BREXIT, ADDIO ALL’ UNIONE EUROPEA di Antonio Laurenzano
BREXIT, ADDIO ALL’ UNIONE EUROPEA
di Antonio Laurenzano
Dopo la solenne
“Dichiarazione di Roma” firmata in Campidoglio dai 27 Capi di
Stato e di governo in occasione dei 60 Anni dei Trattati del 1957, al
Presidente del Consiglio europeo Tusk è stata consegnata a
Bruxelles la “lettera di addio” dall’Ue del Regno Unito. Si è
così concretizzata la volontà popolare espressa nel referendum
dello scorso giugno quando il 51,9% dei cittadini del Regno votò a
favore del “divorzio”. Si chiude la lunga stagione delle
ambiguità iniziata nel 1973 con l’ingresso nell’Unione della
Gran Bretagna, una storia tormentata, una convivenza difficile. Con
un Pil alla fine degli Anni Cinquanta fra i più bassi d’Europa e
il tasso di disoccupazione tra i più alti, Londra puntò sull’Europa
e indirizzò la domanda di adesione all’allora Cee che venne
rifiutata in due occasioni prima di essere accolta. Un matrimonio
d’interessi spesso in crisi: una prima volta nel 1984 quando la
Lady di ferro, Margaret Thatcher, pretese dalla Comunità europea il
riconoscimento della clausola “our money back”, la restituzione
dei contributi versati per la politica agricola comune (Pac). Ancora
più clamorose e deflagranti la presa di posizione britannica nel
1988 contro la “federalizzazione” dell’Europa, con buona pace
del pensiero di Winston Churchill, nonché l’opt-out dalla moneta
unica, dalla Convenzione di Schengen e dal social chapter, caro a
Jacques Delors, Presidente della Commissione europea.
Una presenza ingombrante
nell’Ue quella del Regno Unito, da sempre “con i piedi in Europa
ma con la testa oltre Oceano”. Un partner critico, arrogante nelle
sue incessanti rivendicazioni sovrane, geloso del crescente potere
politico ed economico della Germania, uno dei sei Paesi fondatori
dell’Unione.
Inizia ora un lungo e
complesso negoziato che in due anni dovrà regolamentare i tanti
rapporti in essere fra Londra e Bruxelles. Nei prossimi giorni il
governo di Theresa May presenterà un testo di legge con l’elenco
delle oltre 19 mila norme comunitarie recepite nel sistema
legislativo britannico che il Parlamento dovrà modificare o
abrogare. Il 29 aprile a Bruxelles il Consiglio europeo, in seduta
straordinaria, concorderà le linee guida del “trattato di ritiro”
che dovrà poi essere ratificato dal Parlamento di Strasburgo. La
trattativa per le condizioni della Brexit si prospetta non semplice.
Le posizioni sono abbastanza rigide, con la prevalenza a Londra di
una “hard Brexit” del Regno Unito non solo dall’Ue ma anche dal
mercato unico. Da Bruxelles si precisa : mai un accordo che mantenga
la libera circolazione di merci,servizi e capitali, ma non delle
persone. Se nessuno recederà da queste posizioni vi sarà il ritorno
delle tariffe e delle dogane ai confini fra il Regno Unito e l’Ue.
Ma la ciliegina è quella che Bruxelles intende mettere sulla torta
da… regalare ai sudditi di Sua Maestà Britannica: il pagamento di
60 miliardi di euro che Londra dovrebbe pagare per onorare tutti i
contratti sottoscritti da Stato membro dell’Unione, per finanziare
il bilancio comunitario (la programmazione in corso copre i sette
anni dal 2014 al 2020), compresi i programmi di coesione e le spese
amministrative (fra le altre, le pensioni dei funzionari europei di
nazionalità britannica). Il rischio è che i negoziati si arenino su
questo punto già nella fase iniziale e che alla fine dei due anni il
Regno Unito esca dall’Ue senza un accordo quadro, con gravi
conseguenze sui tanti interessi in gioco.
A pochi giorni dalla
sfida lanciata a Roma per un’Europa migliore, un’Europa dei
popoli più vicina alle istanze socio-economiche dei cittadini, esce
dalla “casa europea” un condomino “invisibile” sul piano
politico, contrario a ogni forma di integrazione dell’Unione, ma
molto “visibile” su quello economico. Con l’uscita della Gran
Bretagna l’Europa perde la sua seconda economia, il 25% del suo
Pil, la City, la sua prima piazza finanziaria, una grande potenza
militare. “Un momento triste, un momento storico”, sul quale
pende minacciosa la richiesta del Parlamento scozzese di un
referendum bis sulla secessione da Londra in risposta alla Brexit.
Una implicita richiesta di indipendenza della Scozia dal Regno Unito
alla quale potrebbe seguire quella dell’Irlanda del Nord che preme
per ricongiungersi con l’Irlanda.
La premier britannica ha
auspicato una “partnership speciale” con l’Ue che preveda una
efficace cooperazione sul piano economico e della sicurezza, nonché
la reciprocità per la tutela degli interessi di tutti i cittadini.
Ma l’incertezza regna sovrana! Come risponderanno i mercati? Quali
gli effetti sull’import-export? Quale sarà l’andamento dei tassi
di crescita? Per l’Europa un difficile banco di prova: selezionare
priorità e interessi condivisi, rafforzare il debole spirito
unitario, individuare un credibile assetto istituzionale, disegnare
un equilibrato sviluppo economico per azzerate il diffuso
euroscetticismo. Per Londra, alla fine, un’amara verità: nel mondo
globale l’isolamento non è più …. splendido!
Commenti
Posta un commento
I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.