08 novembre 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE Il pensiero del giurista Sabino Cassese di Antonio Laurenzano

       
REFERENDUM  COSTITUZIONALE Il pensiero del giurista Sabino Cassese     
di Antonio  Laurenzano

Conto alla rovescia per il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Entra nel vivo il dibattito sulla controversa riforma della Costituzione. Giornali e televisione impegnati da giorni a dare voce agli  esponenti del “sì” e del “no” per conoscerne le rispettive ragioni. Nelle piazze sono in azione i comitati referendari per catturare, con manifestazioni a volte folcloristiche e improvvisate, il voto degli indecisi. In discussione la riforma costituzionale, un tema di grande rilevanza per il futuro dell’Italia che dovrebbe tenere lontano ogni pregiudizio politico, ogni polemica partitica, ogni riserva sull’azione del governo. Ma così non è, con il rischio di trasformare il voto popolare in un sondaggio di opinione sull’attuale governance del Paese e sul suo premier. Un redde rationem preelettorale alimentato da un ostruzionismo populista, da misere schermaglie personali e dallo spirito di rivalsa dei dinosauri della politica nostrana che non vogliono arrendersi al nuovo che avanza in una realtà socio-economica, ma anche storica,  che non è più quella dei Padri costituenti.
Particolarmente significativa sul tema l’intervista rilasciata da Sabino Cassese, giurista e accademico, giudice emerito della Corte costituzionale. Una voce fuori dal coro per l’originalità del pensiero e l’obiettività delle tesi. Perentoria l’affermazione di apertura: “Giuste le modifiche alla Carta, nessun rischio autoritario!”.  Perché riformare la Costituzione? “L’esigenza di riforma è stata avvertita circa quarant’anni fa. Sono stati fatti molti tentativi, tutti abortiti. La ragione sta nel mutamento del contesto istituzionale generale. Nel 1947, quando la Costituzione fu approvata, non esisteva l’Unione europea e non si era neppure avviata la globalizzazione. Oggi governi e parlamenti nazionali debbono rispettare standard sovranazionali.  Il mondo è cambiato.”
Nodo centrale del dibattito è il superamento del bicameralismo. “Le migliori menti tra i costituenti, dichiara Cassese, erano favorevoli al monocameralismo o a un bicameralismo differenziato. L’esperienza concreta ha mostrato che le due camere hanno operato come un doppione, con maggioranze simili. La funzione di riequilibrio, di bilanciamento, di condizionamento che si vorrebbe svolta dalla doppia rappresentanza è molto meglio svolta oggi dal Parlamento europeo e dai consigli regionali. La semplificazione del procedimento legislativo ordinario consentirà anche di evitare l’abuso della decretazione d’urgenza e di rimettere su basi più corrette il rapporto tra governo e Parlamento”. 
E’ anche una questione di contenimento dei costi delle istituzioni? “Quello della riduzione dei costi diretti non è l’argomento principale a favore della riforma costituzionale. Lo è piuttosto la riduzione dei costi indiretti , quelli che paghiamo per la lentezza del procedimento legislativo con due camere-doppione”.
Sull’accentramento di molte materie sottratte alle Regioni, nodo centrale del dibatto in corso, questa l’opinione del giurista Cassese. “Il punto di partenza non è solo la riforma del Titolo quinto della seconda parte della Costituzione, fatta nel 2001, bensì anche la giurisprudenza quindicennale della Consulta su tale riforma. Ora, la Corte, dinanzi alle violazioni costituzionali delle Regioni, ha dovuto fortemente contenere l’espansione regionale in aree di interesse nazionale e ridefinire i confini relativi alle materie sulle quali legislazione regionale e legislazione nazionale concorrono. La riforma del 2001 operò una scelta, quella di eliminare le materie di legislazione concorrente: lo Stato adotta le norme generali e comuni, le Regioni quelle differenziate e locali. L’esperienza ha poi mostrato che alcune materie erano state trasferite alle Regioni senza considerare il loro carattere nazionale, con conseguenti conflitti istituzionali. La riforma 2016 ridefinisce la linea di confine tra centro e periferia anche sulla base dell’esperienza degli ultimi quindi anni.”
E l’allarme democratico lanciato da alcuni costituzionalisti e da alcune forze politiche? “La riforma costituzionale riguarda due punti del sistema costituzionale: Senato e Regioni. Non tocca il sistema parlamentare, che rimane immutato.  Né tocca il sistema elettorale, che è rimesso a una legge ordinaria. Non si può giudicare la riforma costituzionale prendendo in esame qualcosa che è estraneo ad essa!”
Il giudizio finale di Sabino Cassese sulla riforma costituzionale non ammette dubbi. “Gli oppositori evocano pericoli autoritari che mi paiono inesistenti. Riaffiorano il timore del tiranno e la preoccupazione per il sistema parlamentare. Si mettono insieme lo stile decisionista del governo con la riforma costituzionale, che sono due cose diverse. Se va giudicata la riforma costituzionale in quanto tale, penso che l’abbandono del bicameralismo perfetto o paritario, già auspicato da molti costituenti, e più volte proposto nel lungo processo più che trentennale di discussione sulla Costituzione, sia da approvare”.

Parole chiare, fuori da ogni interesse di bottega, espressione di grande saggezza giuridica. Un approccio di alto profilo per un appello alla libertà di pensiero che dovrà accompagnare in cabina ogni elettore il  4 dicembre chiamato a esprimersi su una importante riforma attesa da tempo, ma non sul Governo e sulla legge elettorale. Un voto contro l’immobilismo istituzionale per un Paese che vuole cambiare. Il responso uscirà dalle urne.      

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