Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” Marco Salvario
Museo
di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”
Marco
Salvario
Personaggio dai molteplici interessi,
ricercatore affamato di regole e scoperte, Cesare Lombroso (1835-1909) ha spesso
turbato, offeso o scandalizzato, chi si è occupato di analizzare le sue
metodologie e i risultati delle sue ricerche. Il mondo accademico, che con
tanto entusiasmo e rispetto aveva accolto le sue opere e che l’aveva ricoperto
di riconoscimenti, in seguito ha in parte ribaltato le teorie da lui proposte,
dimostrandone sistematicamente l’infondatezza se non la malafede.
D’altro canto Lombroso, che non si chiamava
Cesare bensì Marco Ezechia, fu un coraggioso pioniere e cercò con perseveranza
la verità sugli aspetti del comportamento umano che portano a violare le regole
del vivere civile. Il nostro, fondò la sua ricerca sull’analisi delle
caratteristiche fisiche e misurabili dell’individuo alienato o criminale, concentrandosi
in particolare sulle ossa craniche che collezionò, misurò e fece riprodurre in migliaia
di calchi.
Il suo limite fu quello, comune ad altri
scienziati di tutte le epoche e di tutti i campi, di credere con passione cieca
alle proprie intuizioni e, una volta teorizzata una possibile risposta, confermarla
utilizzando i dati e i campioni favorevoli e ignorando completamente quelli che
le erano contrari.
Spinto dal suo entusiasmo, Lombroso arrivò a
identificare le corrispondenze comuni ai criminali violenti, ai ladri, ai
truffatori e alle prostitute, sostenendo che dall’analisi delle ossa craniche
si potesse valutare la propensione o meno ai reati. Ovviamente non basta
misurare la testa di una persona perché una banca possa essere rassicurata sull’onestà
di un suo impiegato o un marito geloso su quella della propria moglie, però il
Lombroso si muoveva in tal senso.
Una delle conseguenze estreme e tuttavia inevitabili
della sua analisi, era che per il criminale, essendo tale non per scelta ma
perché vittima di un “marchio di caino” impresso nel proprio cranio, il carcere
non poteva essere né uno strumento di rieducazione né una pena meritata. Che
colpa aveva il criminale se era nato predestinato a delinquere? Quindi
l’assassino avrebbe cercato ancora di uccidere, il ladro di rubare e la
prostituta di adescare clienti.
Alcune conclusioni cui lo scienziato era
arrivato in campo sociale sono però importanti e attuali, anche se la loro
giustificazione è intuitiva, da uomo che ha lavorato e gestito a lungo carceri
e manicomi, oltre che essere stato medico militare durante la guerra al
brigantaggio.
La condanna feroce che il lavoro dello
scienziato ha subito e che ha reso difficile reperire uno alloggiamento dove
accogliere le testimonianze della sua attività, è in parte dovuta all’utilizzo
distorto e pretestuoso che negli anni successivi è stato fatto delle sue idee,
facendo accusare il Lombroso, tra l’altro, di avere posto le basi per
permettere al nazismo di affermare la superiorità dell’uomo ariano sulle altre
razze: Lombroso, per altro, apparteneva a una famiglia ebrea di stretta
osservanza e, se effettivamente affermò la superiorità dell’uomo bianco europeo
su quello nero africano, è anche vero che tra le razze bianche considerava
superiore proprio quella ebraica.
Ottenuto nel 2001, faticosamente e non senza stucchevoli
polemiche che ancora oggi continuano, un proprio spazio espositivo, il Museo
Lombroso non è un vero museo articolato quanto un contenitore provvisorio per la
gran quantità di materiale che la famiglia Lombroso ha salvato del suo famoso
antenato.
Le collezioni esposte comprendono disegni,
fotografie, calchi, corpi di reato come i coltelli, camuffati da crocifissi,
che banditi vestiti da frati usavano per sorprendere le proprie vittime. Molto
interessante la raccolta di produzioni artigianali e artistiche realizzate dagli
internati, molto spesso riportanti scritte, faticose e ingenue, di pentimento e
rimorso.
Mi prendo qualche riga per una polemica che,
dopo la visita, mi sembra inevitabile. Perché al Museo Lombroso, come in molti
altri, vige il divieto di fotografare? Capisco che si vieti l’uso del flash,
nocivo ai reperti e fastidioso agli altri visitatori. Capisco che si vieti,
pena denuncia, l’uso delle foto senza autorizzazione per scopi commerciali. Non
capisco perché le foto personali, da rivedere come ricordo, da condividere con gli
amici, non debbano essere consentite. Potrebbero essere utili a far conoscere a
più persone un museo che non può competere con i grandi musei di Torino, ma che
pure ha una sua dignità e, insieme al Museo di Anatomia Umana “Luigi Rolando” e
ai modelli del Museo della Frutta, tutti ospitati nel Palazzo degli Istituti
Anatomici, garantiscono al visitatore un pomeriggio curioso e istruttivo.
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