06 luglio 2018

PER UNA LETTURA DE’: “IL DISAGIO DELLA MODERNITA’” di Charles Taylor a cura di Franco Carenzo



LAGART
LABORATORIO FILOSOFICO ARTISTICO
ALOISIANUM – GALLARATE

PER UNA LETTURA DE’: “IL DISAGIO DELLA MODERNITA’”
di Charles Taylor

Questo testo del filosofo canadese Taylor, pensatore dichiaratamente cattolico, esamina alcune forme di disagio presenti nella nostra epoca che hanno origine nella modernità. Da qui il titolo.
I tre aspetti considerati sono i seguenti:
  1. Perdita di senso: venir meno dei punti di riferimento morali, dovuti ad un individualismo egoistico.
  2. Eclissi dei fini, cioè dei valori fondamentali dell’uomo, di fronte al primato della ragion strumentale.
  3. Perdita di libertà: a livello politico, a causa del disinteresse per le questioni che riguardano il bene comune.
Il primo punto è quello trattato più diffusamente. Nella trattazione relativa troviamo il concetto di “relativismo morbido”. Esso sta a significare che non esistono valori assoluti, sulla base del rispetto reciproco; viene definito morbido perché almeno un valore assoluto c’è: il rispetto delle idee altrui.
Ci sono due forme di questo “atteggiamento”: una “popolare” ed una colta. Taylor non descrive la prima, ma si può ragionevolmente pensare che sia quella basata su frasi come: “ognuno la pensa come vuole”. La seconda ha una base filosofica e porta spesso ad una sorta di nichilismo.
Gli studenti sono il punto di giuntura tra cultura popolare e alta cultura. In essi, questa teoria, rafforza ulteriormente le loro modalità egocentriche e, conferendo una giustificazione, diventa la premessa di una sorta di auto indulgenza morale.

Il relativismo morbido ha il pregio di essere il fondamento della tolleranza, ma porta a conseguenze di cui, in genere, non si tiene conto. La più tipica è il soggettivismo morale: le posizioni morali non sono in nessun modo fondate sulla ragione o sulla natura delle cose, ma sono adottate in ultima analisi per il semplice motivo che ci troviamo a subire la loro attrazione. La ragione non é in grado di dirimere le controversie morali. Posso mettere in luce certe conseguenze della posizione di qualcuno, a cui magari questi non ha pensato, ma ciò nonostante se l’interlocutore ritiene di mantenere la sua posizione originaria, è impossibile opporgli qualche altro argomento. Per questo motivo c’è silenzio su ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Il relativismo morbido si autodistrugge. Nell’insistere sulla legittimità della scelta tra certe opzioni, accade che le priviamo del loro significato. Tutte le scelte hanno l’identico valore perché sono scelte liberamente, ed è la scelta che conferisce valore. Ma ciò nega implicitamente l’esistenza, anteriormente alla scelta, di un orizzonte di valori in forza del quale alcune cose sono più ed altre meno importanti, e altre ancora non lo sono affatto.

Taylor cita Allan Bloom che nel libro La chiusura della mente americana assume una posizione severamente critica nei confronti dell’odierna gioventù istruita, il cui tratto principale è l’accettazione di un relativismo superficiale. Ognuno ha i suoi valori di cui è impossibile discutere. Questa non è solo una posizione gnoseologica, una concezione dei limiti che la che la ragione è in grado di stabilire, è intesa anche come una posizione morale: non si devono contestare le scelte e i valori altrui.
Il relativismo è il corollario di una forma di individualismo, il principio è che ognuno ha il diritto di sviluppare la sua propria forma di vita, fondata sulla propria percezione di ciò che è realmente importante; gli esseri umani sono chiamati ad essere fedeli a se stessi, e a ricercare la propria autorealizzazione. In cosa consista ciascuno deve deciderlo da sé. Nessun può o deve dettarne il contenuto.
È l’individualismo dell’auto-realizzazione, molto diffuso nel nostro tempo. C’è una certa retorica che conferisce una patina di splendore a questa vita, ma non contiene nulla di particolarmente nobile; la capacità di sopravvivere ha soppiantato l’eroismo. Non è solo lassismo morale o egoismo: il punto è che molti si sentono chiamati a sacrificare i loro rapporti d’amore, la cura dei figli, per inseguire le loro carriere. Sentono che devono comportarsi così. Le loro vite sarebbero sprecate se si comportassero diversamente.
Vedere i rapporti umani come strumentali all’autorealizzazione individuale è una parodia che finisce col distruggere se stessa.
Il secondo aspetto del disagio è quello legato al primato della ragion strumentale. Questa è quel tipo di razionalità che utilizziamo quando calcoliamo l’applicazione più economica del rapporto costi/prodotto. Il timore è che i fini indipendenti, cioè i valori che dovrebbero guidare le nostre vite, si trovino eclissati dall’esigenza di massimizzare la produzione. Questo avviene quando si giustifica con la crescita economica una distribuzione pesantemente diseguale del reddito, o si creano le premesse per una catastrofe ambientale.
Il terzo aspetto è il disinteresse per le questioni che riguardano il bene comune. È una delle conseguenze dell’individualismo. Dice Taylor a proposito: “L’individualismo impoverisce le nostre vite, allontana dall’interesse per gli altri e per la società. Una società in cui gli esseri umani si riducono nella condizione di individui - rinchiusi nei loro cuori - è una società in cui pochi vorranno partecipare attivamente all’autogoverno… ciò aprirà la strada ad un dispotismo morbido”.

Ma come si può da un lato salvare il sacrosanto principio della tolleranza e dall’altro parlare a ragion veduta di ciò che rende la vita degna di esser vissuta, ossia dei valori? Taylor non chiarisce questo punto, ma qui occorre precisare la distinzione tra livello giuridico e livello teoretico. Da un punto di vista giuridico non si può stabilire per legge che una posizione di pensiero sia superiore ad un’altra, ad eccezione dei principi concordati sui quali si basano le leggi di una nazione. Da un punto di vista teoretico però si può legittimamente pensare che dei valori, una filosofia, una linea politica o una religione siano superiori alle altre, a patto però che questo non autorizzi a imporle, a usare violenza, a creare intolleranza. Gli unici mezzi leciti per diffonderle sono il dialogo e la persuasione, sempre uniti allo spirito critico e autocritico. Se così non fosse non avrebbero senso neppure il dibattito politico e la nozione di bene comune.

La tolleranza era sembrata giustamente l’unica via per uscire dal fanatismo legato alle guerre di religione del 1600. Oggi però, di fronte al disagio di cui abbiamo parlato, è giunto il momento di entrare in una nuova epoca culturale. La lotta contro il fanatismo ha portato alla diffidenza verso le religioni storiche, in modo particolare nei confronti del cattolicesimo. Si è usata la ragione per rischiarare le tenebre dell’intolleranza e si è esaminata la religione in termini puramente razionali. Questo però ha causato anche la perdita della spiritualità. Ma la moralità senza la spiritualità fatica a sostenersi.
Queste considerazioni, essendosi sviluppate in ambito borghese, si sono accompagnate alla ricerca della propria autoaffermazione in campo economico, al liberismo, al capitalismo, all’aumento delle diseguaglianze, allo sfruttamento e all’impoverimento di vaste regioni della terra, all’inquinamento, alla distruzione delle risorse.
Il relativismo morbido ha portato come rovescio della medaglia la spietata ricerca del profitto.

Di fronte a tutto questo: c’è bisogno di tornare a parlare di valori, di costruire un mondo sulla collaborazione e non sulla competizione, di spiritualità per rinvigorire la moralità e per lo sviluppo di tutte le potenzialità dell’essere umano, di solidarietà, di economia “collaborativa” e che non metta al primo posto il profitto, di emozioni rigeneranti e positive, di un contatto che cura. L’esigenza di superare la repressione sessuale non deve portare all’immoralità o alla volgarità, ma allo scoprire il valore “terapeutico” dell’abbraccio e delle carezze e alla ricerca di una maggior intesa all’interno di coppie stabili. La metafora più adatta per esprimere tutto questo potrebbe essere “danzare la vita”, secondo un’espressione di Roger Garaudy.
Ma come iniziare ad “invertire la direzione di marcia”?
A ben vedere l’individualismo può essere inteso non solo come fenomeno amorale, egoismo, atomismo concepito come difesa intransigente dell’individuo isolato dal suo contesto, fenomeno di dissoluzione in cui si perdono i valori e rimane una pura e semplice anomia, dove ognuno bada a se stesso. Potrebbe anche essere la premessa per la ricerca della propria autenticità esistenziale.
È catastrofico confondere queste due specie di individualismo.
L’ideale dell’autenticità ha una forza morale, è un ideale degnissimo, in linea con la cultura attuale e verso il quale occorre né una condanna totale, né un elogio acritico e neppure un compromesso scrupolosamente bilanciato, bensì un opera di ripristino la quale possa aiutarci a rinnovare la nostra prassi.
Anche l’individualista, in fondo, insegue questo valore, spesso non rendendosene neppure conto. L’autorealizzazione è un prodotto pervertito dell’ideale dell’autenticità. L’appagamento non temporaneo che l’individualista cerca veramente è costituito dall’autenticità. Essa è: amicizia vera, amore, integrazione tra sessualità, affettività e spiritualità, scoprire e realizzare il proprio modo originale di essere nel mondo, sviluppare le proprie potenzialità per fare felici non solo se stessi ma anche gli altri, contatto con la propria profondità interiore, ricerca del senso della vita, di una missione da compiere, empatia verso la sofferenza, riconoscimento di legami con ogni essere umano in quanto tale.
I critici del soggettivismo si basano sull’esistenza di qualcosa che diciamo natura umana, la cui comprensione mostrerà che ci sono modi di vita giusti e sbagliati. La radice di questa posizione è Aristotele. Lo Stagirita è avversato dai soggettivisti. Ma i filosofi aristotelici hanno in genere avversato l’ideale dell’autenticità, vi hanno visto un allontanamento dagli standard della natura umana, non avevano nessun motivo di articolare l’ideale in questione. Taylor propone come autori per approfondire questo concetto: S. Agostino, secondo cui la strada che conduce a Dio passa attraverso la nostra riflessiva consapevolezze di noi stessi; Shaftesbury, per il quale la moralità ha una voce interna; Rousseau che presenta la questione della morale nei termini di una voce della natura che parla dentro di noi e che dobbiamo seguire.
L’idea di autenticità assume un’importanza cruciale in Herder. Questo filosofo dell’800 è noto per aver parlato della “missione” che ogni nazione deve svolgere in un determinato periodo storico. Ma oltre a ciò, egli afferma che ognuno di noi ha una sua maniera originale di esser uomo. Si tratta di una novità: prima del ‘700 nessuno pensava che le differenze tra gli esseri umani avessero questo tipo di significato morale, c’è un modo di essere uomo che è il mio modo. Sono chiamato a vivere la mia vita in questo modo e non ad imitazione di qualche modo altrui. Ciò conferisce un’importanza nuova alla fedeltà a sé medesimi: se non sono fedele a me stesso, perdo la sostanza della mia vita, perdo ciò che l’essere uomo è per me. Una cruciale importanza morale è questo speciale contatto con se stessi, con la propria natura interna, che si può perdere o non raggiungere.
Aggiungo che altri autori presso i quali è possibile trovare spunti su temi analoghi sono: Heidegger, Jaspers, Scheler, ed anche lo psicologo V. Frankl e l’antropologo Rolando Toro.
Ma come si fa ad entrare in contatto con la nostra interiorità? Secondo Taylor attraverso il dialogo. Questo può essere un modo, ma ve ne sono altri, come la lettura, la riflessione mentale e scritta, la meditazione a-concettuale, la creatività artistica quando diventa anche ricerca di significati, qualunque percorso di crescita e formazione personale e di gruppo.
Franco Carenzo

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