Vita e spirito di Francesco d'Assisi
Piccolo viaggio nella letteratura italiana
Io
credo che lo spirito vada cercato all'asciutto e dunque, a dire a
verità, non mi piace molto l'ampollosità e la ridondanza delle
agiografie. Nel caso di Francesco d'Assisi non è tuttavia possibile
fare a meno di queste ultime; ne contiamo nel Duecento almeno tre tra
le maggiori in lingua latina, oltre ai trecenteschi Fioretti in
volgare che hanno uno scarso valore storico. Esse sono necessarie per
descrivere, tra mito e realtà, la vita di un uomo che davvero ebbe
ben poco a che fare con questo mondo.
Letterariamente
ci sarebbe dunque non molto da dire, ma se vogliamo sostenere che la
letteratura è una madre che nutre chi legge allora parliamo di
Giovanni di Pietro di Bernardone non per il letterato che certamente
non fu, bensì piuttosto per l'ispirazione letteraria che diede ai
suoi, ad esempio a Jacopone da Todi, e che continua a dare oggi a
coloro che hanno a cuore lo spirito.
Giovanni
nasce ad Assisi nel 1181, ma gli viene subito imposto il nome
Francesco. Viene avviato alle armi e già poco più che ventenne
conosce il carcere. Una prima lunga malattia lo colpisce inoltre nel
1204, poi la neanche troppo graduale conversione lo porta alla
rottura col padre nel 1206, quando Francesco resta nudo dinanzi al
vescovo rinunciando a tutto ciò che aveva posseduto.
Del
tutto ignorante di teologia si fece servo della Chiesa di Roma, la
quale era ovviamente l'unica, tanto è vero che la parola 'religione'
non aveva nel Duecento il valore che le diamo noi oggi. Religioni
erano gli ordini religiosi, come il francescano ad esempio, e tutti i
“frati minori” furono dunque chiamati dalla regola all'obbedienza
cieca anche nei confronti del clero secolare; «Quando
dico “frate minore” - sottolineava Francesco (vedi Legenda Maior
VI,4) – io penso ad un cadavere: se lo lasci cadere non protesta,
se lo metti in cattedra guarderà in basso e non in alto, se gli
metti un vestito di porpora sembrerà doppiamente pallido; questo è
il vero obbediente». Significativo qui è l'episodio (Fioretti VIII)
dove Francesco descrive cosa sia per lui la “perfetta letizia”.
Il
nostro fu in effetti un minore in tutto e chiedeva ai suoi
confratelli di lasciare tutto, così come ancora oggi i tre nodi
della corda che cinge i francescani indicano i tre voti ai quali sono
chiamati: povertà, castità, obbedienza. Nel francescanesimo
originario non c'è nient'altro che questo: pregare nei boschi,
digiunare, assistere i poveri, aderire al Vangelo di Gesù Cristo
senza nessuna licenza. Quando un fratello chiese a Francesco di poter
tenere con sé dei libri gli fu concesso, ma con l'accortezza di non
fare di questi uno strumento di contravvenzione alla regola,
evidentemente perché essi erano, in potenza, motivo di superbia e
di vanagloria.
Un
aspetto poi molto interessante della capacità di comunicazione
dell'assisano è descritto con efficacia nella Maior (VII,7), laddove
San Bonaventura racconta:«Era la sua parola come fuoco ardente, che
penetrava l'intimo del cuore e ricolmava di ammirazione le menti; non
sfoggiava l'eleganza della retorica, ma aveva il profumo e l'afflato
della rivelazione divina».
Il
nostro si era tuttavia convinto che non si dovesse parlare di tutto
con tutti (es: I Celano, 96): quando, durante le sue preghiere e
contemplazioni, riteneva di aver avuto visioni particolarmente
luminose o aver condiviso verità trascendenti meditava sempre molto
sull'opportunità di parlarne a voce, sia pur con le persone più
intime. Senza essere un uomo di pensiero si era probabilmente
convinto che esiste una conoscenza non intellettualistica alla quale
la parola è letale. Non è bene parlarne, e non perché sia segreta,
ma perché la parola la sciupa, la umilia, la rende risibile e
banale. In questa convinzione Francesco, pur nelle grandi differenze
tra un mistico ed un filosofo, ebbe affinità con almeno due illustri
uomini di scienza: tra i moderni con il logico austriaco
Wittgenstein,
che fu giardiniere in un convento e, tra gli antichi, con quei grandi
geometri crotonesi che un tempo chiesero il silenzio ai propri
studenti.
Tra
gli episodi più belli dei Fioretti voglio citare: la storia
dell'addolcimento del lupo di Gubbio (XXI), al quale la chiesa della
Brunella di Varese ha dedicato una statua in bronzo; il racconto,
artisticamente molto ben riuscito, della predicazione di sant'Antonio
ai pesci (XL); ed infine la predicazione ai saraceni, storicamente
avvenuta senza lividi eccessivi (Maior IX,8). Probabilmente dopo
averlo preso i musulmani lo ascoltarono e, presumibilmente senza
capirlo, lo intesero.
Antonio
di Biase
Bibliografia:
- Francesco da Assisi, gli scritti e la leggenda – a cura di G. Petrocchi – Rusconi 1983 – collocazione B.III.6627 biblioteca di Varese.
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