25 luglio 2012

Il mio incontro con il terremoto


Il mio incontro con il terremoto di Lorenza Mondina

Da una settimana cammino con lo sguardo rivolto verso l’alto,a cercare cornicioni staccati, crepe nelle pareti dei palazzi, anche se cammino per le strade del mio paese e non mi trovo più a Finale Emilia, dove sono stata, appunto, la scorsa settimana.
E’ stata un’esperienza, emotiva e concreta, molto forte, totalizzante.
Il primo turbamento arriva dall’impatto visivo, dall’angoscia che deriva dalla visione di un paese solo e vuoto; si passeggia per le strade e sembra di essere sulla scena di un film, in una città fantasma, con transenne chiudono l’accesso a palazzi che hanno ancora le finestre aperte, le tendine, le persiane che sbattono portate dal vento.


Ma dove c’è distruzione c’è anche ricostruzione: il paese è già costellato dalla presenza di gru, ponteggi ed impalcature, segnale di una forte e decisa voglia di rinascita; come rinascita si trova nei numerosissimi fogli A4 appiccicate alle transenne, volantini improvvisati, che annunciano l’apertura di esercizi commerciali, magari in un container sul ciglio della strada, o in una struttura di fortuna, che li accoglie e li aiuta a rinascere.
Intanto, proseguendo sotto l’implacabile sole cocente, ci si imbatte nelle tende, posizionate sulle aiuole, nei giardini, sulle rotonde, sotto i viali alberati e viene da chiedersi come si possa sopportare questa vita, fatta di notti insonni, di piccoli riposi sulle auto parcheggiate all’ombra degli alberi, quando la paura concede una piccola e sfuggente tregua.
E nelle tendopoli i problemi aumentano, la convivenza non sempre è facilmente gestibile, la disperazione umana talvolta acceca, toglie filtri, rende più cinici, forse egoisti.
Al di là di ciò che si vede, poi, lontano dalla luce dei riflettori e dalle telecamere delle TV, i problemi sono infiniti, le questioni da affrontare tengono gli operatori impegnati costantemente, alla ricerca di soluzioni e di “invenzioni”.


Basta pensare agli anziani ricoverati presso una struttura, improvvisamente inagibile e da evacuare, o agli utenti di un servizio sociale che devono essere messi in sicurezza: il lavoro che sta dietro a situazioni di questo genere, apparentemente circoscritte e “semplici”, è di entità impensabile, se non lo si tocca di persona.
Ma questo vale per tutto e per tutti quelli che in ogni contesto, si sono imbattuti nel terremoto e nelle sue conseguenze.
Così, continuando a tenere lo sguardo verso il cielo, poter ascoltare il racconto di chi c’era diventa fondamentale per capire davvero quello che è passato per queste mura, che adesso riposano stanche.
Solo ascoltare chi ha vissuto questa esperienza, permette di immaginare concretamente che, quello che si sta guardando, non è solo un banale palazzo grigio transennato al quale non si può più accedere, ma sono mura che hanno udito gli abitanti urlare, disperati dalla impossibilità di uscire perché le porte sono bloccate, e buttarsi dalle finestre per scappare da quella gabbia che è diventata la loro casa.
Assurdo, tutto questo è assurdo, non ha spiegazione.
Detesto la retorica, non voglio perdermi in banalità, ma voglio realmente tessere le lodi di un popolo che davvero ha scelto di non piangersi addosso, di reagire e di ricostruire, di rinascere. Questo è ciò che ho visto, questa forza l’ho “toccata” sentendo i discorsi della gente, osservando il loro sguardo, il loro atteggiamento, la loro voglia di non lasciarsi andare. E’ un grande esempio di civiltà e di dignità, a cui tutti dovremmo pensare almeno per un minuto al giorno, e trarne insegnamento.  


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