07 maggio 2012

Il piacere di una sensazione pura




IL PIACERE DI UNA SENSAZIONE PURA
La voce della coscienza innanzi il theatrum aestheticum


Noi abbiamo tutto. Tutto l’effluvio delle scienze ha deviato i fenomeni originari. È la coscienza dei fenomeni a costituire il nucleo originario di ogni conoscenza. Il filosofo oggi si deve porre questa domanda. Alla coscienza si affaccia il fenomeno originario o quello indotto intenzionalmente da manipolatori, ai quali le scienze e gli intellettuali sono asserviti? Se tutta la gnoseologia da Kant in poi ha escluso la conoscenza della cosa in sé, dobbiamo chiederci però come facciamo a volere una cosa in sé, senza conoscerla? Chiariamo meglio il problema: l’intellettuale oggi deve porsi un interrogativo serio: se i fenomeni che egli accoglie nella sua coscienza corrispondono alla verità che la sua buona fede riconosce, come guardare un fiore, o corrispondono invece ad una falsa opinione indotta, come il fiore che vede nella pubblicità per comprare un profumo. Tutto passa attraverso la coscienza, anche il mondo virtuale indotto attraverso le supervisioni mediatiche. Tra la pura apparizione dell’evento, l’evento, e la coscienza si crea un inesauribile filtro di informazioni asservite unicamente ad un principio di alienazione mentale dal sé. Col nostro sguardo noi abbracciamo i tre mondi: quello fisico, quello intellettuale e quello spirituale. Ma la nostra coscienza è libera? È libero l’occhio di guardare e cogliere l’essenza delle cose? Il primo lo cogliamo con la percezione esteriore, il secondo con quella interiore, il terzo con l’occhio della mente. Abituati al sensismo dei secoli potremmo bene affermare, come Protagora: nihil est in intellectu quod prius non fuerat in sensu, Leibnitz aggiungerebbe, nisi intellectus ipse. In pratica quelle porte, che sono i sensi, compresa la porta invisibile della mente, colla quale cogliamo l’ente, sono innate. Ma d’altronde se ci pensiamo bene, ogni sensazione è innata. Infatti possiamo forse sottrarre l’occhio dalla veduta. O l’orecchio dal suono? O il naso dall’odore? Qui non si tratta di verità primarie o secondarie. Sarebbe falso ridurre tutte le verità alla sola determinazione quantitativa od estensiva, come hanno preteso per secoli le scienze. Ma torniamo al nostro problema: esiste una sensazione pura? Che non sia asservita essa stessa alla logica del denaro e del potere. Il mondo contemporaneo ha travisato ma inevitabilmente seguito la logica Kantiana che afferma a voce altisonante: l’essere è l’apparire. Noi possiamo conoscere solo il fenomeno delle cose, non la cosa. E questa affermazione rimanda al principio idealistico berkeleiano: esse est percipi. Nulla esiste al di fuori della percezione. Potrebbe dirsi ancora più forte: esiste forse qualcosa al di fuori del pensiero? O in termini heideggeriani: esiste qualcosa al di fuori del linguaggio? Fosse anche questo linguaggio il linguaggio dell’ente, o per nominare l’ente, o la dimora dell’ente. Ma in questa casa ci sono due piani: uno è quello delle sensazioni, percezioni, idee, in pratica del pensato; l’altro è quello della ragione, o del linguaggio. La parola idea, come voi ben sapete, deriva da un verbo greco che significa vedere. Idea significa visione, sia quella sensibile che quella intellegibile. Anche un cieco può vedere, anzi vede meglio, con l’occhio mentale. Qui pare vi sia un prevalere della vista, ma la vista non fa altro che sintetizzare tutta l’attività del sentire. Nell’occhio vi sono sempre due principi, uno attivo e l’altro passivo, come nell’universo intero. Il conoscere è solo una parte di questo scambio eterno di sensi. Andiamo un attimo fuori del primo principio della conoscenza, o di immanenza. Questo afferma che nulla esiste al di fuori del pensiero. O meglio esiste, nulla esiste al di fuori della coscienza. Anche l’inconscio, o il nulla, o l’irrazionale, nel momento in cui vengono pensati come non-ente, esistono in quanto nihil privativum. Schopenhauer, non a caso, alla fine del suo capolavoro, “Il Mondo”, afferma che il nulla assoluto, il nil negativum, non esiste, ma esiste solo il nulla relativo. Platone affermava lo stesso: il non-ente è la diversità tra le idee: ogni idea è sé stessa e “non è” un'altra. Tutto passa attraverso i sensi. Anche le sensazioni interne, come la gioia, il dolore, escono fuori di noi e poi rientrano attraverso i sensi, così possiamo riconoscerle. Questa è una sensazione di gioia, etc. La sensazione di una sensazione la chiamiamo coscienza. Solo la coscienza può purificare le sensazioni e riportarle al loro giusto contesto, perché questa è un qualcosa di puro, che non si mischia all’empirico sensoriale. Concludiamo questo intervento con la bella voce di Socrate, tratta dall’Apologia, del suo amato discepolo Platone:«Avviene in me qualche cosa di divino e di soprannaturale,» e proprio a questo misterioso fatto si riferì Meleto nella sua accusa al filosofo greco, «ha cominciato a manifestarsi in me fin dai primi anni: è una voce particolare. Essa, quando si manifesta, mi distoglie sempre dal fare ciò che intraprendo: non mi spinge mai, invece, a fare qualche cosa. E questa voce si oppose ad una mia partecipazione alla vita politica. Ed ha fatto benissimo, mi pare, ad opporsi. Sappiate, infatti, cittadini ateniesi, che se avessi posto mano ad un’attività politica, non oggi, certo, avrei perduto la vita, però non avrei potuto portar vantaggio alcuno, né a voi, né a me stesso».



Vincenzo Capodiferro

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