LE CARCERI DELLA VERGOGNA di Miriam Ballerini
LE CARCERI DELLA VERGOGNA
Di recente ho letto il libro di
Alfredo Cosco e Carmelo Musumeci “Fuga dall’assassino dei sogni”.
In fondo al romanzo sono state
inserite delle testimonianze di vari detenuti passati, anni fa, nelle carceri
dell’Asinara e di Pianosa.
Nel 1975, in seguito a episodi di
terrorismo, lo Stato introdusse in alcuni istituti penitenziari dei reparti
speciali.
I detenuti che hanno narrato le
loro vicende, si sono trovati a passare in questi reparti negli anni ’90.
Uno dei titoli che sono stati date a queste lettere dice: quando
lo racconteremo, non ci crederanno.
La nostra costituzione prevede che chi commette reato venga
tolto dalla società e, come pena, debba scontare un periodo in carcere. Tale
periodo, deve servire alla comprensione del reato e alla riabilitazione del
soggetto.
Ho sempre creduto fortemente in questo concetto.
Ebbene, leggendo queste pagine… ho scoperto un mondo dove
era consentita la tortura, dove nulla è servito alla correzione dell’uomo, ma,
semmai, all’abbruttimento e all’annientamento dello stesso.
La detenzione consisteva in frequenti pestaggi quotidiani.
In persone lasciate al freddo, col cibo “corretto” da sputi, urina,
preservativi usati, pezzi di vetro… tanto che molti dei detenuti avevano un
importante calo fisico.
Docce consentite solo una volta alla settimana, dove le
guardie si divertivano a lasciare che la persona si insaponasse, per poi levare
l’acqua.
Avevano una bottiglia di acqua al giorno, e solo quella; dai
rubinetti non scendeva acqua potabile.
Alcune persone, se ne ha il forte sospetto, sono state
uccise di botte.
Improvvisamente in queste carceri, i delinquenti erano
quelle persone che indossavano una divisa e che si arrogavano ogni diritto nei
confronti di coloro che avrebbero dovuto custodire e tutelare.
Tutto ciò di fronte a uno Stato che ha consentito che ciò
accadesse e col benestare di medici e altre figure che entravano lì per lavoro
e che facevano finta che tutto fosse regolare.
Quando episodi simili sono accaduti in altri stati, appena
se ne veniva a conoscenza, la stampa e il cinema, correvano a raccontare quanto
accaduto, puntando il dito. Qui da noi… il silenzio. Se non fosse per questi
detenuti che hanno avuto il coraggio di raccontare le loro vicende, nulla
trapelerebbe alla luce del sole.
Qualunque sia il reato commesso, dobbiamo sempre concedere
la possibilità alla redenzione. Siamo in uno Stato di giustizia, non di
vendetta.
Riporto alcune testimonianze che valgono più di tante
parole: “Una volta litigai con un detenuto e mi portarono alle celle
d’isolamento, dove mi conciarono in modo tale da lasciarmi a terra svenuto con
la testa rotta, dal mattino fino al pomeriggio, senza nessun soccorso”.
Antonio de Feo – Detenuto.
“Tra le altre torture c’era il dover correre, quando si
usciva dalla cella, per tutto il primo braccio; io mi trovavo alla nona cella,
il primo braccio era di quindici metri, c’erano altri quindici metri per
arrivare al cancello dell’aria e lì, sistematicamente, si mettevano in
quindici, venti o anche trenta guardie, il numero dipendeva da quante di loro
volevano partecipare al gioco. Ci facevano togliere le scarpe, ci perquisivano,
poi, mentre recuperavamo le scarpe buttate a terra, c’era chi dava una pedata,
chi una manganellata, chi una spinta, chi sputava, chi ci buttava acqua;
capitava si scivolasse nella curva ed erano nuove botte”. Rosario
Indelicato – ex detenuto.
“Nei primi giorni era così tanto il mal di pancia dopo
aver mangiato, che iniziai a nutrirmi solo di pane e frutta, ma poi dovetti
soccombere e vincere la nausea. In seguito apprendemmo che nel nostro cibo ci
mettevano ogni tipo di schifezza: detersivi, cibi scaduti, urina e altro”.
Pasquale de Feo – detenuto.
Credo che leggendo queste righe proviate anche voi lo sdegno
e un dolore particolare che prende allo stomaco. Vero, sono persone che hanno
sbagliato, ma sopra questo c’è che sono esseri umani. Credo che solo chi ha
un’anima nera possa gioire ed essere felice che delle persone abbiano subito
tali torture.
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