IL CARCERE TI HA FATTO BENE? Carmelo Musumeci
IL CARCERE TI HA FATTO BENE?
Molte
volte il prigioniero è ciò che gli
viene permesso di essere.
(Diario di un ergastolano: www.carmelomusumeci.com)
Spesso chi conosce la mia storia e viene a sapere che sono entrato in
carcere solo con la quinta elementare, ma che ho preso tre laure, che pubblico
libri, che ho ricevuto vari encomi, che svolgo attività di consulenza ai
detenuti e agli studenti universitari nella stesura delle loro tesi di laurea
sul carcere e sulla pena dell’ergastolo,
mi chiedono: “Quindi, il carcere
ti ha fatto bene?”.
Quanto odio questa domanda! Prima
di rispondere penso ai pestaggi che ho subito all’inizio della mia carcerazione.
Ricordo i compagni che si sono tolti la vita impiccandosi alle sbarre della
finestra della loro cella perché il carcere induce i più deboli alla
disperazione. Rammento i lunghi periodi d’isolamento nelle celle di punizione
dove sono stato rinchiuso con le pareti imbrattate di sangue ed escrementi. Mi
vengono in mente le botte che una volta avevo preso per essere rimasto più di
qualche secondo fra le braccia della mia compagna nella sala colloqui. E di
quando avevo dato di matto perché avevo trovato le foto dei miei figli per terra
calpestate dagli anfibi delle guardie. Penso ai numerosi trasferimenti che ho
subito da un carcere all’altro sempre più lontano da casa. Ricordo tutte le
volte che venivo sbattuto nelle “celle lisce” perché tentavo di difendere la mia
umanità. In quelle tombe non c’era niente. Nessuno oggetto. Neppure un
libro. Nessuna speranza. Non vedevo gli
altri detenuti. Li riconoscevo solo dalle grida e dal ritmo dei colpi che
battevano sul blindato. Mi ricordo che avevano degli sbalzi di umore: da un’ora
all’altra, improvvisamente, piangevano e ridevano. Rammento i lunghi anni
trascorsi nel regime di tortura del 41 bis nell’isola degli ergastolani
dell’Asinara. Spesso le guardie
arrivavano ubriache davanti alla mia cella ad insultarmi. Mi minacciavano
e mi gridavano: “Figlio di puttana.”
“Mafioso di merda.” “Alla prossima conta entriamo in cella e
t’impicchiamo”. Dopo di che, mi lasciavano la luce accesa (che io non potevo
spegnere) e andavano via dando un paio di calci nel blindato. Mi trattavano come
una bestia. Avevo disimparato a parlare e a pensare. Mi sentivo l’uomo più solo
di tutta l’umanità.
Per alcuni anni mi ero distaccato dalla vita, lentamente, quasi senza
dolore. Non desideravo e non volevo più niente. Cercavo solo di sopravvivere
ancora un poco. Mi sentivo già morto. E pensavo che non mi poteva capitare nulla
di peggio. Ma mi sbagliavo perché non c’è mai fine al male.
I giorni, le settimane, i mesi e gli anni passavano e io continuavo a
maledire il mio cuore perché, nonostante tutto, lui insisteva ad amare
l’umanità. M’inventai cento modi per sopravvivere.
Adesso posso dire: “Ce l’ho fatta!”. Ma a che prezzo! Scrivevo per vivere
e vivevo se scrivevo. A distanza di venticinque anni, mi domando a volte come ho
fatto a resistere e non riesco ancora a darmi una risposta. Mi vengono in mente
le ore d’aria trascorse nei stretti cortili dei passeggi con le mura alte e il
cielo reticolato, ghiacciati d’inverno e roventi d’estate. Ricordo gli eterni
andirivieni, da un muro all’altro nei cortili, o dalla finestra al blindato
nella cella, sempre pensando che solo la morte avrebbe potuto liberarmi. Ricordo
i topi che mi giravano intorno, gli indumenti, i libri e le carte saccheggiate.
Stringevo i denti per non diventare una cosa fra le cose. È difficile pensare al
male che hai fatto fuori se ricevi male tutti i giorni. Ti consola poco capire
che te lo sei meritato. È vero! Bisogna pagare il male fatto, ma perché farlo
ricevendo altro male?
Dopo aver ricordato tutte queste cose, alla domanda se il carcere mi ha
fatto bene rispondo che il carcere non mi ha assolutamente fatto bene. Se mi
limitassi a guardare solo carcere, posso
dire che non solo mi ha peggiorato, ma mi ha anche fatto tanto
male.
Ciò che mi ha migliorato e cambiato non è stato certo il carcere, ma
l’amore della mia compagna, dei miei due figli, le relazioni sociali e umane che
in tutti questi anni mi sono creato, insieme alla lettura di migliaia di libri
di cui mi sono sempre circondato, anche nei momenti di privazione assoluta. Ed è
proprio questo programma di auto-rieducazione che mi ha aperto una finestra per
comprendere il male che avevo fatto e
avere così una possibilità di riscatto. Molti non lo sanno, ma forse la
cosa più terribile del carcere è accorgersi che si soffre per nulla. Ed è
terribile comprendere che il nostro dolore non fa bene a nessuno, neppure alle
vittime dei nostri reati. Spesso ho persino pensato che il carcere faccia più
male alla società che agli stessi prigionieri perché, nella maggioranza dei
casi, la prigione produce e modella nuovi
criminali.
Se a me questo non è accaduto è
solo grazie all’amore della mia famiglia e di una parte della
società.
Carmelo Musumeci
Dicembre 2016
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