STORIE DI “GIROVAGHI, MUSICANTI E MUSICISTI...” a cura di Vincenzo Capodiferro
STORIE DI “GIROVAGHI, MUSICANTI E
MUSICISTI...”
Un pregevole lavoro di
ricostruzione storica di artisti lucani, a cavallo tra Otto e
Novecento.
“Girovaghi, musicanti e
musicisti della valle dell'Agri. Note nel tempo e nello spazio”,
Zaccara, Lagonegro 2013, è un'opera scritta da G. Acinni, T. Armenti
e A. De Stefano. È un'opera bellissima perchè rievoca questi gruppi
che suonavano e giravano per i paesi ed il mondo tra la fine
dell'Ottocento e gli inizi del Novecento in una zona peculiare che è
il cuore della Basilicata: la valle dell'Agri. È inutile ricordare
che la rievocazione dei musicanti si innesta su di una tradizione
antichissima, che risale ai cantastorie medievali, ai bardi ed ai
poeti girovaghi. Questi avventurieri, esploratori, spiriti liberi
ispirati solo dall'arte si spingevano, portati dall'ondata
dell'emigrazione anche oltreoceano. La tradizione delle bande di
suonatori girovaghi è diffusa in tutto il mondo: pensate ai
dervisci, ai danzatori russi, alle bande slave. Ad esempio le
“Slavonic Dances” di Dvorak riprendono il senso di questa
lunghissima e vastissima tradizione popolare. Poi queste bande le
dobbiamo ricollegare anche alla tradizione delle danze classiche
locali, alle tarantelle, come alle pizziche salentine. In questo
contesto il valore storico, culturale, antropologico, allora, di
quest'opera è notevole. La musica aveva un valore centrale nella
società antica, rappresentava il momento più sublime della festa e
del raccoglimento sociale. L'intensità dei componimenti rasentava
anche la libera interpretazione e la creazione sempre perenne di
nuovi ritmi e nuovi testi sonori. A metà tra improvvisazione e
ripetizione, sia “a orecchio” che con veri e propri spartiti
musicali, i suonatori cercavano la controparte corale nel sottofondo
popolare, oltre che nei danzatori, coloro che incarnano la musica
vivente, suprema forma d'arte e di purificazione. Schopenhauer ci
ricorda che la musica è la suprema via di liberazione estetica dal
dolore e lo conferma anche Nietzsche, con la musica - come la
tragedia - apollinea e quella dionisiaca. La musica è al culmine di
tutte le arti in quanto oggettivazione immediata della volontà,
espressione in un linguaggio privo di immagini del tendere incessante
della volontà. Non dimentichiamo che gli antichi erano ballerini
facili e si prestavano bene all'ascolto ed alla danza. In questo
contesto possiamo fare anche un richiamo alle danze bacchiche. Il
ballo, insieme all'arte, aveva un ruolo purificatore, catartico
sociale. Nel testo vi si ricostruiscono le principali bande di
suonatori che operavano nella valle dell'Agri ed a partire da questa.
Riportiamo alcune considerazioni per comprendere meglio il senso di
questa ricostruzione storica: «Nelle
vicende che hanno segnato la storia dell'Arpa di Viggiano non mancano
pagine oscure e dolorose,» vi scrive, a proposito, Vito De Filippo,
ex presidente della Regione Basilicata, storico e scrittore, «come
quelle riferibili alla tratta dei piccoli musicanti girovaghi, alla
quale gli autori, con encomiabile rigore intellettuale, dedicano
alcune delle pagine più belle di questo racconto. Un racconto che ci
rende tutti più ricchi sotto il profilo storico, ma soprattutto un
po' più innamorati della propria terra». Ed in effetti la tratta
dei piccoli musicanti girovaghi era una piaga sociale che poi venne
abolita nel tempo con opportuni provvedimenti legislativi e
giudiziari, come viene riportato nel testo. L'altra piaga che viene
minutamente menzionata è quella dell'emigrazione, oltre al
brigantaggio: «Mamma mia, papa! Domenza, non ti stupire. Ti avevo
accennato che il brigantaggio era anche violenza aperta. In
Basilicata si contavano una settantina di bande».
Accanto alle bande di briganti proliferavano quelle dei musicisti e
sovente le prime aggredivano e rapinavano le altre. Spesso i briganti
rapinavano i pellegrini della Madonna di Viggiano ed, ad esempio,
aggredirono il 13 luglio del 1867 la banda musicale di
Castelsaraceno, composta da 18 elementi, con “serpentoni” e
“pelittoni”, diretti a Sasso di Castalda: «Il
viaggio fu lungo e faticoso. Del resto, gli abitanti di
Castelsaraceno erano abituati a spostarsi in quel modo, tanto che
erano chiamati li zumba
fossi hi Casteddo. Ogni
tanto i mosicanti si fermavano, consumavano la colazione, bevevano
alla cannella e facevano un'allegra suonata, incuranti dei pericoli».
Alla fine furono lasciati in mutande. Il
libro assieme alla celebrazione dell'arte ci propone una denuncia
sociale molto forte che accompagna sempre la nostra storia: la tratta
come viene simbolicamente denominata “degli schiavi bianchi”,
cioè lo schiavismo, il brigantaggio, la grande emigrazione e non
manca il terremoto, emblema della nostra terra. Vi si rievoca quello
del 1857, ma ricordiamo anche la tragedia del 1980. Ma chi erano
questi artisti? «Sono
tanti i protagonisti,» scrivono gli autori, «di queste storie
straordinarie e dalle melodie dal sapore antico: dai musicanti “ad
orecchio” alla tratta dei bambini girovaghi musicanti, dall'arpista
sull'oceano Pasquale Sinisgalli al naufragio del Titanic con Alfonso
Meo Martino, dai fratelli Ramagnano musicisti professionisti a
Saverio Latorraca il poeta mandolinista, dai barbieri musicanti
chitarristi ai musicisti fratelli Montano, dall'arpa popolare di
Rocco Rossetti fino all'ultimo depositario della musica popolare
l'arpista Luigi Milano». Tra tutti questi artisti, noi vogliamo
ricordare, per il legame che ci lega al nostro paesello,
Castelsaraceno, Giuseppe Pugliese, detto Peppo
'i Ciurlo,
il quale suonava il violino insieme all'arpista Egidio Miraglia,
detto Giddiello,
ed ad Ubaldo Fulco, il quale ad Addis Abbeba accolse il generale
Badoglio colla sua chitarra: «Si racconta che Peppo
'i Ciurlo, che
faceva il falegname, durante il lavoro, tranciandosi le dita della
mano, avesse esclamato: “Addiu,
viulinu”!».
Gli autori sono Graziano Acinni, chitarrista, autore, arrangiatore e
produttore di Moliterno, conosciuto per la sua lunghissima
collaborazione come chitarrista del compianto Mango. Nel 2003 ha
fondato il gruppo musicale Ethnos. Ha partecipato a diverse rassegne
musicali, insieme ad artisti famosi, come Vasco, Ligabue, Pavarotti,
Antonacci, Zucchero, Bocelli, Battiato ed altri. Teresa Armenti si
interessa di storia, poesia, saggistica, letteratura e dialetto. Ha
ricevuto vari riconoscimenti a livello nazionale. Collabora con
diverse riviste. Ha scritto molte opere che spaziano dalla poesia
alla storia, dall'antropopolgia alla narrativa. Tra le ultime
ricordiamo “Fedro e la giustizia. 12 favole rivisitate in dialetto
lucano”, Lucaniart 2012; “Aliti d'amore. Vent'anni di
appuntamento con Gesù”, Solofra 2007; “Mio padre racconta il
Novecento”, Solofra 2006. Adamo De Stefano è un appassionato
studioso di tradizioni popolari ed ha condotto diverse ricerche sulla
Basilicata di carattere storico e socio-economico. Interessante a
proposito la sua tesi di laurea: “Dai briganti alla criminalità
organizzata in Basilicata. L'ex isola felice”, un laborioso lavoro
di ricerca sul campo che dimostra la continuità tra brigantaggio e
mafia. In questo contesto possiamo richiamare all'attenzione anche
l'ottimo lavoro di Don Marcello Cozzi “Quando la mafia non esiste”.
Vincenzo
Capodiferro
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