09 aprile 2015

FUTURO DELL’ EUROZONA FRA INCOGNITE E INCERTEZZE di Antonio Laurenzano

             
 FUTURO  DELL’ EUROZONA  FRA  INCOGNITE  E  INCERTEZZE
La governance politica per superare logiche  ed egoismi di Stato. La crisi greca e il rilancio monetario della BCE con il “quantitative easing”  - La sconfitta dell’ antieuropeismo -
              di  ANTONIO  LAURENZANO

Stagnazione economica, euro e crisi greca:  i termini di una vicenda attorno ai quali gira il futuro dell’eurozona. Un futuro ancora denso di incognite e incertezze denunciato di recente dall’agenzia di rating Fitch secondo la quale il maggior rischio per la stabilità dell’economia globale non viene né dal rallentamento delle economie emergenti né dalla svolta nella politica monetaria della Fed ma da una nuova crisi dell’eurozona. E non sarà più possibile continuare a costruire ricchezza economica sul debito invece che su un’economia di produzione.    
In realtà, segnali positivi di ripresa in Europa si sono registrati dopo l’intervento della Banca centrale di Francoforte con il “quantitative easing” firmato Mario Draghi: un rilancio monetario per arginare una pericolosa deflazione attraverso l’iniezione sui mercati di un’importante quantità di moneta con la conseguente ulteriore caduta dei tassi d’interesse, il riallineamento dell’euro al dollaro e aumento delle esportazioni europee. Oltre a nuovo ossigeno per le Borse.  
E proprio grazie a questa tanto denigrata e osteggiata Europa si può finalmente sperare di uscire dalla crisi. Grazie cioè all’azione dell’unica istituzione federale di cui l’Unione è dotata, a conferma della necessità di una governance politica dell’Unione in grado di impedire lo scontro tra opposte logiche nazionali che collidono con quelle europee. La governance dell’eurozona infatti si dimostra di fatto irrealizzabile più che per ragioni economico-finanziarie per ragioni istituzionali. Si stanno pagando gli errori del compromesso di Maastricht del 1991 per il varo della moneta unica: centralizzare la politica monetaria, come volevano i tedeschi, e decentralizzare la politica economica, finanziaria, di bilancio, come volevano i francesi. Ovvero: una moneta comune e una pluralità di politiche economiche nazionali, divenute nel tempo ostaggio della politica di austerity del Paese più grande ed economicamente più forte, la Germania. E l’egoismo (o miopia politico-economica?)  di Berlino non paga, serve solo ad alimentare un pericoloso antieuropeismo peraltro clamorosamente sconfitto in Francia e in Spagna in occasione delle ultime consultazioni elettorali.
Non è riuscito infatti il progetto dei partiti populisti di far “implodere” l’Europa. Le elezioni francesi e spagnole hanno invece dato una spinta di rinascita alla coscienza di una politica europea. Quella politica che prima che iniziasse la crisi economica aveva cestinato i valori democratici fondamentali che tengono insieme gli Stati: solidarietà, libertà e diritti civili per tutti, prima fra tutti quelli sociali, evitando le brutali disuguaglianze che invece si sono nel tempo create.
L’auspicabile cambiamento della politica di austerità, causa di profonda stagnazione economica, potrebbe attivare un circolo virtuoso: consumi, investimenti, produzione, occupazione. A condizione, come ha raccomandato Mario Draghi, che si concretizzino le riforme strutturali per la modernizzazione del sistema-Europa. Ma per il rilancio dell’eurozona il problema di fondo rimane quello di affiancare all’unione monetaria un’unione economica e politica per una integrazione molto più profonda e strutturata di quella raggiunta finora, capace di ricucire strappi, divergenze, interessi di parte. E questo, ovviamente, dopo aver risolto il “pasticcio greco”, fra un’Eurozona che pretende il massimo e la Grecia che spera di dare il minimo in cambio degli aiuti di cui ha disperato bisogno per il suo futuro, e quindi per quello della stessa Europa. 
Ma a Berlino o a Bruxelles ci sono leader capaci di porsi all’avanguardia invece che al traino delle loro democrazie nazionali?.... 

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