10 febbraio 2012

Saronno e le leggi razziali (1938-1934)

SARONNO E LE LEGGI RAZZIALI (1938-1934)

Fenzi non va confuso con Finzi: il sopranominato non è di origine ebrea

Per non dimenticare. Il saggio dal sintomatico titolo Fenzi non va confuso con Finzi: il sopra nominato non è di origine ebrea ripercorre i riflessi che le leggi razziali produssero a Saronno tra il 1938 e il 1944. Si tratta di una microstoria lontana, come sottolinea lo storico Giuseppe Nigro, autore di questo profondo studio, che si vuole ricordare per contrastare il razzismo, l’antisemitismo e le discriminazioni che si manifestano contro minoranze etniche e religiose dei nostri tempi. Giuseppe Nigro è tra i fondatori della Società Storica Saronnese. Ha pubblicato, tra l’altro ricerche sulla storia lombarda, tra cui Fuori dall’Officina. La resistenza nel Saronnese (ANPI 2005); Il periodico Quinto Stato tra sindacato e progetto politico. Il riformismo cattolico in provincia di Varese (1953-1954). Si tratta delle piccole storie delle nostre shoah, di persone, di famiglie che furono perseguitate nella provincia di Varese. «Il censimento del 1938 registrava a Saronno complessivamente 5 ebrei, non è una comunità, e del resto non si può parlare di comunità nemmeno per la provincia di Varese (il censimento registrava infatti 163 ebrei)». Sintomatico è il titolo che è tratto proprio da una lettera del podestà di Saronno Luigi Farina al podestà di Verona del 23 agosto del 1938, mentre sta trascorrendo le sue vacanze stive a Chiangiano, per non incappare nell’errore sull’incerta origine della razza del cittadino Giuseppe Fenzi, originario di Verona: «il cognome Fenzi non era da confondesi con Finzi. Il sopra nominato non è di origine ebraica». Vi sono riportate storie ordinarie di persone comuni, ma anche di importanti imprenditori, che furono depredati impunemente di tutte le loro aziende, oltre che perseguitati. È il caso ad esempio di Ely Michele Friedmann, cittadino belga, uomo autorevole della comunità saronnese, direttore della fabbrica Torley, il quale si era addirittura convertito al cattolicesimo, battezzato nel Duomo di Milano dal Cardinale Schuster e prima di essere censito partecipava alle cerimonie del regime fascista, come quelle in occasione dell’inaugurazione della Casa Balilla o del Campo sportivo di Saronno. È il caso ad esempio della famiglia di Flavio Sonnino, proprietario del calzaturificio Sonnino di Caronno Pertusella. Stesso destino: depredati di tutto e perseguitati. Alcuni di questi come la famiglia Friedmann si riuscirono a salvare perché la fortunata provincia varesina confina colla viciniore Svizzera. Si tratta di vicende come sottolinea il Nigro, che erano pressoché sconosciute alla comunità saronnese, tranne per quei pochi che furono i testimoni di quelle tragiche esperienze. Sono storie sepolte dalla damnatio memoriae nei sedimenti dell’inconscio collettivo. Tale fu la politica razziale di razzia, di persecuzione, di deportazione degli ebrei per tutto il periodo dal 1938 fino al 1944, quando ancora la RSI di Salò, con DL del 4 gennaio del 1944 autorizzava il sequestro e la confisca dei beni degli ebrei. È il caso emblematico di casa Sonnino: «I tedeschi portarono via tutto ciò che si trovava nell’appartamento abbandonato, operando una spoliazione sistematica. Nella loro precisione teutonica, si appropriarono anche di diversi strofinacci da cucina e di pezzetti di biancheria di diverse qualità. Mobili, librerie, scrivanie, sedie e poltrone furono utilizzate per arredare e rendere confortevole il comando tedesco di Camnago, che cosa i sequestratori fecero della biancheria diversa per bambini non riusciremmo mai a saperlo. Con il sequestro dei mobili, dei vestiti e delle suppellettili della famiglia Sonnino si cancellavano le ultime tracce della loro presenza a Saronno». Con oculatezza e dovizia di particolari poi il Nigro riporta in appendice la “Sentenza Sonnino” del tribunale di Milano dell’8 novembre del ’45, con cui viene restituita l’azienda ed il RD n. 1728 del 1938, Provvedimenti per la difesa della razza italiana. «Il male non è un’aggiunta accidentale alla storia dell’umanità,» riporta il Nigro un passo di Torodov, «di cui si potrebbe sbarazzare facilmente: esso è legato alla nostra stessa identità; per eliminarlo bisognerebbe cambiare specie». Molto bella e significativa allora questa testimonianza storica che ci tocca da vicino e ci coinvolge e ci fa certi del disumanesimo cui poté giungere l’uomo in quell’arroventato “Secolo breve”, come lo designa Hobsbawm. Richiamiamo in fine giusto per dare risalto alle parole del Nigro quanto scrisse Primo Levi in Se questo è un uomo, Torino 1997: «Noi sappiamo che in questo difficilmente saremo compresi, ed è bene che così sia. Ma consideri ognuno, quanto valore, quanto significato è racchiuso anche nelle più piccole nostre abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede: un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara. Queste cose sono state parte di noi, quasi come membri del nostro corpo, né è pensabile di venirne privati, nel nostro mondo, ché subito ne ritroveremmo altri a sostituire i vecchi, altri oggetti che sono nostri in quanto custodi e suscitatori di memorie nostre. Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente , a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; […]. Si comprender allora il duplice significato del termine «Campo di annientamento», e sarà chiaro cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo».


Vincenzo Capodiferro

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