Carcere: Sezioni che chiudono e carceri che vanno riempiti... di Francesca de Carolis
Se ne parlava, se ne parlava da qualche tempo.
La parola “trasferimento” aleggiava qua e là, anche quando non pronunciata, tra
le righe. Poi mi arriva la lettera di Pasquale De Feo, che già a prenderla in
mano si capisce che qualcosa non va. Non arriva più dal carcere di Catanzaro.
Il mittente scrive da Massama. Oristano, per intenderci. Profonda Sardegna. “Cara
Francesca, mi scrive, temo che quando verrai a Catanzaro per “l’incontro con
l’autore” non mi troverai. Mi hanno
deportato in Sardegna. Da una settimana sono solo in sezione, dovrebbero
arrivare altri prigionieri. Non me l’aspettavo, anche perché non ho fornito
pretesti… “.
No, sono certa che Pasquale De Feo pretesti non
ne abbia forniti. Ma certo inquieta non poco, il fatto che la prima cosa che
abbia pensato sia una ‘punizione’, di cui non trova logica spiegazione. Come è
difficile trovare una logica, che sia accettabile, nei trasferimenti che si
stanno compiendo in questi giorni. Per radunare tutti insieme i ‘cattivissimi’
delle sezioni di Alta Sicurezza, chiudendo alcune sezioni AS1 sparse qua e là
per l’Italia.
Qualcuno è già andato a infoltire le fila dei
“cattivi” di Opera. Qualcun altro è già stato spedito a Sulmona, il carcere dei
suicidi, come lo chiamano. Molti, se il programma va avanti, finiranno in
Sardegna, a riempire quelle carceri costruite apposta per loro, dalla nostra malsana
italietta, in un periodo piuttosto discutibile. Il piano carceri del 2002-2003
del governo Berlusconi, ricordate? E il filo rosso che, niente di penalmente
rilevante, per carità, ma teneva insieme alcune società nella realizzazione dei più
rilevanti interventi pubblici in Sardegna degli ultimi anni. E dacché sono stati costruite, adesso
andranno ben riempite, quelle carceri… a fare della Sardegna una grande Asinara,
mi viene da pensare…
E i detenuti? L’impressione è che
siano semplicemente delle pedine da spostare in un disumano gioco per riempire
caselle. Come pacchi, come cose. Tutto molto coerente, a dire la verità, con il
processo di reificazione delle persone che, parole a parte, di fatto tende a
incarnare il sistema carcerario.
E invece ci sono i nomi, i volti, e
le storie… A qualcuno dovrà pure importare di questi nomi , di questi volti, di
queste storie. Dovrà pure importare sapere che si tratta di persone in carcere
da decenni e che spesso un percorso in questi anni l’hanno pure compiuto. Come
accade a Padova, ad esempio. Dove si sono compiuti percorsi molto interessanti,
dove c’è un polo Universitario, dove qualcuno si è laureato, dove grazie alla
redazione di Ristretti Orizzonti è stato possibile ricominciare a tessere
relazioni, basta pensare agli effetti positivi degli incontri con le scuole….
Dove, in una parola, si cerca di realizzare quello che pure la Costituzione
chiede, ossia il famoso “recupero”. Che
altro non può essere che riavvicinamento alla società…
Alcuni di questi ‘cattivissimi’
dell’Alta Sicurezza li ho conosciuti, con alcuni, qua e là per l’Italia, ci
scambiamo lettere. Mi raccontano dei loro percorsi, delle difficoltà, delle letture, degli studi che comunque portano
avanti. Nulla a che vedere, vi assicuro , con l’immagine stereotipata su cui
insistono ( ahinoi) i media, del delinquente rozzo e analfabeta. Molti, a
volte, mi mettono in difficoltà, perché tante cose io non le ho studiate… e non
è facile confrontarsi con la nuova forza di chi nello studio ha scoperto nuove dimensioni, di chi nella storia
cerca anche le ragioni della propria vicenda esistenziale… Perché in AS1 si
incontra anche questo e non necessariamente, come ho letto in uno sbrigativo
articolo sui futuri ospiti delle carceri sarde, “pericolosi criminali”.
Ma per i più rimane la condanna all’Alta
sicurezza.
Eppure, c’è qualcosa che non
va, mi sono sempre detta, se dopo decenni di carcere le procure continuano a
negare declassificazioni, inchiodando le persone al momento del reato. Ci sarebbe
da chiedersi, se dopo lunghissime carcerazioni queste persone sono ancora così pericolose, se sono
esattamente quello che erano quando sono entrate, cosa ha mai fatto il carcere?
Non è questo un dichiarare il suo stesso fallimento? La sua inutilità?
Personalmente penso che a volte le mancate declassificazioni siano anche il
risultato di un’attività, e di una pigrizia, del tutto burocratica, che, per
non assumersi responsabilità in merito, inchioda al passato persone che oggi
nulla hanno a che vedere con quello che sono state, indipendentemente dal fatto che siano state o no collaboratori di
giustizia. Che, diciamoci la verità, è scelta processuale e non testimonianza
di vero pentimento. “Il problema rimane
sempre lo stesso, mi scrive da Padova Giovanni Zito, sono convinti che se le
persone non diventano collaboratori di giustizia non potranno cambiare…
comunque sono ancora vivo e fiducioso”. Giovanni Zito… che qualche anno fa ha
scritto un bellissimo racconto, dal titolo ‘Sono Giovanni e cammino sotto il
sole’. Oggi, nella lettera che mi manda annota: “Giovanni ha smesso da tempo di
camminare sotto il sole…”
La verità, permettetemi, da
quello che vedo, da quello che so, è che il carcere non vuole rieducare. Ma
punisce e vessa. E continuo a pensare che
tutto quello che non è privazione della libertà (non è in questo, e scusate se
è poco, che deve consistere la pena carceraria? ), tutto quello che vi si
aggiunge è solo tortura…
E non è tortura spezzare percorsi faticosamente
ricostruiti? Non è tortura dire, senza guardare in faccia nessuno, non mi
interessa capire se sei cambiato, se recido i rapporti ricostruiti, se rendo
ancora più difficile, allontanandoti, i rapporti con i familiari… Già, i
familiari, ad esempio. Che fine faranno i rapporti familiari, già difficili e
tormentati, per chi dovrà essere inseguito fino in Sardegna, ad esempio?
E non è questa punizione che si aggiunge a
punizione? Eppure l’ordinamento stesso riconosce l’importanza dei legami
familiari e il principio della territorialità della pena… e bla bla bla… eppure,
a Mario Trudu, sardo, in carcere da 36 anni, che chiede di avvicinarsi ai suoi
in un carcere della Sardegna, il trasferimento non è concesso…
Ma come può mai insegnare la legalità uno
stato che viola le sue stesse norme? Che riesce, mi ha scritto qualcuno, “ad
essere più cattivo di noi”.
“Ma cosa deve fare un uomo per dimostrare che
non è più ciò che è stato un tempo? (...)
avevo incominciato
a pensare, a sognare, e soprattutto a sperare, dando a mia volta speranza alla
mia famiglia che da ormai ventiquattro anni
mi segue in questo inferno senza fine (...)”. Queste sono le parole di
Giuseppe Zagari, trasferito qualche settimana fa da Padova al carcere dei
suicidi, Sulmona, appunto…
Scusate le tante domande e il tono da predica, ma da quando ho conosciuto qualcosa
della realtà del carcere, me ne vergogno, e
molto... Oggi mi vergogno molto di quest’ultima violenza che viene fatta
a persone che con un colpo di penna rischiano di essere ributtate nel nulla.
Francesca de Carolis
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