Paratissima 10 – di Marco Salvario - prima parte
Paratissima 10 – di Marco Salvario
Ogni anno l’organizzazione di Paratissima deve lottare con
le unghie e con i denti per trovare i suoi spazi, combattendo contro la
burocrazia e contro i problemi economici. Quest’anno ha dovuto affrontare spese
di decine di migliaia di euro per recuperare strutture devastate dall’impunita
barbarie che ormai comanda a Torino. Tra il MOI al Lingotto, utilizzato negli
ultimi anni, e il Palazzo di Torino Esposizioni al Valentino, la scelta è
caduta su quest’ultimo solo perché lì i lavori di ripristino erano meno
onerosi.
Peccato! Paratissima aveva fatto una sua bandiera della
capacità di individuare e recuperare spazi espositivi nuovi, mentre l’utilizzo
della struttura di Palazzo Esposizione è un percorrere strade già tracciate da
altri e perdere parte della propria diversità: auguriamoci non siano i tasselli
di un’omologazione di fatto, la perdita delle peculiarità che erano il suo
marchio distintivo.
Questo non toglie che l’ambiente, creato appositamente per ospitare
mostre e manifestazioni, si sia rivelato adatto e sia stato gestito ottimamente.
Dispiace vedere che l’età degli artisti, almeno questa è la
sensazione, continui ad aumentare, come se la generazione che sta maturando,
delusa, demotivata e nata stanca, neppure sul piano della creatività reagisca
alla propria condizione. Non vale per tutti, vale per troppi.
I problemi non hanno impedito che la risposta del pubblico
nei quattro giorni di apertura, dal 5 all'8 novembre 2014, sia stata grandiosa:
se giovedì pomeriggio, con alcuni espositori ancora impegnati a sistemare le
proprie opere, il pubblico era già numeroso, il sabato ho rinunciato ad
affrontare la coda di persone lunga duecento metri che era in attesa davanti
all’ingresso.
Prima di iniziare la mia personale analisi dell’evento, come
per gli anni passati premetto alcune puntualizzazioni.
Le segnalazioni e i giudizi che leggerete in quest’articolo
sono pareri personali e riguardano solo opere di artisti che mi hanno colpito
favorevolmente. Se vi ho citati, è perché mi siete piaciuti. Se non si parla di
voi, cari artisti di ogni età, rendetevi conto che l’offerta era ampia e
composita. Ho camminato quattro ore, ma non ho visto tutto: sicuramente nel mio
non visto ci saranno state opere che
avrei potuto apprezzare e lodare, invece il destino ha voluto diversamente.
Mi sono soffermato esclusivamente su opere di pittura,
scultura, grafica e fotografia, mentre non parlerò di multimedialità, moda,
design, musica ecc.
L’elenco che segue non è una classifica: è venuto fuori così,
dalla sistemazione casuale delle fotografie che avevo scattato.
Simone Benedetto
Con quest’artista avevo iniziato l’analisi di Paratissima
2013 e con lui inizio Paratissima 2014.
Inutile fare giri di parole: Simone Benedetto è bravo, piace,
sa provocare ed esprimere il suo disagio, usa l’arte come un megafono. Ormai lo
si deve considerare un maestro e un esempio da seguire per chi cerca di farsi
strada in un mondo artistico dove molti si cimentano, ma pochissimi riescono a
ritagliarsi un proprio spazio.
L’opera che ha destato maggiore interesse tra quelle esposte
è stata “Welcome”: un acquario alto 180 centimetri e con base quadrata di
80x80. Nell’acquario, tra tanti pesciolini agitati, un corpo sospeso, morto,
probabilmente affogato. La sua immobilità grigia nel movimento colorato dei
pesci. La morte dell’uomo e, intorno, la natura che vive e riconquista i suoi
spazi. L’uomo che, nonostante i suoi sforzi di dominare, soccombe e, nella
morte, ritrova serenità e compostezza.
Le luci tenui di Paratissima, non volontà artistica ma triste
necessità legata al risparmio, creavano nell’acqua giochi cangianti di
chiaroscuri e riflessi.
Nello spazio giustamente dedicatogli come vincitore del “Toro d’Acciaio”, miglior artista di
Paratissima 2013, anche le installazioni “Identity for sale”, dove la denuncia di
Simone Benedetto è contro la società di internet, giungla moderna dove cui
ognuno può vedere la propria identità personale assorbita, clonata, comprata, catturata
in una trappola disumanizzante che trasforma gli uomini in una merce senza
diritti.
Renato Sabatino
Simone Benedetto aveva presentato a Paratissima l’anno
scorso il suo intrigante “Piovrilla”, opera acquistata dal bioparco Zoom: quest’anno
sembra seguirne le orme Renato Sabatino, finalista nel progetto ZOOMaginario
con l’opera HG-80, per dirla tutta: “Gerrhosaurus
Hydrargyrum, Hg-80”. “Animale fantastico”, lo definisce l’autore, realizzato
con “mercurio alieno” e, conclude malizioso, si tratta di “un animale potenzialmente feroce ma di natura
pacifica.”
In questa natura contraddittoria
di drago che intimidisce e domestico compagno di giochi, “Hg-80” è opera
riuscita e convincente, anche se non troppo originale.
Lavori diversi, realizzati dallo stesso autore, sono le due terrecotte
“Compressione cubica” e “Compressione cilindrica”, dove trionfa l’allegoria
della creazione artistica trasformata in una riproduzione industriale, materia destinata
ad annullarsi e riciclarsi, come autovetture pressate in blocchi di ferraglia e
plastica da smaltire.
La perfezione della realizzazione geometrica e cromatica
lascia piacevolmente meravigliati.
Silvia Manazza
Tra gli originali alla ricerca pazza e geniale di nuovi
materiali con cui esprimere la propria creatività, mi mancava Silvia Manazza,
artista dal curriculum di tutto rispetto, con la sua opera “Italia, Inizio III
millennio consolle con specchiera, stile post-consumismo”, realizzata con
stoffa riciclata da vecchi materassi.
Opera simpatica, ironica, ben strutturata, che s’inserisce in
un processo di studio e ricerca complesso e attento. Nel ricreare forme di un
passato ricco e ostentato con materiali comuni e anch’essi prossimi
all’abbandono per soluzioni sempre più moderne (chi, oltre a me, dorme ancora
su materassi di lana?), si gioca il fragile equilibrio tra il bisogno di
mantenere i valori di un passato che sarebbe da superficiali volere dimenticare
e l’adattarsi a un presente che, nel momento in cui lo si fissa in una
creazione, è già anch’esso superato.
Molto intensa e inquietante l’opera “Voce bianca”, in cera,
stoffa e tulle. Risata o grido, innocenza o sguaiata provocazione, in una
figura di sposa bambina o in un’anima senza riposo o in una creatura non nata,
che lacera lo spazio e il tempo.
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