30 marzo 2018

UN’ ITALIA CREDIBILE IN EUROPA di Antonio Laurenzano


UN’ ITALIA CREDIBILE IN EUROPA
di Antonio Laurenzano

Quale Italia per l’Europa? Accantonata ogni mirabolante promessa elettorale, si torna alla realpolitik. Per il Governo che verrà c’è il problema di sempre: il ruolo dell’Italia nel processo di integrazione europea. Un’Italia che dopo il voto del 4 marzo risulta politicamente unificata attorno a suggestioni sovraniste per effetto di una precisa scelta elettorale che è espressione della diffusa insicurezza economica (al Sud) e territoriale (nelle regioni del Nord). Nell’elettorato è prevalso un giudizio negativo sulle politiche comunitarie di austerità e sulle mancate risposte alle pressioni migratorie, a conferma di una percezione largamente negativa dell’Ue.
Dopo il voto tedesco e soprattutto quello austriaco, con esiti non proprio rassicuranti per il futuro dell’Unione registrati anche in Olanda, nella Repubblica Ceca e in Slovenia, il voto italiano è una chiara denuncia contro l’Europa intergovernativa che ha causato gerarchie di potere fra i governi nazionali, cancellando di fatto l’interdipendenza (Europa sovranazionale) sancita con il Trattato di Maastricht del 1992. Una latitanza istituzionale che sul piano economico ha favorito gli interessi dei Paesi forti, Germania e i “falchi” del Nord, paladini della stabilità e del rigore, e non della crescita. Sul piano legato al fenomeno migratorio, l’assenza dell’Ue sui controlli delle frontiere e dei flussi ha favorito i Paesi meno esposti ai processi migratori, quelli “predominanti” nelle segrete cose di Bruxelles, lasciando altri, Italia in primis, in un … mare di problemi! Il fallimento dunque del progetto originario di un’Europa unita nel segno della solidarietà con il conseguente rafforzamento di spinte sovraniste sulla scia di una generalizzata protesta popolare, un mix di populismo e di nazionalismo.
Ma la partita certamente più importante è quella che si gioca sul terreno economico-monetario. E’ qui che, a causa della mancata previsione di meccanismi mutualistici di salvaguardia, le tensioni dei mercati finanziari si sono trasferite sui debiti sovrani e viceversa, con un effetto domino che ha generato instabilità soprattutto in quei Paesi, come l’Italia, in forte ritardo sulle riforme strutturali. I grandi sacrifici imposti al Belpaese dalla corsa alla moneta unica avevano riscattato la nostra immagine di “sorvegliati speciali”, finiti da tempo sul banco degli imputati per le svalutazioni competitive, l’inflazione fuori controllo, i tanti aiuti di Stato in odore clientelare. Ma raggiunto l’obiettivo dell’euro abbiamo perso di vista il debito pubblico, un macigno sui conti pubblici che continua fortemente a pesare in un precario quadro economico reso ancor più fragile dalla grande crisi del 2008. Un macigno che condizionerà la futura governance del Paese nella stagione di rilancio dell’Unione europea con l’asse franco-tedesco pronto a promuovere l’integrazione fiscale, finanziaria e politica dell’Eurozona. Un disegno di ampio respiro al quale non potrà mancare il contributo dell’Italia, in un momento particolarmente importante per il futuro dell’Europa, nella consapevolezza che l’alternativa all’integrazione non sarà il ritorno alla piena sovranità nazionale, ma la balcanizzazione del Vecchio continente con il dilagare di piccole patrie regionali incapaci di incidere sulle dinamiche continentali e ancor meno fronteggiare con successo la globalizzazione.
Per chi si insedierà a Palazzi Chigi è il momento delle scelte strategiche. L’Italia, nonostante la ripresa in corso, stenta a decollare nell’Eurozona: il più basso tasso di crescita da venti anni, la minore produttività, il terzo debito del mondo. Per avere voce in Europa, per trovare ascolto a Bruxelles, per rinegoziare trattati e vincoli serve un Governo forte con una chiara linea d’azione per non finire dentro la camicia di forza (Grecia docet!) che gli sarà confezionata da chi ne teme il contagio di possibili destabilizzazioni. Un Governo animato di euroscetticismo e non di spirito di collaborazione con le autorità comunitarie rischierebbe di far saltare il banco e ipotecare per il Paese giorni difficili. Nessuna scommessa, nessun avventurismo ma responsabilità e buonsenso per azzerare le asimmetrie europee e, accantonando ogni demagogico velleitarismo, recuperare alla politica italiana efficacia e credibilità internazionale. Il tempo degli spot è finito!

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