UN’ ITALIA CREDIBILE IN EUROPA di Antonio Laurenzano
UN’ ITALIA CREDIBILE IN EUROPA
di Antonio
Laurenzano
Quale Italia
per l’Europa? Accantonata ogni mirabolante promessa elettorale, si
torna alla realpolitik. Per il Governo che verrà c’è il problema
di sempre: il ruolo dell’Italia nel processo di integrazione
europea. Un’Italia che dopo il voto del 4 marzo risulta
politicamente unificata attorno a suggestioni sovraniste per effetto
di una precisa scelta elettorale che è espressione della diffusa
insicurezza economica (al Sud) e territoriale (nelle regioni del
Nord). Nell’elettorato è prevalso un giudizio negativo sulle
politiche comunitarie di austerità e sulle mancate risposte alle
pressioni migratorie, a conferma di una percezione largamente
negativa dell’Ue.
Dopo il
voto tedesco e soprattutto quello austriaco, con esiti non proprio
rassicuranti per il futuro dell’Unione registrati anche in Olanda,
nella Repubblica Ceca e in Slovenia, il voto italiano è una chiara
denuncia contro l’Europa intergovernativa che ha causato gerarchie
di potere fra i governi nazionali, cancellando di fatto
l’interdipendenza (Europa sovranazionale) sancita con il Trattato
di Maastricht del 1992. Una latitanza istituzionale che sul piano
economico ha favorito gli interessi dei Paesi forti, Germania e i
“falchi” del Nord, paladini della stabilità e del rigore, e non
della crescita. Sul piano legato al fenomeno migratorio, l’assenza
dell’Ue sui controlli delle frontiere e dei flussi ha favorito i
Paesi meno esposti ai processi migratori, quelli “predominanti”
nelle segrete cose di Bruxelles, lasciando altri, Italia in primis,
in un … mare di problemi! Il fallimento dunque del progetto
originario di un’Europa unita nel segno della solidarietà con il
conseguente rafforzamento di spinte sovraniste sulla scia di una
generalizzata protesta popolare, un mix di populismo e di
nazionalismo.
Ma la
partita certamente più importante è quella che si gioca sul terreno
economico-monetario. E’ qui che, a causa della mancata previsione
di meccanismi mutualistici di salvaguardia, le tensioni dei mercati
finanziari si sono trasferite sui debiti sovrani e viceversa, con un
effetto domino che ha generato instabilità soprattutto in quei
Paesi, come l’Italia, in forte ritardo sulle riforme strutturali. I
grandi sacrifici imposti al Belpaese dalla corsa alla moneta unica
avevano riscattato la nostra immagine di “sorvegliati speciali”,
finiti da tempo sul banco degli imputati per le svalutazioni
competitive, l’inflazione fuori controllo, i tanti aiuti di Stato
in odore clientelare. Ma raggiunto l’obiettivo dell’euro abbiamo
perso di vista il debito pubblico, un macigno sui conti pubblici che
continua fortemente a pesare in un precario quadro economico reso
ancor più fragile dalla grande crisi del 2008. Un macigno che
condizionerà la futura governance del Paese nella stagione di
rilancio dell’Unione europea con l’asse franco-tedesco pronto a
promuovere l’integrazione fiscale, finanziaria e politica
dell’Eurozona. Un disegno di ampio respiro al quale non potrà
mancare il contributo dell’Italia, in un momento particolarmente
importante per il futuro dell’Europa, nella consapevolezza che
l’alternativa all’integrazione non sarà il ritorno alla piena
sovranità nazionale, ma la balcanizzazione del Vecchio continente
con il dilagare di piccole patrie regionali incapaci di incidere
sulle dinamiche continentali e ancor meno fronteggiare con successo
la globalizzazione.
Per chi si
insedierà a Palazzi Chigi è il momento delle scelte strategiche.
L’Italia, nonostante la ripresa in corso, stenta a decollare
nell’Eurozona: il più basso tasso di crescita da venti anni, la
minore produttività, il terzo debito del mondo. Per avere voce in
Europa, per trovare ascolto a Bruxelles, per rinegoziare trattati e
vincoli serve un Governo forte con una chiara linea d’azione per
non finire dentro la camicia di forza (Grecia docet!) che gli sarà
confezionata da chi ne teme il contagio di possibili
destabilizzazioni. Un Governo animato di euroscetticismo e non di
spirito di collaborazione con le autorità comunitarie rischierebbe
di far saltare il banco e ipotecare per il Paese giorni difficili.
Nessuna scommessa, nessun avventurismo ma responsabilità e buonsenso
per azzerare le asimmetrie europee e, accantonando ogni demagogico
velleitarismo, recuperare alla politica italiana efficacia e
credibilità internazionale. Il tempo degli spot è finito!
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