09 dicembre 2014

Paratissima 10 – di Marco Salvario - prima parte


Paratissima 10 – di Marco Salvario

Ogni anno l’organizzazione di Paratissima deve lottare con le unghie e con i denti per trovare i suoi spazi, combattendo contro la burocrazia e contro i problemi economici. Quest’anno ha dovuto affrontare spese di decine di migliaia di euro per recuperare strutture devastate dall’impunita barbarie che ormai comanda a Torino. Tra il MOI al Lingotto, utilizzato negli ultimi anni, e il Palazzo di Torino Esposizioni al Valentino, la scelta è caduta su quest’ultimo solo perché lì i lavori di ripristino erano meno onerosi.
Peccato! Paratissima aveva fatto una sua bandiera della capacità di individuare e recuperare spazi espositivi nuovi, mentre l’utilizzo della struttura di Palazzo Esposizione è un percorrere strade già tracciate da altri e perdere parte della propria diversità: auguriamoci non siano i tasselli di un’omologazione di fatto, la perdita delle peculiarità che erano il suo marchio distintivo.
Questo non toglie che l’ambiente, creato appositamente per ospitare mostre e manifestazioni, si sia rivelato adatto e sia stato gestito ottimamente.
Dispiace vedere che l’età degli artisti, almeno questa è la sensazione, continui ad aumentare, come se la generazione che sta maturando, delusa, demotivata e nata stanca, neppure sul piano della creatività reagisca alla propria condizione. Non vale per tutti, vale per troppi.
I problemi non hanno impedito che la risposta del pubblico nei quattro giorni di apertura, dal 5 all'8 novembre 2014, sia stata grandiosa: se giovedì pomeriggio, con alcuni espositori ancora impegnati a sistemare le proprie opere, il pubblico era già numeroso, il sabato ho rinunciato ad affrontare la coda di persone lunga duecento metri che era in attesa davanti all’ingresso.

Prima di iniziare la mia personale analisi dell’evento, come per gli anni passati premetto alcune puntualizzazioni.
Le segnalazioni e i giudizi che leggerete in quest’articolo sono pareri personali e riguardano solo opere di artisti che mi hanno colpito favorevolmente. Se vi ho citati, è perché mi siete piaciuti. Se non si parla di voi, cari artisti di ogni età, rendetevi conto che l’offerta era ampia e composita. Ho camminato quattro ore, ma non ho visto tutto: sicuramente nel mio non visto ci saranno state opere che avrei potuto apprezzare e lodare, invece il destino ha voluto diversamente.
Mi sono soffermato esclusivamente su opere di pittura, scultura, grafica e fotografia, mentre non parlerò di multimedialità, moda, design, musica ecc.
L’elenco che segue non è una classifica: è venuto fuori così, dalla sistemazione casuale delle fotografie che avevo scattato.


Simone Benedetto

Con quest’artista avevo iniziato l’analisi di Paratissima 2013 e con lui inizio Paratissima 2014.
Inutile fare giri di parole: Simone Benedetto è bravo, piace, sa provocare ed esprimere il suo disagio, usa l’arte come un megafono. Ormai lo si deve considerare un maestro e un esempio da seguire per chi cerca di farsi strada in un mondo artistico dove molti si cimentano, ma pochissimi riescono a ritagliarsi un proprio spazio.
L’opera che ha destato maggiore interesse tra quelle esposte è stata “Welcome”: un acquario alto 180 centimetri e con base quadrata di 80x80. Nell’acquario, tra tanti pesciolini agitati, un corpo sospeso, morto, probabilmente affogato. La sua immobilità grigia nel movimento colorato dei pesci. La morte dell’uomo e, intorno, la natura che vive e riconquista i suoi spazi. L’uomo che, nonostante i suoi sforzi di dominare, soccombe e, nella morte, ritrova serenità e compostezza.
Le luci tenui di Paratissima, non volontà artistica ma triste necessità legata al risparmio, creavano nell’acqua giochi cangianti di chiaroscuri e riflessi.
Nello spazio giustamente dedicatogli come vincitore del “Toro d’Acciaio”, miglior artista di Paratissima 2013, anche le installazioni “Identity for sale”, dove la denuncia di Simone Benedetto è contro la società di internet, giungla moderna dove cui ognuno può vedere la propria identità personale assorbita, clonata, comprata, catturata in una trappola disumanizzante che trasforma gli uomini in una merce senza diritti.



Renato Sabatino

Simone Benedetto aveva presentato a Paratissima l’anno scorso il suo intrigante “Piovrilla”, opera acquistata dal bioparco Zoom: quest’anno sembra seguirne le orme Renato Sabatino, finalista nel progetto ZOOMaginario con l’opera HG-80, per dirla tutta: “Gerrhosaurus Hydrargyrum, Hg-80”. “Animale fantastico”, lo definisce l’autore, realizzato con “mercurio alieno” e, conclude malizioso, si tratta di “un animale potenzialmente feroce ma di natura pacifica.”
In questa natura contraddittoria di drago che intimidisce e domestico compagno di giochi, “Hg-80” è opera riuscita e convincente, anche se non troppo originale.
Lavori diversi, realizzati dallo stesso autore, sono le due terrecotte “Compressione cubica” e “Compressione cilindrica”, dove trionfa l’allegoria della creazione artistica trasformata in una riproduzione industriale, materia destinata ad annullarsi e riciclarsi, come autovetture pressate in blocchi di ferraglia e plastica da smaltire.
La perfezione della realizzazione geometrica e cromatica lascia piacevolmente meravigliati.



Silvia Manazza

Tra gli originali alla ricerca pazza e geniale di nuovi materiali con cui esprimere la propria creatività, mi mancava Silvia Manazza, artista dal curriculum di tutto rispetto, con la sua opera “Italia, Inizio III millennio consolle con specchiera, stile post-consumismo”, realizzata con stoffa riciclata da vecchi materassi.
Opera simpatica, ironica, ben strutturata, che s’inserisce in un processo di studio e ricerca complesso e attento. Nel ricreare forme di un passato ricco e ostentato con materiali comuni e anch’essi prossimi all’abbandono per soluzioni sempre più moderne (chi, oltre a me, dorme ancora su materassi di lana?), si gioca il fragile equilibrio tra il bisogno di mantenere i valori di un passato che sarebbe da superficiali volere dimenticare e l’adattarsi a un presente che, nel momento in cui lo si fissa in una creazione, è già anch’esso superato.
Molto intensa e inquietante l’opera “Voce bianca”, in cera, stoffa e tulle. Risata o grido, innocenza o sguaiata provocazione, in una figura di sposa bambina o in un’anima senza riposo o in una creatura non nata, che lacera lo spazio e il tempo.

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