REFERENDUM COSTITUZIONALE Il pensiero del giurista Sabino Cassese di Antonio Laurenzano
di Antonio Laurenzano
Conto alla rovescia per il
referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Entra nel vivo il dibattito
sulla controversa riforma della Costituzione. Giornali e televisione impegnati
da giorni a dare voce agli esponenti
del “sì” e del “no” per conoscerne le rispettive ragioni. Nelle piazze sono in azione i comitati referendari
per catturare, con manifestazioni a volte folcloristiche e improvvisate, il
voto degli indecisi. In
discussione la riforma costituzionale, un tema di grande rilevanza per il
futuro dell’Italia che dovrebbe tenere lontano ogni pregiudizio politico, ogni
polemica partitica, ogni riserva sull’azione del governo. Ma così non è, con il
rischio di trasformare il voto popolare in un sondaggio di opinione
sull’attuale governance del Paese e sul suo premier. Un redde rationem
preelettorale alimentato da un ostruzionismo populista, da misere schermaglie
personali e dallo spirito di rivalsa dei dinosauri della politica nostrana che
non vogliono arrendersi al nuovo che avanza in una realtà socio-economica, ma
anche storica, che non è più quella dei
Padri costituenti.
Particolarmente significativa sul
tema l’intervista rilasciata da Sabino
Cassese, giurista e accademico, giudice
emerito della Corte costituzionale.
Una voce fuori dal coro per l’originalità del pensiero e l’obiettività delle
tesi. Perentoria l’affermazione di apertura: “Giuste le modifiche alla Carta,
nessun rischio autoritario!”. Perché
riformare la Costituzione? “L’esigenza di riforma è stata avvertita circa
quarant’anni fa. Sono stati fatti molti tentativi, tutti abortiti. La ragione
sta nel mutamento del contesto istituzionale generale. Nel 1947, quando la
Costituzione fu approvata, non esisteva l’Unione europea e non si era neppure
avviata la globalizzazione. Oggi governi e parlamenti nazionali debbono
rispettare standard sovranazionali. Il
mondo è cambiato.”
Nodo centrale del dibattito è il
superamento del bicameralismo.
“Le migliori menti tra i costituenti, dichiara Cassese, erano favorevoli al
monocameralismo o a un bicameralismo differenziato. L’esperienza concreta ha
mostrato che le due camere hanno operato come un doppione, con maggioranze
simili. La funzione di riequilibrio, di bilanciamento, di condizionamento che
si vorrebbe svolta dalla doppia rappresentanza è molto meglio svolta oggi dal
Parlamento europeo e dai consigli regionali. La semplificazione del procedimento
legislativo ordinario consentirà anche di evitare l’abuso della decretazione
d’urgenza e di rimettere su basi più corrette il rapporto tra governo e
Parlamento”.
E’ anche una questione di
contenimento dei costi delle istituzioni? “Quello della riduzione dei costi
diretti non è l’argomento principale a favore della riforma costituzionale. Lo
è piuttosto la riduzione dei costi indiretti , quelli che paghiamo per la
lentezza del procedimento legislativo con due camere-doppione”.
Sull’accentramento di molte
materie sottratte alle Regioni, nodo centrale del dibatto in corso, questa
l’opinione del giurista Cassese. “Il punto di partenza non è solo la riforma
del Titolo quinto della seconda parte della Costituzione, fatta nel 2001, bensì
anche la giurisprudenza quindicennale della Consulta su tale riforma. Ora, la
Corte, dinanzi alle violazioni costituzionali delle Regioni, ha dovuto
fortemente contenere l’espansione regionale in aree di interesse nazionale e
ridefinire i confini relativi alle materie sulle quali legislazione regionale e
legislazione nazionale concorrono. La riforma del 2001 operò una scelta, quella
di eliminare le materie di legislazione concorrente: lo Stato adotta le norme
generali e comuni, le Regioni quelle differenziate e locali. L’esperienza ha
poi mostrato che alcune materie erano state trasferite alle Regioni senza
considerare il loro carattere nazionale, con conseguenti conflitti
istituzionali. La riforma 2016 ridefinisce la linea di confine tra centro e
periferia anche sulla base dell’esperienza degli ultimi quindi anni.”
E l’allarme democratico lanciato
da alcuni costituzionalisti e da alcune forze politiche? “La riforma
costituzionale riguarda due punti del sistema costituzionale: Senato e Regioni.
Non tocca il sistema parlamentare, che rimane immutato. Né tocca il sistema elettorale, che è
rimesso a una legge ordinaria. Non si può giudicare la riforma costituzionale
prendendo in esame qualcosa che è estraneo ad essa!”
Il giudizio finale di Sabino
Cassese sulla riforma costituzionale non ammette dubbi. “Gli oppositori evocano
pericoli autoritari che mi paiono inesistenti. Riaffiorano il timore del
tiranno e la preoccupazione per il sistema parlamentare. Si mettono insieme lo
stile decisionista del governo con la riforma costituzionale, che sono due cose
diverse. Se va giudicata la riforma costituzionale in quanto tale, penso che
l’abbandono del bicameralismo perfetto o paritario, già auspicato da molti
costituenti, e più volte proposto nel lungo processo più che trentennale di discussione
sulla Costituzione, sia da approvare”.
Parole chiare, fuori da ogni
interesse di bottega, espressione di grande saggezza giuridica. Un approccio di
alto profilo per un appello alla libertà di pensiero che dovrà accompagnare in
cabina ogni elettore il 4 dicembre
chiamato a esprimersi su una importante riforma attesa da tempo, ma non sul
Governo e sulla legge elettorale. Un voto contro l’immobilismo istituzionale
per un Paese che vuole cambiare. Il responso uscirà dalle urne.
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