente
può compiere quel salto qualitativo dal piano ontico al piano
ontologico. L’uomo si trova a vivere la situazione struggente della
gettatezza, da cui si erge la pro-gettatezza. Ex
nihilo omne ens quia ens fit,
si chiedeva Heidegger. Ma come avviene il miracolo? Come dal nulla
all’essere tutto ciò che è, che esiste? Vi è, risponderemmo con
Tommaso, l’actus
essendi! L’Uomo
è invocato dall’Essere, quell’Essere che aveva sconvolto
Parmenide, ed Eraclito nella sua Fenomenologia del purissimo -
romantico - Divenire. L’atto di essere non può essere determinato
da un Volontà cieca ed irrefrenabile, come quella prevista da
Schopenhauer, o dalla Madre e matrigna leopardiana, o dall’Universo
Mostro nietzschiano che si ripete all’infinito. O dal Nulla Eterno
indigesto e nauseabondo degli esistenzialisti? La chiamata all’essere
implica una dimensione vocazionale dell’esistenza. L’esistenza è
“uscita fuori all’essere”. Ci sovviene l’«esci dalla tua
terra», l’invito rivolto ad Abramo, o l’«Esci!» di Lazzaro dal
sepolcro. presuppongono non tanto un ente impersonale, cioè ontico,
quanto personale, cioè ontologico, un Chi,
non un Cosa.
Chi sei, o Signore? Chiese il cieco che riacquistò la vista dopo che
Gesù ebbe spalmato sputo e fango sui suoi occhi. Noi siamo Lazzaro,
noi siamo Abramo. Dobbiamo uscire dal nulla d’essere, ma non
possiamo uscire da soli, se non siamo chiamati dall’Essere.
L’autenticità è data dalla risposta, non solo dal riconoscimento,
già presente in Martin Buber nell’Ich
und Du. Se
corrispondiamo all’Essere siamo noi, siamo ciò che dobbiamo
essere. Il dio parmenideo, cui crede ancor oggi Emanuele Severino è
un dio dell’eterno presente, che ha la sua verità nell’Adesso,
la sua eternità è il presente. Il Logos greco si riferisce ad una
realtà che c’è da sempre. La domanda dell’uomo sul vero essere,
quella che si chiedeva anche Heidegger, a principio di Essere
e Tempo, non
va formulata confrontando l’essere degli uomini con gli animali -
qui Kierkegaard direbbe che il Singolo è superiore alla specie - col
mondo, o con Dio, ma confrontata con la missione che gli viene
affidata dall’Essere. Questo è il verso senso: l’essere è
attesa, è speranza. A questa domanda l’uomo non riceve risposte su
ciò che è, ma su ciò che sarà. Ciò che l’uomo è nel corpo e
nell’anima lo si dà guardando al vissuto, all’Erleben,
di Husserl e di Dilthey. Ma è la possibilità futura che schiude
all’uomo il concetto dell’uomo. La vita umana deve essere messa a
repentaglio se la si vuol guadagnare: chi perderà la propria vita la
conserverà per l’eternità, ma chi vorrà conservarla, la perderà,
dice il Signore. Deve darsi se vuole acquistare salvezza e futuro.
L’aspettazione del futuro rende l’uomo a dare sé stesso senza
riserve e senza restrizioni. Per poter amare è necessaria la
speranza e la certezza del futuro. L’amore guarda sempre alle
possibilità non realizzate del prossimo e perciò gli accorda la
libertà e il futuro. Il mondo non è ancora concluso, ma va inteso
come un mondo che è impegnato nella storia, un mondo nel quale si
può essere a servizio della verità futura che è stata promessa,
della giustizia e della pace. Questo è il tempo della diaspora, il
tempo per seminare con speranza, il tempo del dono è l’attesa e
l’attesa è dono e sacrificio, perché questo tempo si trova
nell’orizzonte di un nuovo futuro. Perciò diventa possibile il
dono di sé in questo mondo, l’amore diventa possibile giorno per
giorno. La speranza ed il dono di sé diventano possibili in quanto
orizzonte di aspettazione che è l’attesa, che trascende il mondo
presente. Questa è la vera autenticità la gloria della
realizzazione del sé o la miseria dell’alienazione di sé sorgono
l’una e l’altra dalla presenza o dalla mancanza di speranza in un
mondo che è diventato senza orizzonte. l’inoggettivabilità di Dio
- come sosteneva Barth - porta inevitabilmente all’insoggettivabilità
dell’uomo, perché l’uomo chiede di sé solo quando Dio vuol far
conoscere sé stesso a lui, cioè quando la Parola di Dio gli si
rivolge. Seguendo il metodo kantiano la sintesi a priori è possibile
solo col materiale finito dei sensi, la visione delle cose ultime,
cioè l’escatologia è ritenuta impossibile.
Perciò
Mounier, di fronte alla figlia, un batuffolo condannato dalla
malattia all’insensibilità, si chiede: Che
cosa è l’uomo perché te ne ricordi? Un figlio d’uomo perché te
ne curi? Eppure l’hai creato poco meno degli angeli. Di gloria e di
onore lo hai coronato
(Sal 8,5-6). Eppure è pur sempre una persona. Perciò Mounier
condanna sia l’individualismo che il collettivismo marxista.
Entrambi portano allo sterminio di massa. Che vuoi che sia? Un uomo
in più! Un uomo in meno! Se
questo è un uomo, si
chiedeva Primo Levi.
E
noi che cosa rispondiamo a questa domanda: cos’è l’uomo? Quale è
la risposta che dà più autenticità all’essere uomo? L’essere
persona, non una personalità. La personalità è il complesso
psicologico dei comportamenti. La personalità è un iceberg, fatto
di Es ed Io. Ma l’uomo non è questo, è una persona integrale. Il
passato, il presente e il futuro dell’uomo, della persona, non sono
gettatezza, ma possono avere tutti e tre il carattere di autenticità
o inautenticità, cioè possono diventare pro-gettatezza. E qui ci
appelliamo di nuovo ad Heidegger. Il presente inautentico non ha
significato, è la routine dei giorni che si susseguono rassegnati
l’un l’atro all’infinito. Il presente autentico ha il carattere
di vivere quel che ci è dato, è l’accettare l’angosciosa
certezza della morte. Quindi è assai difficile intravedere
l’orizzonte della storia. Essa non può aver luogo nell’esistenza
inautentica: la banalità della vita quotidiana non ha valore per la
storia. D’altro canto l’esistenza autentica si riassume
nell’attimo dell’angoscia e l’uomo è solo di fronte all’unica
certezza: la morte, di fronte alla radicale impossibilità ed
inutilità dell’esistenza, che si può accettare, o non accettare.
Ma noi, in quanto pensatori cristiani abbiamo anche superato questo
scoglio della morte: ci rimettiamo in tutto e per tutto all’Assoluto
nel salto nel Nulla, nel Vuoto, nel passaggio attraverso l’Oscura
Notte di san Giovanni della Croce, attraverso la Selva Oscura di
Dante Alighieri. Con ciò non è detto che siamo al sicuro: qui
creavit te sine te, non salvabit te sine te.
Possiamo rimanerci per sempre in quell’Oscurità senza fine che
tormentava Heidegger, Nietzsche e Schopenhauer, e tutti i mistici
atei. La prospettiva cristiana non è altrettanto confortante, come
credono i miscredenti. Questo lo avevano ben capito Pascal e
Kierkegaard. C’è il salto nel vuoto. L’autenticità avviene
nello stadio religioso. Lo stadio estetico porta alla disperazione:
guardate Dorian Gray, Andrea Sperelli e tutti gli altri? Lo stadio
etico a lungo andare può portare all’esistenza inautentica, alla
routine. Solo lo stadio religioso porta alla dimensione autentica,
anche nel misticismo ateo di uno Schopenhauer o di un Buddha.
L’autenticità è data dalla risposta, che è da un lato
responsabilità e dall’altro responsività. Non è solo
riconoscimento. Se corrispondiamo all’essere siamo noi. Siamo cioè
ciò che dobbiamo essere, perché l’essere per noi è l’eterno
futuro, non l’eterno ritorno dei Greci e di Nietzsche, non l’eterno
presente di Parmenide. “Io Sono Colui che Sono” noi lo traduciamo
come “Io Sarò Colui che Sarò”. “Io ci sarò”. Il principio
stesso di identità e non contraddizione si rivolge alla futurità. A
sarà A. La non contraddizione avviene, non è già data e basta.
L’essere è un qualcosa che si muove, è uno Spirito che si
verifica, si avvera. Diventa vero. Questa è l’”Aletheia”: lo
svelamento nella temporalità dell’eternità latente, nascosta. Ciò
che si manifesta è solo l’apparenza, il fenomeno. Ma nella
fenomenicità dell’ente si rivelano già le sue strutture
essenziali, come Husserl aveva già formulato nella sua
Fenomenologia. Dobbiamo distinguere l’apparente dall’inapparente,
l’invisibile, il metafisico, il trascendente. “Trascendentimento”
è il discernimento dell’essere. Solo l’uomo può porsi questo
interrogativo, perché possiede una dimensione invisibile, interiore.
La fenomenologia così può essere ridotta a scienza della coscienza,
l’unico luogo, intimo, dove si dà l’ente. Diviene così
Coscienziologia.
Come sosteneva Padre Filippo Catalano, mio maestro di filosofia, c’è
un’evoluzione nel rapportarsi all’essere:
età
moderna – factum
et verum convertunrtur
età
contemporanea - agendum
et verum convertuntur
Siamo
figli del futurismo, o meglio, del futuro. Whitehead sosteneva che il
soggetto è evento percipiente. La Natura è evento totale. Chiudiamo
questa prima riflessione con un pensiero di Royce: «Una vita
individuale, presente come un tutto, totum
simul,
come avrebbero detto gli scolastici. Questa vita è insieme un
sistema di fatti, e il compimento di ogni scopo che ogni idea finita,
in quanto è vera in rapporto al proprio significato, già incorpora
frammentariamente. Questa vita è volontà completa, così come
l’esperienza completa, corrispondente alla volontà e
all’esperienza di ogni idea finita. Ciò che è non è più per noi
una mera forma, ma una Vita; e nel mondo di ciò che prima era
semplice verità, comincia finalmente a brillare la luce
dell’individualità e della volontà. Il sole del vero essere s’è
levato di fronte ai nostri occhi. Nello scoprire questo mondo non
siamo noi già condotti alla vera definizione della vita divina?»
(Il
mondo e l’individuo,
prima serie, lezione VII,9).
Vincenzo
Capodiferro
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.