MINUTE DI PASSAGGI DI TEMPO Paesaggi narrativi metatemporali di Italo Arcuri a cura di Vincenzo Capodiferro
MINUTE
DI PASSAGGI DI TEMPO
Paesaggi
narrativi metatemporali di Italo Arcuri
“Minute
di passaggi di tempo” è una raccolta di racconti di Italo Arcuri,
edita da Emia, nel 2017. L’autore di Sant’Agata di Esaro,
giornalista e scrittore impegnato nel sociale, ha già prodotto
diverse opere, tra cui segnaliamo le più recenti: Ambrogio
Donini e la storia delle idee
(2016); Il
Rifiuto. Riano, parole e immagini di una lotta di popolo
(2016); Memme
Bevilatte salvata da Teresa (2014);
Il
corpo di Matteotti
(2013). “Minute” è un lavoro straordinario - a parte l’assonanza
con “minuti”, per cui si ha la stessa radice etimologica che
indica frammento, minimo - in cui l’autore ci offre dei paesaggi
dell’anima, proiettati in un locus
letterario a-spaziale e atemporale, o meglio metatemporale. “Passaggi
di tempo” indica infatti uno sfondo di proiezione introspettiva
diacronica, in cui la temporalità, con tutte le sue estasi - qui
rammemoriamo il paesaggio heideggeriano che si perde nella “Radura”,
nell’”Orizzonte” - si dispiega invece in una rappresentazione
unitaria, in cui vengono riportate tutte le fratture, o le continuità
temporali intensive, proprio come in un marcato paesaggio
impressionista. Come gli impressionisti dipingevano en
plein air
non la realtà così come è, ma come viene percepita dall’occhio
dell’artista, così fa Italo in questo esperimento narrativo, in
cui vengono giustapposte esperienze passatiste e futuriste,
verosimili e realistiche. Il tempo, come diceva Bergson, non è dato
dalla semplice successione spazializzatrice matematica, ma dalla
durata. È l’anima la misura del tempo, come asseriva il grande
Stagirita. Il tempo è il vero vissuto coscienziale, l’erlebnis.
Nel mondo dell’inconscio - come aveva intuito Freud - non vi è la
dimensione temporale ordinaria, ma quella straordinaria, diacronica,
metatemporale. La durata di Bergson ci rimanda direttamente a questo
spazio-tempo dell’anima, che dai tempi di Agostino fino a Freud
diviene il “Fondo dell’anima”, come lo descrivevano i
Romantici, riprendendo un’accezione tipica dei mistici medievali.
Poi vi sono intermezzi poetici significativi, come “Il mio papà”:
«Dava del tu al legno,/ lavorando a testa bassa con riguardo/ Amava
sua moglie con sentimento carico/ levigando affetto e premura …».
Ma guardate ai racconti: la storia di Elsa, questa scrofa che viene
uccisa nei ricordi dell’infanzia tra lo strazio dei bambini che le
si erano affezionati, o la storia di Jamal, il migrante inghiottito
da questo mare famelico, il Mediterraneo, o tanti altri! I racconti
sono per la maggior parte drammatici. In questo esperimento si
risente naturalmente l’indole tipica degli scrittori sudisti, tra
le “sudate carte”. Come in leopardiani “idilli” che
cominciano in gioia e finiscono in noia, o dolore i racconti di Italo
trasudano un velato pessimismo verista, che sa di Verga e di Capuana,
anche nelle proiezioni futuristiche, come in “Il sonno preservato”,
storia di questa ragazza morente che richiede al giudice inglese di
farsi ibernare, cioè eternare come un(a) “Galata morente”. Non
vi è neppure l’illusione del “Velo di Maia” che a Schopenhauer
concedeva veramente dei sollazzi dal dolore. Italo tocca varie
tematiche forti, come il terremoto di Amatrice, il bullismo, le
patologie, etc. E le tocca con lo stesso piglio
storico-giornalistico. Italo fa il giornalista con se stesso. È
bello questo esperimento di auto-giornalismo o auto-storicismo.
D'altronde non dimentichiamo che giornale deriva da “giorno”,
cioè riportare alla luce, all’attualità. Italo ritrae
l’esperienza forte del dolore, di quel fantomatico “male di
vivere” che ha accompagnato una folle folla di nostri letterati del
Novecento. Ci soffermiamo soltanto in alcuni aspetti, che in
particolare ci hanno colpito nella lettura di Minute.
Innanzitutto “L’eredità di un difetto”: «C’è chi nel corso
dell’esistenza eredita case, palazzi e soldi e chi invece riceve in
lascito la sordità. Quando mi è stata diagnosticata l’otosclerosi
ci sono rimasto male, …». Ecco che con stile libero, sciolto,
efficace, chiaro l’artista si lamenta del proprio dolore, un dolore
lancinante, ma un dolore altrettanto prezioso, noi diremmo, nel segno
della Provvidenza: Beethoven
era sordo … eppure! E Goya? Anche i difetti, le imperfezioni,
seppure ereditarie sono tanto preziose nel complesso dell’economia
olistica dell’universo. Sono queste piccole differenze che nella
natura di tutte le cose avvalorano le varie essenze, anzi le
imperfezioni provocano perfezioni maggiori. I più bassi, come
Napoleone, Attila, Stalin, Mozart ed altri diventano alti, etc. Si ha
una metamorfosi, che non è solo “complesso di inferiorità”,
come se Adler avesse ridotto il mondo ad una congerie di impotenti:
tutti afflitti dal complesso
di impotenza,
altro che “volontà di potenza”! Un altro aspetto su cui vogliamo
fare una riflessione è dato da “Chi è del Sud”: «Chi è del
Sud, di tutti i Sud del mondo … Chi è del Sud, di tutti i Sud del
mondo, sa più di ogni altro cos’è l’affetto, l’attenzione e
la presenza …». Anche qui l’autore rimarca la propria sudità,
che è parallela a sordità, etc. Ma la sudità
diviene l’essenza del mondo, il “Sale della Terra”, il sole, la
solarità. È perché c’è quel male, che non è solo male morale,
ma male fisico, anche metafisico, riprendendo Agostino, che il bene
diviene così prezioso ed attento alle nostre esigenze. Il Bene
precede il male e lo valorizza, lo impreziosisce per la redenzione
sociale del debole, del vinto. La voce dei deboli così diviene
forte, e quella dei vinti vincitrice. Il messaggio forte di tutti i
pessimisti in verità ci dice il contrario: il male si trasfigura in
bene. La Ginestra
resiste sulle falde dello Sterminator
Vesevo e
se ne frega di tutta la languente social-catena degli afflitti. E coi
suoi fiori ci deride. «Ecco, io sono più forte di voi,
rammolliti!». La Natura provvede sempre a se stessa, supera ogni
male e il tutto va avanti, sempre, sempre! L’essere del Sud è “per
natura” un tale essere. L’approccio positivistico, o
neopositivistico delle razze/classi/civiltà, chiamatele come volete,
sempre in perenne lotta tra di loro, qui viene perennizzato in un
“Sud di tutti i sud”. Chi è del sud è marchiato a vita, è come
Rosso
malpelo,
o come la scrofa
Elsa,
destinata al macello, o al naufragio, non vi è nulla da fare. E
il naufragar m’è dolce in questo mare,
nel Mediterraneo: questa è la vita!
Vincenzo
Capodiferro
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