La protesta antisanzionista del regime di Vincenzo Capodiferro
L’ITALIETTA ALL’IMPRESA D’ETIOPIA
La protesta antisanzionista del regime
Nel 1916 diviene imperatrice
d’Etiopia Zauditù, figlia di Menelik. Il reggente è il ras Tafari Makonnen, il
quale nel 1928 assume il titolo di negus neghesti, cioè re dei re e
viene incoronato imperatore col nome di Hailè Selassiè I nel 1930. I ripetuti
incidenti di frontiera tra soldati italiani ed abissini sono solo l’ultima
goccia che fa traboccare il vaso della guerra italo-etiopica. Già nel caldo
autunno del 1935 il regime fascista inaugura una vera e propria azione di
penetrazione nell’impero etiopico. Gli incidenti provocati ai pozzi di petrolio
di Ual-Ual in Abissinia danno a Benito Mussolini il pretesto formale per
invadere il corno d’Africa e così allungare lo stivale d’Italia. Le truppe
italiane, grazie alla superiorità delle armi e degli effettivi, riescono
facilmente a rompere la debole resistenza abissina. Il 6 maggio del 1936
l’esercito italiano entra trionfalmente ad Addis Abeba. Il 9 maggio Mussolini
proclama la fondazione dell’Impero. Il re Vittorio Emanuele III assume il
titolo di imperatore d’Etiopia. L’impresa d’Etiopia è la seconda felice impresa
coloniale italiana, dopo quella di Libia, voluta da Giovanni Giolitti per
accontentare i nazionalisti. Il 18 ottobre del 1912, con la pace di Losanna, la
Turchia riconosce la sovranità italiana in Libia. Nel 1909 Enrico Corradini
aveva organizzato l’Associazione Nazionalista Italiana (ANI), cui aveva aderito
anche Gabriele D’Annunzio. Contro l’«Italietta meschina e pacifista» il vate
italico aveva propugnato, invece, una Superitalia antidemocratica e
onnipotente. Mussolini così finalmente aveva portato a compimento l’antico
piano della guerra d’Africa (1885-1896), che si era conclusa con la clamorosa
disfatta di Adua il 1 marzo del 1896, la quale era costata tanto da far
dimettere lo stesso Francesco Crispi. Subito dopo l’aggressione all’Etiopia, la
Società delle Nazioni, per iniziativa della Gran Bretagna, imperialista per
eccellenza, impone all’Italia le sanzioni economiche. Non è la lotta contro
l’imperialismo, ma è la lotta tra due imperialismi. Alla base dell’imperialismo
britannico vi è la concezione puritana, calvinista e capitalista. Già nel 1651
il Lord Protettore Oliviero Cromwell, con l’Atto di Navigazione, aveva sancito
che il trasporto di tutte le merci da e per l’Inghilterra doveva essere
effettuato soltanto su navi inglesi. La coscienza imperiale è rafforzata dalla
convinzione di essere chiamati a promuovere in tutto il mondo il progresso e la
civiltà sottomettendo le nazioni. Tommaso Carlyle (1785-1881) pone le basi
ideologiche della missione universalistica della nazione eletta degli inglesi.
Charles Dilke (1843-1911) parla di un mondo che va anglicizzandosi sempre di
più. È ciò che di fatto sta accadendo oggi: l’inglese è diventato la lingua
globale. E così altri, come R. Seeley e R. Kipling: il fardello dell’uomo
bianco. È l’apoteosi di una
missione nazista “ante litteram”. Non diversamente in altre nazioni si sviluppa
questo complesso di superiorità. In Germania possiamo citare Fichte, Hegel e
Nietzsche. In Italia possiamo citare Gioberti, con il suo “Primato”.
L’imperialismo fascista, invece, trovava la sua naturale giustificazione nella
rievocazione retorica della romanità perduta. Il Mediterraneo doveva ridiventare
Romano. Già nell’aprile del 1926 in un discorso tenuto a Tripoli il Duce
aveva esaltato il Mare Nostrum
ed aveva contrapposto i regimi fascisti a quelli democratici. Ma c’è di
più. «La mia dottrina,» scrive Mussolini nel 1932, «era stata la dottrina
dell’azione. Il fascismo nacque da un bisogno di azione e fu azione». La
mitizzazione dell’attivismo come forza motrice della storia era stata ispirata
al Figlio del Fabbro da un lato da George Sorel, il quale, portando alle
estreme conseguenze il marxismo rivoluzionario, vedeva nella lotta e nella
violenza spontanea delle masse l’unico mezzo di redenzione sociale. Dall’altro
lato era stata ispirata da Alfredo Oriani (1852-1909), sostenitore di una
missione imperiale e civilizzatrice dell’Italia nel mondo. Paradossalmente il
fascismo è figlio del socialismo al pari del comunismo. Dopo l’impresa
d’Etiopia il sempre più fermo atteggiamento britannico contro l’espansione
fascista nel Mediterraneo induce il Duce a riavvicinarsi alla Germania di
Hitler. Così si spiega l’intervento nel luglio del 1936, in accordo col Fuhrer,
nella guerra civile spagnola a favore di Franco. Mussolini invia reparti di
“volontari”, costretti a partire, nonché convogli di materiale bellico.
L’Italia si disinteressa all’indipendenza austriaca ed addirittura approva
l’Anschluss nel marzo del 1938. Non dimentichiamo che lo stesso Mussolini si
era opposto ai piani nazisti. Il 7 giugno del 1933 per iniziativa del Duce
viene firmato a Roma il Patto delle Quattro Potenze: Francia, Inghilterra,
Germania e Italia si impegnano a mantenere la pace. A pensare che nel luglio
del 1934, quando fallisce il putsch di Vienna per l’Anschluss alla Germania,
Mussolini invia due divisioni al Brennero e si impegna a garantire
l’indipendenza dell’Austria e nell’aprile del 1935 nella Conferenza di Stresa,
Italia, Francia e Gran Bretagna, condannano apertamente la violazione degli
obblighi della Società delle Nazioni da parte della Germania e riaffermano lo
spirito pacifista di Locarno. L’impresa d’Etiopia e il conseguente
atteggiamento inglese nei confronti dell’Italia fa invertire l’asse delle
alleanze in Europa. Mussolini abbandona la tradizionale linea d’intesa con la
Francia e l’Inghilterra, già seguita dal Giolitti, e si rivolge alla Germania,
come aveva fatto, invece, Crispi con Bismarck. Come al trionfo del Secondo
Reich l’”Italietta meschina e pacifista” si fa ammaliare dalla Germania, così
accade all’apoteosi del Terzo Reich. Hitler diviene il nuovo protagonista della
storia d’Europa e tutti stanno a guardare attoniti e perplessi alla
resurrezione della fenice. Anche oggi vi è una resurrezione economica della
Germania: Germania capta ferum victorem coepit. La Germania ha
riconquistato l’intera Europa in termini economici, non vi è nulla da eccepire
in ciò. Ma torniamo agli anni ’30. La stessa Francia ed Inghilterra, con la
coscienza sporca di Versailles, perseguono la politica dell’appeasement: la
pace a tutti i costi. C’è una differenza di fondo però: mentre Bismarck era un
abile statista, Hitler un guerrafondaio. Il conflitto abissino rompe il fronte
di Stresa. Il premier Laval assume un atteggiamento molto ambiguo: innanzitutto
partecipa alle sanzioni inflitte all’Italia dalla Società delle Nazioni.
D’altro canto però avanza una proposta di mediazione che trova il suo seguito
nell’accordo italo-britannico dell’aprile del 1938: l’Inghilterra riconosce la
sovranità italiana in Abissinia, in cambio Mussolini si impegna a ritirare le
truppe italiane della Spagna alla fine della Guerra Civile. I rapporti franco-italiani
comunque si incrinano sempre di più. Il 6 novembre del 1937 l’Italia aderisce
al patto anti-comintern, firmato l’anno
prima dalla Germania e dal Giappone. Hitler offre a Mussolini un’alleanza,
sancita poi il 22 maggio del 1939, col noto Patto d’Acciaio. L’Italia e la
Germania si impegnano ad intervenire militarmente in caso di guerra.
Nell’aprile dello stesso 1939, l’Italia occupa l’Albania. Il presidente della
repubblica albanese Ahmed Zogu a partire dal 1925 aveva abbandonato la
tradizionale politica filo-slava e si era avvicinato all’Italia. Con i patti di
Tirana nel 1927 il paese cade sotto la tutela italiana. Nel 1928 il presidente
diventa re Zohu. Eppure viene detronizzato e Vittorio Emanuele III assume anche
il titolo di re di Albania, oltre che di imperatore d’Etiopia. Allo scoppio
della seconda guerra mondiale, il 1 settembre del 1939, l’Italia proclama la
non belligeranza. Eppure dopo il crollo delle difese francesi, Mussolini, certo
della vittoria tedesca, dichiara guerra alla Francia ed all’Inghilterra.
Sappiamo poi come va a finire. Però anche all’interno delle logiche belliche i
piani del Duce erano molto chiari: conquistare le colonie inglesi in Africa, in
modo da allungare lo Stivale al Corno, e ritagliarsi uno spazio vitale nei Balcani.
Fu il fallimento della campagna di Grecia da parte delle milizie fasciste a
trascinare il Fuhrer nella campagna balcanica. Questa campagna, vinta grazie ai
carri tedeschi, più che ai muli italiani che trasportavano ancora le baionette
del 1915, frutta all’Italia la costa dalmata e il Montenegro, mentre la Croazia
è retta dal duca Aimone da Spoleto e la Grecia amministrata da italiani e
tedeschi. Nel settembre dello stesso 1940 l’avanzata italiana in Egitto viene
frustrata dalla controffensiva inglese. Ciò trascina il Fuhrer nella campagna
d’Africa, ove il nuovo Kaiser invia l’Afrikakorp guidato dall’abile Erwin
Rommel, la volpe del deserto. L’impresa d’Etiopia paradossalmente trascina
l’Italia nel vortice della Germania nazista. Mussolini che aveva goduto di una
certa fama a livello internazionale, soprattutto in Inghilterra, e ne sarebbe
stato testimonianza il carteggio Churchill-Mussolini, perde di credibilità di
fronte all’imperialismo inglese. L’Inghilterra d’altra parte, perseguendo
ancora la settecentesca politica dell’equilibrio, non aveva interesse in
Europa, ma non voleva essere disturbata nelle colonie. L’Italia stava
disturbando l’imperialismo inglese. Le colonie non portarono alcun beneficio
all’Italia, se non quello retorico di avere il posto al sole, come avevano
fatto le maggiori potenze europee, né l’Etiopia, né la Libia, lo scatolone di
sabbia. Riportiamo in ultima analisi, alcuni inni fascisti antisanzionisti, per
rendere più vivo il contesto storico di cui stiamo discutendo. Documenti:
«Padre nostro. Pirata nostro che sei inglese, sia maledetto il nome tuo, venga
a crollare per sempre il regno e
l’impero tuo. Sia sanzionata la volontà e la bestialità tua, come in mare così
in terra. Lascia per oggi e per sempre le tue mire sul nostro posto al sole.
Rimborsaci i nostri crediti del 1915 e del 1918. Come il Negus, nostro
debitore, ci rimborserà a noi. Così sia» (Antisanzionista 1935). «Credo. Io
credo in Lucifero inglese e delinquente, creatore delle rapine e dei massacri,
ed in Eden suo figliolo plurimo nostro boia, concepito per opera dello spirito
massonico. Nacque dalla Società delle Nazioni, patì con Ponzio Pilato, ma non
morì, né fu sepolto e neppure dopo tre giorni crepò, ma scese all’Inferno, alla
destra del padre suo, che giudicherà quanto sia stupido, compresi i suoi degni
compagni Litrinof, Benes, Titulescu» (Antisanzionista 1935). «Ave Maria. Ave
Maria, gratia plena, fa che non suoni più la sirena, fa che non vengano gli
aeroplani, fa che stia bene fino a domani, ma se una bomba vuol venire giù,
Santa Maria pensaci tu. Gesù, Giuseppe e Maria, fate che gli Inglesi perdano la
via. Così sia» (Ave Maria, 1942). «In nome del duce, la sera senza luce, il
giorno senza pane, la notte cogli aeroplani. Credo in Dio, Signore del cielo e
della terra, credo nella sua giustizia e nella sua verità, credo nella
resurrezione dell’Italia tradita, credo nel fascismo e nella nostra vittoria.
Alle armi! Popolo italiano! Per l’onore e per la libertà» (Radio-Repubblica di
Salò, 1944). Abbiamo riportato alcune significative testimonianze popolari di
protesta antisanzionista, fomentata naturalmente al regime fascista. Per il
resto citiamo alcune considerazioni di Denis Mack Smith: «Essendosi l’opinione
pubblica italiana completamente sconcertata per le sconfitte della Libia e
della Grecia, Mussolini dichiarò che aveva scarsa fiducia nella razza italiana,
troppo facile al sentimentalismo. Giunse persino a dire che gli italiani erano,
secondo lui, una razza di pecore. Vent’anni di fascismo non erano bastati a trasformarli;
sarebbero stati necessari venti secoli. Il suo tentativo di galvanizzare la
popolazione e di farle adottare il nuovo stile fascista era evidentemente
fallito» (Storia d’Italia 1861-1958, Bari 1959, p. 753).
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