Carmelo Musumeci, Zanna blu le avventure nella recensione di Annamaria Cotrozzi
Carmelo
Musumeci, Zanna Blu. Le avventure Gabrielli
Editore
Recensione di Annamaria Cotrozzi*
Impreziosito dalla presentazione di
Margherita Hack, il libro della avventure del lupo Zanna Blu è un avvincente racconto-metafora
non facilmente riconducibile a un unico e preciso genere letterario, e
altrettanto non facilmente definibile in riferimento alla tipologia di lettori
a cui può essere rivolto. Certamente le singole storie (inanellate a formare un
piccolo romanzo mediante una tecnica raffinata che, proprio nella chiusa di
ognuna, colloca il finale provvisorio che sarà ripreso, con le stesse parole,
all’inizio della successiva) hanno i tratti distintivi delle fiabe per bambini.
Che si tratti di fiabe è suggerito intanto dal loro sfondo paesaggistico, in
quanto portano a volo il lettore in un luogo fatato, incantato e incantevole
nel suo fascino siderale, anche se, al contempo, pervaso di raggelante
solitudine, di coraggio misto a paura, teatro di continui pericoli e sempre
nuovi cimenti, dominato da una luna immensa, che rischiara il buio di spazi
infiniti. Ecco, la luna: lontana ma partecipe (l'adiuvante principale, secondo
le categorie proppiane, che a buon diritto possono essere applicate a queste
fiabe di ambientazione nordica), amica che talora nasconde il volto dietro le
nubi per non vedere e non soffrire, ma che altre volte provvidenzialmente soccorre,
e sempre si fa tramite dei messaggi d'amore che il lupo protagonista e gli
altri lupi le affidano, nei momenti più drammatici, mandando lunghi ululati verso
il suo volto di luce. "Tutte le volte che ci sarà la luna piena e avrai
bisogno di me, potrai chiamarmi e io risponderò": sono le parole di Lupo
Mannaro morente, ed è significativo che sia proprio un licantropo, la creatura spaventosa
che nell'immaginario collettivo è la meno adatta a rivestire un ruolo da buono,
a salvare ed adottare Zanna Blu da piccolo, a dargli la protezione e il calore
della famiglia che non ha. Ed ecco, nella magia del racconto fantastico, l'ammonimento
a non lasciarsi ingannare dalla prima apparenza delle cose, e a non subire il
condizionamento dell'ingiusto pregiudizio ("Spesso, infatti, gli uomini e
i lupi hanno bisogno del cattivo di turno per sfogare la loro rabbia e la loro
frustrazione: tanto, un povero Lupo Mannaro lo trovano sempre per riversargli
addosso le loro paure"). Fiabe, dunque, però anche favole: in senso
tecnico, in quanto vi agiscono animali, che, pur con i debiti rovesciamenti
(sto pensando al giustamente ironico "in bocca all'uomo"), incarnano
comportamenti, vizi e virtù degli uomini, e in quanto ogni volta sono
portatrici, come nella favola di tradizione esopica, di insegnamenti morali,
talora veicolati in modo implicito, talora posti a esplicito commento della
storia narrata. Non si pensi, però, che nella narrazione delle avventure di
Zanna Blu la "morale della favola", che senza dubbio è sempre
leggibile, riconoscibile almeno in filigrana, sbilanci il racconto spostando
troppo il focus sul piano etico e diminuendo, di conseguenza, la magia del fiabesco:
al contrario, il cosiddetto "messaggio" riesce a farsi cogliere con
semplicità, senza allentare né il ritmo narrativo né il continuo effetto di
suspense. Siamo e restiamo nel regno meraviglioso della fantasia, dove tutto
può accadere, e dove, per dirla pascolianamente, il fanciullino che è in noi
può gioire dell'onnipotenza della volontà unita all'amore, attendersi e
ottenere il prodigio salvifico, assistere ogni volta, come nei sogni più belli,
alla trasformazione (a cui lo scrittore finisce con l'abituarci) dei cattivi in
buoni (in quei buoni che da sempre, nell'intimo del loro cuore, avevano desiderato
essere). I due piani, quello del fiabesco puro e quello dell'apologo, della
riflessione morale messa in campo per via di immagini, si intersecano talvolta
in modo naturale, senza forzature: per esempio in alcuni interventi-chiave del
narratore, introdotti in forma di rapido commento (il più icastico: "non
esistono persone o lupi cattivi, esistono solo azioni buone o cattive").
Il lettore, adulto o bambino che sia,
impara presto ad abbandonarsi alla dimensione fantastica del racconto, e da
quel momento sa che tutto può accadere, perché appunto siamo nel mondo onnipotente
della fantasia, dove il prodigio rientra, per convenzione, nelle regole del
gioco. E' così che finiamo con l'aspettarci che Zanna Blu, il lupo buono mille
volte ferito e moribondo, ritrovi ancora una volta, anche quella volta in più,
le forze non per una stentata sopravvivenza, ma per una nuova corsa, anzi per un
volo verso la meta di sempre, attraverso le gelate terre del nord, la Siberia,
la Groenlandia, il mare ghiacciato o in tempesta, in una geografia ridisegnata come
accade, appunto, in sogno, dove anche le distanze sconfinate possono essere percorribili
e superabili, nonostante tutto. La salvezza di Zanna Blu, nei momenti di massimo
rischio, quando l'antagonista di turno (che poi diverrà adiuvante per la successiva
avventura) pare avere la meglio sul povero lupo sfinito, è raggiunta coi famosi
salti mortali (perciò, di fatto, salti "vitali"), sempre variati,
sempre oltre il limite raggiunto col precedente: quando pensiamo di aver
assistito al salto più difficile, più sorprendente, più acrobatico possibile
(il doppio salto mortale, quello all'indietro, il quintuplo...), la fantasia
dello scrittore ne inventa un altro (e a quel punto un po' ci contavamo,
ammettiamolo). A proposito di questa meravigliosa specialità di Zanna Blu, va
ricordata una piacevole sorpresa regalataci da Carmelo: è la figlia femmina di
Zanna Blu, la coraggiosa Coda Bianca, ad aver imparato di nascosto a fare i
salti mortali, imitatrice ed erede del padre in questi "impossibili"
slanci fisici verso l'alto, verso la salvezza e la libertà.
Il racconto, nel suo procedere, esce
dai confini del genere "fiaba" o "favola" e lascia sempre
maggiore spazio a un complesso e originale gioco metaletterario, con
l'intervento sempre più frequente dell'autore. Il genere letterario di
riferimento diventa in realtà, a poco a poco, incrocio, o meglio ancora
commistione, fusione di generi, in un amalgama che è anche un interessante e
innovativo esperimento di scrittura: il piano del racconto fantastico viene ad
appoggiarsi sul piano della realtà autobiografica di Carmelo Musumeci, al punto
che significante e significato combaciano nell’attribuzione, ad alcuni lupi, di
nomi di persone che hanno segnato passaggi importanti della vita dell'autore: un esempio per tutti, Lupo Don Oreste. Attraverso
il racconto, divenuto ormai corale, delle avventure del lupo Zanna Blu e degli
altri lupi (solitari o in branchi), il veicolo letterario scelto dallo
scrittore assume sempre più le caratteristiche, o almeno le connotazioni, del
diario, della testimonianza: è il suo modo di consegnare a tutti noi lettori in
generale, ma probabilmente ai suoi cari in modo specifico, la narrazione sofferta
del suo percorso esistenziale e delle sue speranze. Tuttavia, si badi bene, gli
evidenti richiami al reale non tolgono nulla al fascino del racconto
d’invenzione, nel quale sono via via intessuti. Lo scrittore Carmelo entra, sì,
autobiograficamente nel racconto, ma in che modo? Dapprima come autore la cui
penna può salvare o lasciare morire Zanna Blu, in seguito come personaggio il
cui agire appartiene ormai al flusso narrativo della vicenda fantastica, e con
essa si confonde. La favola di animali dai tratti psicologici "antropomorfi"
diventa in tal modo favola "mista", di animali e uomini pronti a incontrarsi
nel gran finale (che, ovviamente, non rivelerò).
Da sottolineare, sul piano narratologico,
la complessità e varietà dei modi con cui Carmelo si lega al proprio racconto,
entrando "fisicamente" nel libro: ora proiettandosi in Zanna Blu
stesso, ora persino mettendosi in un rapporto di surreale competizione con lui,
fino a divenirne, addirittura, rivale e antagonista. Rinunciando al ruolo
tradizionale dello scrittore di racconti di invenzione, che è quello di narratore
onnisciente, Carmelo mostra di non sapere, o di non aver deciso (che è la
stessa cosa) come le cose andranno a finire, e riconosce quindi a se stesso la
facoltà di cambiare idea, vale a dire di cambiare il racconto in corso d'opera:
con questo espediente lo scrittore riesce a spiazzare del tutto il lettore,
scoraggiandolo, fra l'altro, da ogni tentativo di interpretazione psicanalitica
troppo scontata, da manuale.
Anche sul piano stilistico lo
scrittore sceglie di non attenersi a un registro univoco, e così l’andamento
narrativo tipico della fiaba, con i suoi dialoghi seri e drammatici, con le
descrizioni solenni, è tuttavia punteggiato ora qua ora là di qualche battuta
scherzosa, e non mancano, per quanto riguarda le scelte di lessico, incursioni
veloci nel linguaggio colloquiale anche un po' brusco, ma di sicuro effetto
vivacizzante.
Di questo libro restano impresse nella
mente e nel cuore del lettore anche le bellissime dediche – ricche di pathos,
ma prive di retorica - poste sotto il titolo dei singoli capitoli: didascalie
di un mondo di affetti in cui nessuno viene dimenticato, e che anche noi lettori a poco a poco impariamo a conoscere.
Anche in forza di queste presenze reali, evocate dallo scrittore a illuminare
il senso profondo di ogni tappa del racconto, quando tutto sembra perduto noi sappiamo
che non è così: la sua penna saprà ancora tracciare le parole che riapriranno
il varco alla speranza.
*Annamaria Cotrozzi
Ricercatrice Università di PISA, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica
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