LA FLAT TAX, IL FISCO CHE CAMBIA di Antonio Laurenzano
Con luglio finisce un mese particolarmente “caldo” per i contribuenti. Un ingorgo di scadenze fiscali, oltre cento, fra cartelle esattoriali da rottamare, acconti e versamenti , dichiarazioni dei redditi, rientro dei capitali (“voluntary bis”), cedolare secca per gli affitti brevi, trasmissione e comunicazioni varie. L’ennesima conferma di un ordinamento tributario che da tempo è sotto accusa per la sua inefficienza, per la sua iniquità, ma soprattutto per la sua complessità. Basti pensare alle 124 pagine (da 5.500 battute ciascuna) di istruzioni del modello Redditi 2017! Un vero rompicapo.
Un tema sul quale è in
corso un acceso dibattito nella prospettiva di una riforma
strutturale del Fisco e, in particolare, della tassazione delle
persone fisiche. Su proposta dell’Istituto Bruno Leoni di Milano,
condivisa da alcune forze politiche, si ipotizza un sistema fiscale
non progressivo orientato alla “flat tax”, la tassa piatta, e
cioè una sola aliquota pari al 25% per tutte le principali imposte
del nostro sistema tributario (Irpef, Ires, Iva, imposta sostitutiva
sui redditi da attività finanziarie), correlata al “minimo vitale”
per nucleo familiare. E inoltre, abolizione dell’Irap e dell’Imu,
ridefinizione delle modalità di finanziamento di alcuni servizi
pubblici (sanità) attraverso una redistribuzione del relativo costo.
Obiettivo: stimolare investimenti e sviluppo, semplificare il
rapporto fisco-contribuente, ridurre evasione ed elusione.
Un progetto ambizioso,
molto articolato, che scaturisce dalla consapevolezza che l’imposta
personale sul reddito omni-comprensiva tende sempre più a scomparire
nel gettito tributario. Nel tempo, sono stati infatti esclusi
dall’imponibile i redditi fondiari, i redditi di capitale, i
redditi immobiliari derivanti dalla prima casa di abitazione, tutti
ormai assoggettati a imposta proporzionale o esenti. Più di recente,
ulteriori componenti di reddito sono state sottratte al principio
della progressività: redditi derivanti dalle locazioni immobiliari
per i quali trova applicazione la “cedolare secca” , redditi di
lavoro autonomo inclusi a certe condizioni nel regime forfettario,
redditi delle imprese individuali e delle società di persone
tassabili in misura proporzionale con la nuova Iri (imposta sul
reddito delle imprese). Di fatto, l’attuale imposta sul reddito
delle persone fisiche colpisce in prima battuta i redditi da lavoro e
da pensione e, in misura residuale, quelli non tassati con imposta
proporzionale. Un’imposta dunque non più aderente alla realtà
socio-economica del Paese e alla sue mutate condizioni di crescita,
sempre più diverse rispetto a quelle degli Anni Settanta, gli anni
post Vanoni.
L’Irpef ipotizzata dal
Centro studi Bruno Leoni prevede l’estensione della base imponibile
fino a ricomprendere i redditi attualmente soggetti a cedolare secca
sui canoni di locazione e i redditi catastali di tutti gli immobili
non locati, comprese le abitazioni di residenza. Per i redditi da
lavoro dipendente e da pensione sono previste specifiche deduzioni
con la corrispondente eliminazione delle “spese fiscali”
(detrazioni d’imposta). La nuova imposta garantirebbe un equo
trattamento ai contribuenti meno abbienti con una revisione della
“no tax area” (esenzione da imposta) , bilanciata da un
prevedibile aumento del gettito derivante dalla emersione di base
imponibile in conseguenza della riduzione della pressione fiscale.
Per i ricercatori milanesi si tratterebbe di un cambiamento epocale
del Fisco nel segno della semplificazione e della trasparenza. Una
proposta di riforma radicale che, com’era facile immaginare, ha
alimentato sulle pagine de Il Sole 24 Ore un acceso dibattito con
pareri contrapposti, anche in termini politici.
L’accusa di fondo è la
violazione del principio costituzionale della progressività: “la
proposta della flax tax persegue un obiettivo politico attraverso la
discutibile strada tecnica, ignorando che il concorso alla spesa
pubblica deve essere commisurato alla capacità contributiva. Questa
proposta di riforma con un’aliquota unica del 25% potrebbe non
mantenere i conti pubblici in ordine con il rischio di aumenti al
35-40% , a danno quindi dei piccoli reddituari.” (Enrico De Mita).
Sul fronte dei favorevoli alla riforma si risponde sostenendo che “la
progressività e la redistribuzione vengono garantite con un sistema
calibrato di deduzioni, in sostituzione delle attuali “tax
expenditures”, che tenga conto della capacità reddituale del
singolo nucleo familiare anche mediante trasferimenti monetari”
(Maurizio Leo). Tutti ancora da verificare i punti della proposta
legati agli altri tributi erariali e alla fiscalità locale.
Rivoluzione copernicana o
…. spot elettorale? Ipotesi di studio o, per dirla con le parole
dell’ex Ministro delle Finanze Vincenzo Visco, “messaggio di
indubbio appeal propagandistico”? Superando ogni facile
contrapposizione dialettica (e ideologica), sarebbe auspicabile un
serio dibattito sulla urgenza di riformare il nostro sistema
tributario e restituire al rapporto fisco-contribuente equità e
certezza del diritto.
(C) Antonio Laurenzano
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