"Sam Szafran: 50 anni di pittura" dall'8 marzo a Martigny (Ch)
Szafran,
un cognome il cui suono profuma di buono il colore, il colore che
l'artista declina con costanza e ossessione allineando via via i
suoi pastelli.
Il
pubblico della Fondation Pierre Gianadda di Martigny ritrova dopo più
di dieci anni questo artista: ne aveva apprezzato i Laboratori
dalle
suggestioni quasi surrealiste, le Scale,
che sfidano la prospettiva, e le sue cascate di verde dove si rileva
una presenza furtiva di donna. Questi temi ritornano e coinvolgono il
fruitore anche in forza delle due ceramiche monumentali che adornano
il padiglione didattico della Fondation e che ripropongono, in un
disegno dalla semplicità disarmante i due temi della scala, con il
suo richiamo fortissimo al vuoto, e del feuillage
(il
fogliame) che si distende lungo la parete.
Il
legame di Szafran con la Fondation Gianadda, oltre che da queste
presenze permanenti, è testimoniato dalla donazione di una serie
splendida di fotografie di Henri Cartier-Bresson.
Chi
è Sam Szafran?
Nato
a Parigi il 19 novembre 1934, da genitori ebrei emigrati dalla
Polonia, Sam Szafran cresce nel cuore delle Halles. Suo padre muore
all'inizio della guerra e il bambino è affidato ad uno zio severo.
Troverà tenerezza solo presso i nonni. Col nonno frequenta la
sinagoga di Guimard. Nascosto nel Loiret, presso dei contadini che lo
maltrattano, alla fine trova rifugio presso dei repubblicani
spagnoli. Si salva per miracolo dal rastrellamento del
Vel’d’hiv nel 1942 ed è poi dichiarato “pupille de la nation”.
La Croce Rossa lo invia in Svizzera, nei pressi di Winterthur, e qui
rimane per due estati. L’artista confida che “furono quelli i
soli momenti felici della mia adolescenza”. Impara a nuotare e a
disegnare e il futuro grafico Jean Widmer ne rileva le capacità.
Nel
1947 con la madre e la sorella si imbarcano a Marsiglia per
raggiungere a Melbourne uno zio materno là emigrato dopo il 1937.
Dopo tre mesi di scuola per imparare l’inglese, comincia a
lavorare: fa il magazziniere, il commesso di drogheria, il galoppino
di un giornalista sportivo. Mostra in quegli anni un grande interesse
per l’immagine e frequenta la biblioteca di Victoria dove può
guardare in particolare i libri sulla pittura inglese: Hogart,
Reynolds, Turner, ecc. È un periodo di grande fatica e di sconforto
in cui aspetta con impazienza di poter rientrare in Francia. Nel 1951
è di nuovo a Parigi dove sopravvive
accettando lavoretti vari, tra cui quello di interprete traduttore
presso l'American Express. Si iscrive nel frattempo ai corsi di
disegno organizzati dalla città.
Da
allora, l’arte diventa il salvagente del giovane lavoratore. Nel
1953 comincia a frequentare
gli insegnamenti della Grande Chaumière dove per quattro anni
disegna con passione, animato da una grande curiosità ma anche dallo
sguardo limpido dell’autodidatta. Il metro, le scale, le cantine, i
passanti del Palazzo di Giustizia sono il suo atelier: scruta,
traccia, sperimenta la prospettiva. Frequenta diversi gruppi a
Montparnasse, poi nel quartiere Saint-Germain,
dove scopre il jazz. Incontra poi nel 1954 Roseline Granet, che
acquista le sue prime opere e lo sosterrà per molto tempo. Conosce
Alberto e Diego Giacometti, poi Yves Klein, Tinguely e Riopelle.
I
pastelli
Nel
1960 riceve una scatola di pastelli, che sono per lui una sorta di
rivelazione. Abbandona la pittura ad olio e adotta questo mezzo
espressivo, al quale si dedica totalmente per un decennio. Nel 1963
sposa Lilette Keller, originaria di Moutier nel Jura svizzero e un
anno dopo nasce il loro figlio Sébastien. Dopo dieci anni di
fatiche, migliora anche la situazione economica dell’artista.
Jacques Kerchache che incontra nel 1965 gli offre la sua prima mostra
personale. Importanti sono le amicizie che maturano in quegli anni:
con il poeta libanese Fouad El-Etr, che più tardi lo coinvolgerà
come disegnatore nella rivista La
Délirante da
lui fondata, e Henri Cartier-Bresson che prende lezioni di disegno da
Sam.
Per
tutti questi anni Szafran non ha un vero atelier, ma lavora in luoghi
lugubri e inadatti, fino a che scopre nel 1974 un’antica fonderia a
Malakoff, dove ancora oggi vive e lavora.
Egli
utilizza la tecnica del pastello con un raro talento, saggiando le
numerose sfumature che da esso è possibile trarre. La storia del
pastello in Francia è lunga e prestigiosa: nel XIX secolo viene
usato per i ritratti (Manet, Toulouse-Lautrec, Degas), per i paesaggi
(Delacroix, Millet); si rivela perfetto per tradurre le impressioni
fuggevoli dell’impressionismo (Boudin, Monet, Renoir) e trova in
Degas un interprete sorprendente. Nel XX secolo molti artisti ne
fanno uso, da Delaunay a Balthus, Matta, Atlan. Ma è proprio Szafran
a proporre un nuovo rinascimento di questa tecnica. Egli riconosce la
qualità eccezionale dei pastelli fabbricati dalle sorelle Roche, rue
Rambuteau, che diventano sue fornitrici esclusive a partire dal 1963.
La
poetica e i temi
All’inizio,
Sam Szafran si muove in ambito astratto, influenzato da Nicolas de
Staël e da Jean-Paul Riopelle. Così come per un certo tempo è
interessato alla materia insolita e densa di Dubuffet. Non è però a
suo agio in questo percorso per cui torna alla figurazione. I suoi
primi pastelli, verso il 1960, sono dei Cavoli,
che gli ricordano la cucina dei paesi della sua infanzia, le sue
radici polacche, e che diventano il pretesto per delle sottili
sfumature, per una metamorfosi continua, per una vera attività
organica. Ecco poi i suoi Atelier,
che rivelano una grande teatralità, fatta di mobili, trespoli,
cornici coinvolti in un intenso disordine. Alcuni sembrano il luogo
di un dramma passionale al quale Szafran risponde con delle
disposizioni quasi ossessive dei pastelli.
Nel
1972 prende avvio per Szafran l’avventura dell’Imprimerie
Bellini, così denominata in omaggio al pittore italiano. Si tratta
di un atelier di litografia creato dall’artista con due soci. Con
il carboncino o il pastello Szafran racconta questo atelier, con
l’alta macchina da stampa, i suoi ingranaggi e i suoi rulli di
inchiostro. E lo fa incessantemente, a lungo, sperimentando nuovi
angoli di lettura e luci differenti.
Le
sue prime lezioni sul vuoto, Szafran le riceve dallo zio severo, in
una tromba di scala. Egli sceglie questo tema “perché era un
problema da risolvere…”, ma molto presto la Scala
diventa terreno di sperimentazione, diventa costruzione mentale.
Curve sinuose con una rampa come una voluta, effetti di scarpata,
zoom in avanti, l’artista si prende gioco della prospettiva fino
alla vertigine. In certe opere, questa vertigine si traduce
nell’esplosione di colori che diventano tinte pure. Richiami del
vuoto che si traducono in visioni panoramiche deliranti.
Infine
l’ultimo tema: il Fogliame.
La passione di Szafran per le piante risale all’epoca in cui ha
lavorato nell’atelier di Zao Wou-Ki: “ero affascinato da un
magnifico filodendro che risplendeva al di là della vetrata…”.
Fino all’ossessione l’artista disegna delle serre invase dalle
foglie, un’invasione di vegetali dove appare in contrappunto
Lilette in kimono seduta su una seia o una panca Gaudì.
È
questo percorso e sono questi i temi che, mediante incisioni,
dipinti, pastelli e acquerelli, la Fondation Pierre Giandda di
Martigny propone nei suoi ampi spazi dall’8 marzo al 16 giugno, per
raccontare cinquant’anni di pittura di Sam Szafran, un artista
discreto che pratica la sua arte in un modo tutto personale,
distaccato dalle mode, ma assistito da una prodigiosa capacità
espressiva.
- Antoinette
de Wolff-Simonetta -
La
mostra è curata da Daniel Marchesseau.
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Rue
du Forum 59 - 1920 Martigny (Svizzera)
Tel.:
(+41) 27 722 39 78
Informazioni
in Italia: 031.269393
Orari: tutti i giorni: 10 - 18
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Fonte: www.uessearte.it
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