24 gennaio 2014

Partono 'e bastimenti - prima parte di Marcello de Santis



PARTONO 'E BASTIMENTI Parte prima di marcello de santis
partono 'e bastimenti
per terre assai luntane,
cantano a buordo
so' napulitane
.

Siamo ai primi anni del 1900, e l'emigrazione degli italiani per le americhe era in pieno svolgimento; si andava a cercare fortuna. Erano giorni in cui la città di Napoli pulsava fin nel profondo delle vene, il porto pullulava di bagagli, pacchi e pacchetti, valigie e valigioni tenuti insieme da corde incrociate, sacchi e quant'altro, e donne con bambini in braccio, e uomini e anziani; con addosso i consunti vestiti di tutti i giorni; si preparano a lasciare il loro paese per un'ignota avventura.
Il fenomeno dell'emigrazione, fino allora sconosciuto ai più, adesso anno 1919 è in pieno svolgimento; i bastimenti partono uno alla volta, più di uno ogni giorno; e allontanandosi dal porto le persone a bordo - gli occhi umidi per le lacrime - salutano con un fazzoletto in mano quei parenti meno fortunati (o più fortunati, magari), che restano a terra; gli uni e gli altri si sentono straziare il cuore per le ultime struggenti immagini; chi resta, quelle dei suoi cari che se ne vanno, gli emigranti, più tardi, "quelle delle ultime cose" che riuscivano a vedere prima che scompaiano del tutto a un orizzonte che si lasciano alle spalle. Nei versi con i quali ho aperto questo breve saggio, "queste ultime cose" sono le case di Santa Lucia, ultimo segno di una Napoli che si allontana sempre più; e che chissà se avrebbero mai rivisto.  E' l'ultima cartulina 'e Napule che si portano negli occhi e che conserveranno a lungo dentro, bagnata da una inconsolabile malinconia.
santa lucia luntana e te
quanta malincunia...

L'autore della canzone è E. A. Mario.
Santa Lucia luntana risale all'anno 1919, quando più forte era l'esodo dei napoletani per "terre assai luntane"; esodo già iniziato verso gli ultimi due decenni dell'ottocento; a partire dal 1880 circa e per tutto un secolo se ne andarono dall'Italia circa quindici milioni di persone.
Ma fu nei primi anni del novecento che l'emigrazione raggiunse il punto più alto; ogni anno si contavano dalle duecentomila alle trecentomila unità che lasciavano il paese, in gran parte da Napoli, (ma anche da Genova Messina e Palermo, che erano i soli porti autorizzati a ricevere quelli che volevano imbarcarsi),

... cu dint''o còre 'na malincunia...

Se ne andavano richiamati dal miraggio del sogno americano, un paese nuovo che richiedeva braccia per lavorare; e il grido giungeva fino a noi, che di persone senza lavoro, indigenti i più, nella miseria molti, ne avevamo molti, moltissimi.

se gira o munne sano,
se va' a cerca' fortuna,
 

E.A.Mario Napoli 1884 - 1961
è il nome d'arte di Giovanni Ermete Gaeta
autore di molte canzoni celebri sia in lingua che in dialetto napoletano.
Sempre attento ai problemi sociali del suo paese,
dal dramma della guerra a quello dall'emigrazione. 
Era l' autore sia delle parole che della musica delle sue canzoni.
L'ultima cosa che di vedeva dalle navi che si allontanavano definitivamente portandosi a bordo povertà e speranze, erano - come detto - le case del quartiere di Santa Lucia; e davanti a esse, sul mare, il Castel dell'Ovo.
Oggi a ricordo dei drammatici eventi sociali dell'emigrazione, e della partecipazione in qualche modo ad essi del nostro poeta c'è una targa proprio a Borgo Marinari che recita: Partono i bastimenti... pe' terre assai luntane...
La statua della Libertà era un richiamo troppo forte, Nuova York era la città della speranza, gli Stati Uniti la terra del futuro. Ed era proprio la Statua la prima cosa che gli emigranti vedevano da lontano; a ben quaranta chilometri dalla città di New York, la statua che dava il benvenuto ad essi con il sonetto che una poetessa americana Emma Lazarus scrisse, e che fu fatto incidere alla base dal colosso americano che si erge sul mare davanti a New York, su un'isoletta che si chiama appunto Isola della Libertà.
Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri,
le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi,
i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate.
Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste a me,
e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata.

Questi nuovi lavoratori, che andavano là per far fronte al grande sviluppo industriale di un paese nuovo, erano una risorsa non solo per il paese che li accoglieva, ma anche per il paese che li aveva in qualche modo cacciati via, là producendo e incrementando la ricchezza locale, qua con le rimesse di denaro che facevano alle loro famiglie, che spendendo consentivano all'Italia di importare materie prime per rimettere in funzione la macchina statale del lavoro industriale.
Le parole della canzone strappano ancora commozione e lacrime a chi le sente a distanza di quasi un secolo; specialmente ai figli o a nipoti e pronipoti di chi ebbe sui bastimenti che partivano un parente, un padre, una madre, un nonno e una nonna, o dei bisnonni.
... cantano a buordo
so' napulitane
...

Cantavano a bordo i nostri emigranti struggendosi di nostalgia per il paese che erano costretti a lasciare; e presto questa canzone sarebbe diventata la canzone per eccellenza degli emigranti napoletani.
Santa Lucia luntana...  'o puorto ca scumpare... a luna 'mmiez''o mare... e quel poco 'e napule che si vede ancora...
Cantano pe' tramente
'o golfo giá scumpare,
e 'a luna, 'a miez'ô mare,
nu poco 'e Napule
lle fa vedé.
..

Sono altamente drammatiche le parole della canzone di E.A.Mario e intrise di una tristezza che rievoca ogni volta che si sente e che si canta.
L'emigrante quasi sempre non dormiva nel posto a lui riservato, i pagliericci infestati di pidocchi, sporchi e puzzolenti, fumo e puzza del vapore della macchine che arrivavano da tutte le parti, insomma difficile era respirare là; se si voleva sopravvivere si doveva salire in coperta; accucciato a lungo sui talloni; o seduto a terra o su un groviglio di gomene a guardare l'immensità dell'oceano che pareva non volesse mai finire; e le notti insonni a rimirare la luna, quella stessa luna che adesso stava illuminando quell'ultima cartolina che avevano impressa negli occhi, santa lucia luntana... ma se pioveva o faceva tempesta erano costretti a tornare sotto coperta, dove l'aria mancava e quella poca che c'era era piena di cattivi odori.
santa lucia luntana e te
quanta malinconia...
se gira o munne sano,
se va' a cercar fortuna,
ma quanne spunta a luna
luntana e napule
nun se po' sta
.



emigranti a bordo di uno dei bastimenti che facevano i viaggi atlantici,
e che il più delle volte erano vere e proprie carcasse
Ma il viaggio era una rischiosa avventura, e non sempre ci si aveva il tempo di soffrire di nostalgia e di cantare 'e canzone 'e napule, ché i passeggeri soffrivano mal di mare, malattie varie, e talvolta e spesso, anche, abusi da parte dell'equipaggio. Per cui la nostalgia e il canto anche se sommesso passava in secondo piano davanti a queste cose e alla paura insita dentro di loro. A bordo la miseria si faceva sentire più che non a terra prima di partire; la gente, stipata all'inverosimile in terza classe, aveva il terrore negli occhi, non sapendo la sua sorte, e intorno c'era chi vomitava, la puzza e la sporcizia era indescrivibile; così come la probabilità di prendersi qualche malattia. I poveri con tutta la loro miseria addosso erano costretti, come ho già detto,  in terza classe, quasi come reclusi; per tutto il tempo della traversata nelle stive adibite a trasporto merci, ed erano malvisti e mal sopportati e dai membri dell'equipaggio e dai signori, cui arrivava il cattivo odore che emanava quel tratto di nave, quasi sempre a poppa; questa terza classe era allocata quasi sempre nelle parti più basse della nave, nei locali dove si stipavano e trasportavano le merci, bastava qualche divisorio con tramezzi di legno e il gioco era fatto. Per il ritorno si smontavano questi tramezzi e si caricavano merci. In prima classe c'era la gente bene, i ricchi, i signori, mentre la seconda era riservata a quelli che potevano definirsi agiata borghesia. Gli emigranti erano stipati e ammassati un spazi insufficienti a contenerli tutti, in barba alla legge che stabiliva tanti passeggeri per un tot di spazio. I pasti venivano consumati là, sdraiati per terra, a gruppi, uno per ogni gruppo era addetto al ritiro del rancio e a portarlo agli altri. Il viaggio si trasformava dunque in tre quattro settimane di inferno, nel vero senso della parola; neppure fratelli e sorelle potevano stare insieme; infatti i passeggeri venivano divisi: i maschi da una parte e le femmine da un'altra; in un'altra sezione, diciamo così, potevano stare insieme quelli sposati; i locali senza circolazi-one di aria sufficiente a una vita decente, e di conseguenza le malattie virali, specialmente per i bambini: il morbillo in testa, e la malaria; senza contare - per i grandi - polmoniti e gastroenteriti o simili. E si verificavano anche nascite nelle condizioni più abiette; e decessi; in questo caso si avvolgevano in un telo i cadaveri e si gettavano in mare; lo strazio era grande ma ancora più grande se a morire era un bambino.
Quanto doloroso doveva essere questo distacco dalla città natale, quanto triste l'addio a Napoli

http://www.youtube.com/watch?v=VD0PRS5UKZg
fine prima parte

marcello de santis

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