LAGGIU’ TRA IL FERRO storie di vita, storie di reclusi di Nicodemo Gentile recensito da Miriam Ballerini
LAGGIU’ TRA IL FERRO
storie di vita, storie di reclusi
di Nicodemo Gentile
© 2017 Imprimatur
ISBN 978 88 6830 631 1 Pag. 174 €15,00
Sono sempre attratta dai libri
veri, che trattano temi che appartengono all’uomo. Dedico la mia scrittura agli
ultimi, e chi, più dei reclusi, appartiene a questa categoria?
Nicodemo Gentile è un avvocato e,
il suo nome, è conosciuto ai più perché legato a storie di cronaca che hanno
riempito i giornali. Ad esempio la vicenda di Sarah Scazzi, oppure Trifone e
Teresa, Roberta Ragusa… solo nomi per chi, come noi, segue questi fatti alla
tv, molto di più per chi è a contatto con questi tragici eventi.
In questo saggio troverete le
sensazioni, le emozioni, di chi si trova dietro alle sbarre.
Troverete i pensieri di Gentile,
di cosa l’abbia portato a fare l’avvocato, di come lo faccia e di cosa questo
significa per lui come uomo.
All’inizio possiamo leggere la
prefazione di Massimo Picozzi, famoso criminologo. Subito m’imbatto in un nome
anche a me noto, un Mauro educatore che, anni fa, è stato il mio “Virgilio”, la
mia guida all’interno di un carcere. Picozzi lo ricorda come quell’amico che lo
ha introdotto in questo mondo.
Verissimo quanto asserisce: “Ogni
istituto penitenziario è un microcosmo con i suoi riti, le sue gerarchie. Non
puoi conoscerlo, e non puoi conoscere chi lo abita, se non entrandoci,
passandoci del tempo. Con l’umiltà di ascoltare e l’intelligenza di sospendere
i giudizi”.
Mi piacciono molto le riflessioni di Gentile, quando
esamina i vari pareri di chi sta fuori e parla del carcere “senza esservi mai
entrato”. Chi non comprende che una persona non è il proprio errore; che quando
si sbaglia, comunque non si diventa altro, ma si resta sempre e comunque un
essere umano.
I temi trattati sono molti: il
suicidio, la malattia, la religione. Tutta quella gamma di necessità e di
emozioni che, anche se reclusi, continuano a fare parte della storia di chi
vive dietro le sbarre. O, per meglio dire: laggiù tra il ferro.
È
anche perfetto quel “laggiù”, perché dà proprio l’idea di una fossa, di una
persona che non solo è rinchiusa, ma quasi spinta in basso, perché deve
sparire, non dare fastidio, non essere più vista.
A tratti troviamo le
testimonianze di alcuni detenuti, non delle loro storie giuridiche, ma del loro
vivere, o non vivere, quotidiano: Salvatore Parolisi, Manuel Winston Reyes,
Angela Biutikova e, anche qui, un’altra mia conoscenza: Carmelo Musumeci. Un
detenuto ostativo che mi ha fatto conoscere il carcere cattivo, perché, ha
detto leggendo il mio libro su questo argomento, tu hai visto e parlato di un
carcere buono. Quello dove la pena finisce.
Ho trovato questo libro onesto e
assolutamente condivido il pensiero dell’autore: chi sbaglia deve essere messo
in condizione di comprendere il proprio errore. Tutto ciò deve passare per la
Giustizia.
Dopodiché è necessario che vi sia
una rieducazione sociale, affinché sia possibile riparare al male fatto.
In molte frasi, pensieri,
riflessioni, mi sono riconosciuta. Oppure ho incontrato eventi che, anche io,
ho avuto modo di vivere. E ho trovato splendida la coscienza morale di un uomo
che non fa semplicemente il suo lavoro, ma lo fa con emozione e umanità.
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